domenica 21 settembre 2025

La FED taglia con giudizio



Una riduzione di un quarto di punto dei tassi americani era la previsione più gettonata e mercoledì in serata ne abbiamo avuto la conferma. Meglio così, altrimenti in assenza di un taglio, Dave Sekera di Morningstrar, consigliava "di indossare un casco, nascondersi sotto la scrivania e stare all'erta" poiché i tre tagli consecutivi attesi dal mercato non sarebbero stati più così scontati. In un attimo le borse di mezzo mondo avrebbero subito una forte pressione ribassista.

Ma il taglio c'è stato e a giudicare da come si è mosso il dollaro martedì nel primo pomeriggio, quando inspiegabilmente e in una frazione di secondo ha perso una settantina di basis points contro le principali valute, ci è pure venuto il sospetto che la riduzione sarebbe potuta essere di mezzo punto. Comunque sia Powell, durante la conferenza stampa, ha escluso tagli così aggressivi ed ha spiegato perché si è mosso con maggior prudenza:


  • “Risk-management cut”:
Powell ha definito il taglio di 25 punti base una mossa di gestione del rischio.
Significa che la decisione è stata presa non tanto perché ci sia la certezza di una crisi, ma perché stanno emergendo segnali - soprattutto nel mercato del lavoro - che suggeriscono che potrebbe essere opportuno premunirsi. Insomma, l'America non è in crisi ma se la FED non fa nulla potrebbe andarci presto; sta quindi mettendo le mani in avanti.

  • Condizioni del mercato del lavoro più deboli:
Ha osservato che si stanno creando meno posti di lavoro ed il tasso di disoccupazione, sebbene da livelli molto bassi, è salito. Un campanello d'allarme sta suonando.

  • Bilanciamento dei rischi fra inflazione e occupazione:

Se fino a qualche mese fa i rischi erano chiaramente sbilanciati verso un'alta inflazione, ora il rischio maggiore sembra essere la debolezza nell’occupazione .

  • Politica monetaria: da restrittiva sta andando verso la neutralità:
La politica monetaria è già a livelli restrittivi, ossia tali da frenare l’economia: con questo taglio si sta spostando verso una posizione più “neutrale”. Rammentiamo che molti economisti e la stessa FED vedono il tasso r* attorno al 3% . Rammentiamo che r* è quel tasso di interesse stimato che non sprona né frena l'economia. Prevediamo che molto al di sotto di questo tasso quelli americani non andranno. Trump dovrà farsene una ragione.

  • Inflazione ancora sopra il target, ma segni che i rischi persistenti stanno calando:
L’inflazione è al di sopra del 2%, ma Powell ha detto che i rischi di un rincaro “più alto e persistente” sembrano meno gravi rispetto al passato.
Gli effetti dei dazi sono stati considerati temporanei e non necessariamente capaci di alimentare un processo inflazionistico duraturo.

  • Importanza dei dati in arrivo / approccio “data-dependent”:
Powell ha ribadito che la Fed non è su un percorso prestabilito: ogni decisione futura si baserà sui dati economici in genere e sull’evoluzione del mercato del lavoro in  particolare. Un occhio di riguardo è riservato all'inflazione e non sottovaluterà i rischi geopolitici internazionali. 


Allo stato attuale ci sembra di capire che l'economia americana è in una forma più che discreta:


Il GDPNow della FED di Atlanta , quello che stima in tempo reale il PIL degli Stati Uniti, segnala una crescita del 3.2%: sappiamo che è un indicatore molto volatile ma comunque quel 3.2%  ci induce a credere che non ci sia una gran urgenza di far scendere tanto velocemente i tassi.


