Vorremmo parlare d'altro ma la settimana è stata particolarmente avara di dati macroeconomici e finanziari quindi, gioco forza, tutta l'attenzione della comunità finanziaria internazionale è stata catturata dall'effettiva introduzione il 7 di agosto dei dazi americani che, secondo le intenzioni di Donal Trump, metteranno fine alle ruberie dei Paesi che esportano verso gli USA.
Prima, scopiazzando lo stile giornalistico di Marzullo — quello che, mentre ti intervista, all’improvviso ti butta lì un “fatti una domanda e datti una risposta!” — vorremmo riordinare un po’ le idee attorno al tema dei dazi. Procediamo quindi con le nostre domande seguite dalle nostre risposte:
- A cosa servono i dazi imposti da Trump? E' convinzione dell'Amministrazione Trump che i dazi imposti da Donald servono a compensare le minori entrate fiscali — a seguito dei tagli alle imposte societarie — e a diminuire l'indebitamento dello Stato che come sappiamo è fortemente fuori controllo. Facciamo due calcoli. Il taglio alle tasse creerà ogni anno, nella migliore delle ipotesi, un ammanco di almeno 380 miliardi di dollari alle casse dello Stato. L'amministrazione Trump è convinta di raccogliere 600 miliardi annui attraverso l'imposizione dei dazi ma secondo la Tax foundation (un think tank indipendente e apartitico fondato nel 1937 che ha l'obiettivo di analizzare le politiche fiscali degli Stati Uniti e fornire dati, studi e raccomandazioni su tasse federali, statali e locali) un importo più realistico può essere calcolato in 340 miliardi. Infatti l'amministrazione Trump non sembra tenere presente che i volumi delle importazioni caleranno (come stanno già facendo...), molti importatori ridurranno gli ordini e bisognerà presupporre che le catene di fornitura potrebbero radicalmente cambiare onde evitare l'imposizione dei dazi (per la serie: fatta la legge trovato l'inganno) . Non da ultimo è probabile che vi sarà un rallentamento della crescita economica che ridurrà l'imponibile doganale complessivo. Pensiamo che ci siamo capiti. In buona sostanza se tutto andrà veramente per il verso giusto (secondo la visione trumpiana) i dazi serviranno giusto a pareggiare i minori gettiti fiscali ma non a ridurre i debiti dello Stato.
- Quanto tempo ci vorrà per le Nazioni più colpite dai dazi per trovare altri sbocchi alle loro esportazioni? Storicamente si parla di un intervallo che va da pochi mesi a diversi anni: mediamente da 1 a 3 anni prima di ritrovare un equilibrio significativo. Non è una strada che si può facilmente percorrere ed è praticamente certo che, per i diplomatici di almeno una novantina di Paesi, il lavoro per convincere Trump a ridurre le sue pretese prossimamente non mancherà. Ma sarà dura. L'abbiamo detto più volte: Trump ha bisogno di denaro e pure molto.
- Per evitare i dazi Trump insiste che i produttori devono investire maggiormente sul territorio americano. Quanto tempo ci vuole per avviare una fabbrica negli USA? Abbiamo posto la domanda a ChatGPT (versione 5!) ed ecco la risposta: mediamente dai 2 ai 5 anni. Se stiamo parlando di produzione industriale standard (2-3 anni) se la produzione è high-tech (3-5 anni) e per progetti molto complessi anche più di 5 anni. Insomma, andare a produrre direttamente su suolo Americano non è una passeggiata e richiede un sacco di tempo. Non sappiamo quanti imprenditori hanno voglia di assumersi un tale rischio.
- Ma torniamo alla realtà odierna: ci siamo chiesti chi saranno coloro che dovranno pagare questi dazi o per dirla meglio chi saranno le vittime finali di questa imposizione fiscale? Anche in questo caso la risposta di chatGPT è impeccabile e ve la proponiamo integralmente (grazie per la pazienza...):
Come funziona davvero il “peso” dei dazi
Il dazio è riscosso all’importazione, quindi lo paga l’importatore statunitense al momento dello sdoganamento.
L’importatore ribalta il costo (parzialmente o totalmente) sui prezzi di vendita interni.
Il consumatore americano paga il prezzo più alto sul prodotto importato — o, se sceglie un sostituto domestico, paga comunque un prezzo più alto perché anche il produttore USA alza i prezzi (effetto di protezione).
Le imprese a valle (che usano beni importati come input, ad esempio componenti elettronici o acciaio) vedono crescere i costi di produzione e li traslano a loro volta sui clienti finali.
Dati empirici recenti
Ciclo di dazi 2018–2019 (Trump I)
Uno studio di Federal Reserve Bank of New York, Princeton e Columbia stimava che quasi il 100% del costo dei dazi è stato trasferito a importatori e consumatori USA sotto forma di prezzi più alti.Effetto moltiplicativo
Non solo i beni importati diventano più cari, ma anche quelli domestici concorrenti aumentano di prezzo per approfittare della ridotta concorrenza estera.