E' comunque chiaro a tutti che un solo taglio dello 0.25% serve a poco e quindi presto o tardi è lecito aspettarsene degli altri. Vediamo come la pensano quelli della FED:




Dopo il taglio di 
mercoledì ci ritroviamo con il tasso dei Fed funds tra il 4.25% ed il 4%. Appare abbastanza evidente che, malgrado il sorgere sempre più frequente di opinioni divergenti in seno al governatorato della FED, anche questa volta i funzionari hanno serrato i ranghi a sostegno della politica di Powell: l'unico governatore che perorava un taglio di mezzo punto è stato il neo-assunto Miran, guarda caso un fedelissimo di Trump. Quest'ultimo vedrebbe di buon grado i tassi per fine anno sotto il 3% (cerchietto rosso) e per arrivarci servono due tagli a ottobre e dicembre di mezzo punto l'uno. 
Per tutti gli altri  è sufficiente procedere con un paio di tagli dello 0.25%. 
Per il 2026, e questa è forse una parziale sorpresa, la maggior parte dei governatori prevede per il momento un solo taglio che, come vedremo dopo, ha rianimato momentaneamente il dollaro americano.

Se i Governatori hanno le idee abbastanza in chiaro,  vediamo ora cosa si aspetta il mercato per i prossimi tre mesi:



 In effetti per fine anno dovremmo trovarci con i rendimenti americani attorno al 3.77 il che corrisponde per la precisione ad un taglio e mezzo. Dal momento che mezzo taglio non esiste, siamo propensi a pensare che due tagli rientra in ciò che possiamo dare per scontato.


Già che ci siamo ci sembra interessante constatare che per quanto riguarda l'eurozona il mercato giudica che i tassi resteranno agli attuali livelli per un paio di anni e lo stesso lo possiamo dire anche per la Svizzera.  

Per quanto concerne il nostro Paese le aspettative giocano a favore dello status quo. Se giovedì 25 settembre assisteremo ad un taglio allora inizieremo a preoccuparci in quanto il presidente della BNS si è sempre detto contrario all'introduzione di tassi negativi fatto salvo "se siamo confrontati con una grave crisi". Forse l'eccessiva forza del franco svizzero potrebbe giustificare un taglio ma sarebbe l'unico valido motivo per forzare la mano al nostro istituto di emissione. 




Per la serie "nice to know", poi la finiamo qui con i tassi americani, abbiamo intravvisto sul Wall Street Journal questo grafico che rappresenta il dissenso tra i Governatori della FED in occasione delle decisioni sui tassi.

Di norma la FED è una istituzione che è alla costante ricerca di un consenso interno al fine di presentarsi di fronte al mondo della finanza e dell'economia americana come un'entità solida, compatta e dalle idee in chiaro. Ma non è sempre stato così: soprattutto negli anni '80 e '90 (Volcker e Greenspan)  i dissensi erano frequenti. Era il periodo dell'alta inflazione che imponevano politiche di lacrime e sangue molto restrittive ed è comprensibile che i dissensi fossero parecchi.

Dalla fine degli anni 90 in poi il consenso (vero o presunto...) è aumentato notevolmente e i voti all'unanimità si sprecano. Con l'arrivo di Trump la musica sembra cambiare e Miran è il nuovo capostipite dei dissenzienti.


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Alla luce delle ripercussioni negative registrate sui mercati europei martedì 16 settembre, è impossibile ignorare l’intervento di Draghi alla conferenza promossa dalla Commissione europea tenutasi ad un anno dalla pubblicazione del Draghi Report: il rapporto, se ricordate bene,  conteneva 300 misure urgenti per colmare il divario con gli Stati Uniti e la Cina.

Il suo intervento è stato senza peli sulla lingua e ciò che ha detto è stata una mazzata per le istituzioni europee e i loro dirigenti.  Riassumiamo i punti principali:

  1. Lentezza nell’implementare le riforme
    Draghi ha fatto notare che solo una piccola parte delle raccomandazioni è stata concretamente applicata. Si sta procedendo troppo lentamente. 
  2. Modello di crescita in declino
    Ha avvertito che il modello economico europeo “sta sfumando rapidamente”,  le vulnerabilità stanno aumentando e non esiste ancora una via chiara per finanziare gli investimenti necessari.
  3. Competitività vs Rivali globali
    • L’UE è messa sotto pressione dalle tariffe statunitensi e da un trade deficit crescente con la Cina. 
    • Sul fronte dell’intelligenza artificiale (IA): gli USA hanno prodotto molti più modelli “fondamentali” (“foundation models”) rispetto all’Europa; anche nelle infrastrutture digitali e nell'adozione industriale dell’IA ci sono parecchie  aree (troppe)  in cui l’Europa è indietro. 
  4. Costo più alto dell’energia e ostacoli normativi/infrastrutturali
    Draghi ha richiamato l’attenzione sui costi energetici in Europa (in particolare del gas naturale) molto più elevati rispetto agli USA — questo penalizza le imprese, il settore tecnologico e l’innovazione. Non parliamo poi delle barriere regolatorie, burocratiche e delle difficoltà nel far crescere su larga scala le innovazioni digitali. Questi sono problemi chiave.
  5. Urgenza e scala dell’azione
    Draghi ha esortato a prendere decisioni rapide ed a operare su scala (cioè non solo interventi piccoli o sparsi) con maggiore intensità. “Andare avanti come al solito” significherebbe “arrendersi all’essere superati”. Ha insistito sul fare le cose insieme, non frazionate ed allocare risorse dove hanno un impatto concreto. 
  6. Critica dell’inerzia politica
    Ha detto che spesso la lentezza viene giustificata con la complessità istituzionale europea e con la necessità di rispettare procedure, ma troppo spesso sono solo delle scuse!
Potremmo andare avanti ma pensiamo che abbiate capito il tenore e l'intensità del suo intervento: purtroppo l'hanno recepito anche i mercati azionari e martedì è stata tutt'altro che una giornata gloriosa. Speriamo sia l'ultima di questa entità.

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Dei record storici dello S&P500 (+13.31% ytd) per quest'anno abbiamo perso il conto! Comunque sia a noi più che i record interessa il trend di questo mercato che questa settimana ha superato i 6'600 punti e sembra, malgrado una costante situazione d'ipercomprato, non volersi fermare. Non preoccupatevi dei volumi in netto rialzo: venerdì era scadenza opzioni e notoriamente c'è parecchio movimento (vale per tutte le borse)


La divergenza con l'algoritmo di Ned Davis è palese: il taglio ai tassi ( e quelli che verranno...), l'avanzare inesorabile dell'intelligenza artificiale e gli aspetti tecnici quali ad esempio i riacquisti di azioni proprie non possono essere previsti, come fa il modello di Davis,  dalla media statistica dei comportamenti passati. 
E' certo che l'IA sta disegnando nella testa degli investitori degli scenari positivamente sconvolgenti e c'è solo da sperare che il futuro sia effettivamente quello che noi oggi immaginiamo altrimenti, ma non sappiamo dire quando, avremo grossi problemi da risolvere. Ogni tanto portiamo a casa un po' del guadagno fatto. 



Oramai i 21'000 punti il Nasdaq (+17.20% ytd)  se li è già lasciati alle spalle da qualche settimana ed il trend, imperterrito, sta puntando ancora verso l'alto. Non siamo in grado di dire dove vuole andare, ma lo lasciamo fare: fino a quando rimane all'interno delle due linee ascendenti verdi a noi sta bene e ci teniamo la tecnologia nel deposito.


 Se non vi fosse stata la giornataccia del 16 settembre (vedi freccia rossa) a quest'ora l'Eurostoxx50 (11.49% ytd) sarebbe già sopra la fatidica resistenza dei 5'470 punti. Non siamo lontani ma per il momento restiamo dentro il canale laterale di consolidamento. E' probabile che il buon momento della borsa americana riesca ad influenzare anche le nostre e quindi dovrebbe essere solo una questione di tempo prima di vedere lo sfondamento della resistenza. Se avviene , come già detto la scorsa settimana, saremo compratori (con giudizio...).