Formalmente il dazio colpisce l’esportatore straniero, ma nella realtà il costo si scarica quasi interamente sull’economia interna USA: consumatori, imprese importatrici e produttori a valle. È una tassa indiretta e regressiva che pesa di più su chi ha meno margine di reddito."
- Ma torniamo alle nostre domande e risposte: quali potrebbero essere gli effetti economici (ma non solo) per il paese che promuove l'introduzione dei dazi? La risposta in questo caso è piuttosto semplice: l’imposizione di dazi può offrire benefici immediati a certe industrie domestiche, ma rischia di degradare la crescita economica, aumentare l’inflazione, danneggiare i consumatori e minare le relazioni diplomatico-commerciali nel lungo periodo. In effetti fra qualche settimana (di norma una decina) potremmo probabilmente toccare con mano se l'introduzione dei dazi avrà un'incidenza negativa sull'inflazione americana. A tal proposito martedì 12 agosto assisteremo alla pubblicazione del CPI americano atteso al 2.8% (precedente:2.7%) e al core CPI atteso al 3.1% (precedente: 2.9%). Insomma le aspettative, ancora prima che i dazi abbiamo effettivamente avuto il tempo di fare il loro lavoro, sono per un rialzo del rincaro. Speriamo che si fermi lì, ma abbiamo qualche ragionevole dubbio...
- Per finire ci siamo chiesti come potrebbero reagire i mercati finanziari soprattutto quelli americani. La tabella qui sotto riporta gli effetti a breve e a lungo termine:
Lo S&P500 (+8.63% ytd) non è stato da record storico ma ci sta andando vicino. Occhio ai numeri dell'inflazione di martedì prossimo che potrebbero fare da catalizzatore. Un numero inferiore alle aspettative potrebbe portare al 100% la probabilità di vedere un taglio ai tassi il 17 settembre. Attualmente tale probabilità si situa al 92%.
Chi invece un nuovo record storico l'ha messo a punto è stato il Nasdaq (+11.08% ytd) che sta approfittando del momento di grazia dei M7: i volumi sono interessanti e i 21'000 punti sono stati superati di slancio. Dove andrà a finire? Questo l'analisi tecnica per il momento non è proprio in grado di dircelo. Quello che è certo è che il trend è al rialzo e noi lo lasciamo correre.
Bene anche l'Eurostoxx50 (+9.23% ytd) che sembra per lo meno voler rientrare nel canale di consolidamento che troviamo tra i 5'300 e i 5'470 punti. Saremmo sorpresi se trovasse la forza di andare oltre la resistenza dei 5470. Per il momento sarebbe già bello se si trovasse il modo di digerire in fretta i dazi al 15% che non sono poca roba ma a detta di molti imprenditori sono ancora gestibili.
A ben pensarci, considerando tutto quello che ci sta accadendo, lo SMI (+2.29% ytd) non dovrebbe essere a questi livelli ma ben più in basso a dimostrazione del fatto che gli investitori in azioni sono degli inguaribili ottimisti!
Il dollaro americano per il momento sembra volersi apprezzare malgrado la possibilità di assistere ad un taglio ai tassi per il 17 di settembre. Evidentemente, la riduzione importante delle importazioni ha fatto sì che si vendessero meno dollari del consueto.
Anche contro euro il dollaro sta probabilmente cercando di muoversi lateralmente e non è escluso che un nuovo canale di spostamento si sta creando tra 1.1430 e 1.18.
Euro-franco è sempre in spostamento laterala ma questa settimana l'ha chiusa con l'euro pronto anche ad uno sfondamento rialzista della resistenza che si situa leggermente sopra i 94 centesimi. Comunque fino a quando non ci sarà l'evidenza dello sfondamento per noi lo spostamento resta ancora laterale.
Terminiamo il nostro intervento spendendo due parole due sull'oro che questa settimana è stato oggetto di molte attenzioni in quanto la sua esportazione dalla Svizzera verso gli USA è la causa di una fetta molto consistente del nostro surplus commerciale nei confronti degli americani. L'eccezionale richiesta di metallo giallo da parte anche degli USA ha fatto esplodere le esportazioni che notoriamente sono state fino ad oggi esenti da dazi. Comunque sia l'applicazione di un dazio al 39% sulle barre da un kg di oro, che fino all'altro ieri era dato per scontato, è attualmente messa in discussione. Pare che a breve ci saranno dei chiarimenti da parte dell'amministrazione Trump e vedremo se si ritornerà alla situazione iniziale (no dazi) o se verranno applicati dazi calmierati. Diciamolo: per il momento è un gran pasticcio!