Se fino alla scorsa settimana i 12'230 punti dello SMI (4.39% ytd) erano un debole supporto, oggi sono diventati una resistenza speriamo non troppo arcigna. Vedremo giovedì prossimo (25.09) se la BNS saprà in un qualche modo stimolare il nostro mercato ma se, per delirio di ipotesi, dovesse effettivamente spedire i tassi in negativo (probabilità piuttosto bassa) la reazione sarebbe la stessa di quella che si otterrebbe se i tassi fossero stati rialzati. La sola cosa che può fare di positivo la nostra banca nazionale è quella di tenere i tassi invariati. 

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Come già sottolineato martedì l'idea di un taglio ai tassi americani di mezzo punto ha schiantato il dollaro che in un men che non si dica ha sfondato il supporto a 0.7920 e si è fermato solo un centinaio di basis point più sotto (freccia rossa). Per fortuna il messaggio non troppo dowish della FED ha riportato un poco di entusiasmo sulla moneta americana ma, ahinoi, il trend per il momento è decisamente ribassista: potrebbe cambiare direzione e mantenerla per un certo periodo a condizione di tornare almeno contro franco sopra lo 0.8050 (non impossibile).


Come avevamo detto la scorsa settimana, l'euro contro dollaro era pronto a fare una visita all'1.19 cosa che in effetti è avvenuta. Poi ha ritracciato e per il momento voglia di andare sopra l'1.19, poca.



Tutto sommato l'euro contro franco tiene. Quest'anno la rivalutazione della nostra moneta contro quella europea è stata marginale (+0.59%) e va bene così. L'euro rimane chiaramente in una fase di consolidamento e si sposta in direzione della freccia blu. Per noi sta bene.


Il 16 settembre abbiamo visto per la prima volta l'oro andar sopra i 3'700 $ per oncia! Ha chiuso la settimana non troppo lontano ed ora sta consolidando come è giusto che sia. Rimane sempre in deciso ipercomprato e per il momento rinuniciamo a fare nuove posizioni ma... i 3'800 $ per oncia sono sempre nel nostro mirino!

Buona domenica!

PS: la prossima settimana Appunti Finanziari si prende una pausa!
 

domenica 14 settembre 2025

BCE: pausa di riflessione

Ci sono i falchi e le colombe e da questa settimana, nello zoo della finanza internazionale,  ha fatto la sua apparizione anche la civetta. Per capire da dove arriva, dobbiamo iniziare le nostre consuete riflessioni partendo da quanto deciso giovedì dalla Banca Centrale Europea (BCE). In linea con le aspettative e dopo otto tagli consecutivi al costo del denaro, la BCE si è concessa una pausa. Christine Lagarde ha giustificato il momento di riflessione come segue:

  1. Inflazione vicina all’obiettivo di medio termine
     I dati attuali mostrano un’inflazione coerente con l’obiettivo del 2 %, confermando che la politica monetaria resta “in una buona posizione”. Infatti l'inflazione europea è vicina al 2% e si potrebbe dire che l'obiettivo è praticamente raggiunto. Ulteriori tagli richiederebbero dati economici significativamente più deboli.

  2. Approccio “meeting-by-meeting” basato sui dati
    La decisione è stata presa senza un percorso predefinito per i tassi futuri: ogni mossa verrà ponderata in base ai nuovi dati economici e alle prospettive di inflazione e crescita. Rivisitando le tradizionali etichette di “falco” o “colomba”, Lagarde si è definita una “civetta”: vigile su tutti i fronti e pronta a reagire esclusivamente ai dati osservati. Per info: la civetta può ruotare la testa fino a 270° al fine di ottimizzare il suo campo visivo
     e dispone pure di efficienti visori notturni. Insomma, nulla le sfugge!

  3. Resilienza dell’economia e riduzione dell’incertezza commerciale
    Nonostante i rischi esterni (come i dazi USA), l’economia dell’eurozona mostra segnali di tenuta. La riduzione delle incertezze commerciali è stata un elemento positivo. Su questo punto, forse la vera sorpresa, ci ritorniamo tra poco.

  4. Previsioni macro e proiezioni aggiornate
  5. La BCE ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per il 2025 (attorno al +1,2 %), mantenendo moderatamente positive quelle sull’inflazione futura (circa 2,1 % nel 2025; in discesa nel biennio successivo).
In sostanza, non ha detto molto di più di quanto già sapessimo ma con i tempi che corrono fa piacere ed è piuttosto rassicurante constatare che l'economia europea mostra ancora segni di vitalità:


In effetti, come evidenziato dal grafico elaborato dall'Economist che prende in considerazione l'evoluzione dei PMI di una rappresentativa selezione di paesi europei, l'attività manifatturiera sembra essere entrata in una fase di espansione dopo anni di contrazione. Evidentemente otto tagli ai tassi son serviti! Hanno di certo alleggerito i costi di finanziamento a breve delle imprese , hanno migliorato le loro aspettative di liquidità e ridotto il rischio di "credit crunch". Il PMI misura soprattutto le aspettative delle imprese e la combinazione di tassi in calo, costi energetici più gestibili ed inflazione in discesa hanno dato una spinta psicologica significativa.

Ciò che invece non sta reagendo ai tagli, come sarebbe stato lecito aspettarsi, è il settore obbligazionario in euro che fatica assai: 



da inizio anno l'indice total return delle obbligazioni in euro elaborato da Bloomberg è praticamente una linea piatta e la cosa non ci fa piacere in quanto incide negativamente, anche se non in una maniera determinante, sulle performance dei nostri depositi.

Sul perché di questa manca reazione possiamo solo azzardare qualche ipotesi:
  • I mercati avevano già prezzato gran parte dei tagli a fine 2023 e durante la seconda parte del 2024.
  • Il premio a termine è salito: significa che gli investitori chiedono un rendimento extra per detenere obbligazioni a lunga scadenza (questo vale anche per gli USA).
  • Non è più previsto un lungo ciclo di tagli ai tassi oramai che gli obiettivi della BCE sono raggiunti o quasi.
  • Probabilmente anche le prospettive di indebitamento futuro dell'Europa e gli spread di alcuni paesi importanti che rimangono larghi (Francia in primis) non riescono a stimolare la domanda per questo genere di asset.

In poche parole: i tagli hanno migliorato il sentiment (PMI), ma non hanno ancora convinto gli investitori in obbligazioni che avremo davanti a noi una lunga fase di tassi bassi e un'inflazione domata definitivamente.

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Due parole due sulla Francia: come previsto il governo è saltato ed il malcapitato neo Primo Ministro Sébastien Lecornu, un fedelissimo di Macron,  ha l'ingrato compito di formare un governo che in un qualche modo riesca - se non a ridurre - per lo meno a contenere il debito pubblico francese. Ci sono evidentemente molti altri problemi da risolvere ma quello dell'indebitamento sembra proprio essere maledettamente urgente. Infatti lo spread con i titoli di stato tedeschi è allo stesso livello se non addirittura superiore a quello italico. Le conseguenze non si sono fatte attendere: Fitch, una delle 3 agenzie di rating più importanti, ha declassato quello della Francia da AA- a A+. Insomma, più il rating scende più salgono i costi di indebitamento ed anche in Francia i debiti sono eccessivamente abbondanti. 

Ringraziamo Giannelli e il Corriere della Sera per la geniale vignetta!

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Come ben sapete una delle Corti federali d'appello statunitense ha stabilito che i dazi imposti da Trump a mezzo mondo sono illegali. L'amministrazione Trump ha subito presentato  ricorso alla Corte Suprema che lo ha accettato sul finire della settimana. Ci sarà ora l'avvio dello studio del caso con l'ascolto delle parti. A novembre ci saranno le udienze e una decisione probabilmente verrà presa nella prima parte del 2026 (c'è chi dice entro gennaio ma molti propendono per il mese di giugno).Va da sé che fino al pronunciamento definitivo della Corte Suprema i dazi restano in vigore! In caso di cancellazione dei dazi, ma ne saremmo sorpresi, prepariamoci al caos!

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Due dati (non possiamo proprio farne a meno...) hanno attirato questa settimana la nostra attenzione:


  • Richieste iniziali di disoccupazione: 263k (atteso: 235k; precedente: 236k)
Giovedì abbiamo avuto un'altra conferma che il mercato del lavoro inizia a sfornare numeri che non sono proprio tranquillizzanti. Il numero di persone che hanno richiesto per la prima volta l'indennità di disoccupazione (263k) è il più alto degli ultimi 4 anni e non dobbiamo sottovalutarlo. Probabilmente con un dato simile è altamente probabile che la FED sia pronta a tagliare il costo del denaro di un quarto di punto. Mercoledì 17 settembre lo sapremo. Morgan Stanley è talmente convinta che taglieranno i tassi che si è già sbilanciata su quelli a seguire che avverranno, secondo la banca, a ottobre, dicembre e  gennaio. Probabile ma non lo diamo ancora per totalmente scontato.


Contrariamente a quello che è successo alle obbligazioni in euro, la prospettiva di una serie di tagli al costo del denaro ha stimolato i bonds in dollari: da inizio anno la performance è buona e il total return di Bloomberg segna un +8.04%. Per noi europei il problema rimane la debolezza del dollaro: sia contro franco che contro euro la valuta americana quest'anno ha perso quasi un 13%;  malgrado il guadagno dell'8% siamo ancora, accidenti, in negativo!

Altro dato importantissimo che è uscito mercoledì scorso è quello riguardante l'inflazione made in USA

  • CPI yoy         : 2.9% (atteso: 2.9%; precedente: 2.7%)
  • Core CPI yoy: 3.1% (atteso: 3.1%; precedente: 3.1%)
I dati sono usciti tutti come da aspettative e quindi non abbiamo assistito a reazioni di panico da parte delle borse. Rimane comunque il fatto che piano piano l'inflazione americana sembra voler risalire. Mercoledì prossimo è probabile che la FED taglierà i tassi di un quarto o addirittura di un mezzo punto. Non sarà così scontato che, nei mesi successivi, ve ne saranno subito degli altri. Noi restiamo prudenti.

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Oramai allo S&P500 (+11.95%ytd) manca una manciata di punti per raggiungere il target 2025 posto a  6'600 da molti analisti. Target che è stato raggiunto con un trimestre d'anticipo ed ora non sono pochi gli analisti che vedono i 7'000 punti come approdo finale per il 2025. Il trend, per il momento saldamente ascendente, lo consentirebbe; un P/E, oramai sopra il 25, un po' meno. Noi per il momento restiamo investiti. Della piccola correzione paventata da Ned Davis, attualmente non v'è traccia ma siamo comunque vigili.



Anche il Nasdaq (+14.66% ytd) continua la sua cavalcata all'interno del canale ascendente. Ha pure approfittato di un aumento di valore di Oracle (+30% in una sola seduta!) che ha spinto l'indice verso il suo record storico. Bello ma abbiamo comunque letto un articolo dell'Economist che ci ha messo sull'attenti. Ridotto all'osso il giornalista ci fa osservare che tutto questo movimento è generato da aspettative impressionanti a proposito dei presunti guadagni stellari dovuti all'impiego dell'Intelligenza Artificiale (IA). Sarà, ma per il momento ad essere stellari ed irrazionalmente esuberanti (vi ricorda qualcosa...?) sono solo gli investimenti che si contano a centinaia di miliardi e che hanno reso ricche una manciata di aziende, Nvidia su tutte. Grossi utili derivanti dalle società che utilizzano l'IA non si sono ancora visti e speriamo che si materializzeranno in fretta altrimenti saremo sicuramente confrontati con una bolla dalle dimensioni colossali. Abbiamo preso nota.
Comunque sia chi è rimasto fuori dal Nasdaq per il momento non ha fatto bene. 
Tecnicamente parlando non si intravvedono cambiamenti di trend, anzi, siamo quasi in accelerazione. Attenti all'ipercomprato segnalato dal RSI: qualche presa di beneficio è sempre in agguato.


Malgrado i problemi della Francia, i droni russi su suolo polacco, una prospettiva di taglio ai tassi che si fa sempre più improbabile, alla mancanza di aziende seriamente implicate nello sviluppo dell'intelligenza artificiale e via di questo passo, l'Eurostoxx50 (+10.10% ytd)  tiene! E' in chiaro spostamento laterale ma a noi non disturba più di quel tanto in quanto un sano consolidamento ci mette al riparo da correzioni eccessive. Non fraintendeteci, se c'è da correggere corregge pure lui ma probabilmente in maniera più ordinata. Volumi decenti e rsi neutro dovrebbero tenerci lontano da guai grossi. Saremo compratori solo sopra i 5'470 punti.


Non c'è pace per lo SMI (+5.11% ytd)! Venerdì 12 settembre Goldman Sachs ha declassato Novartis e da hold la messa su sell... non è un declassamento da poco per un titolo farmaceutico che da solo vale quasi il 16% dello SMI. Severe sono pure le motivazioni: la concorrenza con i farmaci generici si fa sentire, la crescita della società nel futuro sarà strutturalmente più bassa del solito, la valutazione è troppo alta (parla di sopravvalutazione) e, per finire, il calendario dei farmaci in arrivo è modesto. Ne teniamo conto e la prossima settimana vedremo se quanto affermato da GS può essere sottoscritto. Poi  decideremo cosa fare considerato il fatto che il titolo è presente in numerosi depositi.
Tecnicamente i 12'400 punti sono al momento insuperabili e c'è da sperare che il debole supporto dei 12'130 venga per lo meno mantenuto. Non siamo troppo preoccupati ma insomma... quest'anno (come lo scorso) il nostro mercato non brilla più di tanto e se pensiamo che, per chi ha franchi, non ci sono molte alternative alla borsa non siamo messi benissimo.

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Per quanto riguarda il dollaro siamo nelle mani di Powell: contro chf un taglio è sopportabile. La prospettiva di ulteriori 2-3 tagli probabilmente darebbe una mazzata alla quotazione che non facciamo fatica a prevedere andrà sotto i 79 centesimi senza grandi possibilità di recupero. Al contrario un taglio di un quarto e poi si vedrà, potrebbe anche far recuperare alla valuta americana un po' del terreno perso quest'anno che con un -13% si sta comportando come una valuta di un paese in via di sviluppo (...e forse lo è!). Il 17 alle 20:00 tutti davanti a Bloomberg o al provider di info finanziarie che volete voi per vedere se Powell taglia e di quanto! Poi non mancate il suo speech alle 20:30; sarà fondamentale.


E' chiaro che la decisoine della Lagarde di non procedere se non strettamente necessario ad ulteriori tagli ai tassi europei ha dato un po' di forza all'euro che comunque rimane sempre sotto 1.19 e ci pare ancora in una fase di consolidamento laterale. E' chiaro che se Powell dovesse dare il via ad una serie di tagli temiamo che non solo vedremo forare la resistenza a 1.19 ma andremo pure a testare un valore attorno al 1.20. Fino a mercoledì comunque non succederà nulla di eclatante. Poi la volatilità in una direzione o nell'altra si accentuerà.


L'euro si sta indebolendo leggermente contro franco dal mese di agosto ma rimane per il momento ancora all'interno del canale di scorrimento laterale (0.9275 e 0.94). E' probabile che non succederà un granché fino al 25 di settembre giorno dove si riunisce la Banca Nazionale Svizzera. A tal proposito ci sono sul tavolo alcune ipotesi di lavoro che ci hanno messo sull'attenti.  Non è escluso che il nostro istituto centrale è pronto a dei tagli che potrebbero variare tra lo 0.25 e il mezzo punto. Mezzo punto darebbe una mazzata al valore del franco e vedremmo l'euro (ma pure il dollaro) schizzare verso l'alto di alcune centinaia di basis points. Domanda: siamo così mal messi in Svizzera da dover inserire i tassi negativi? Non sembrerebbe ma noi non siamo la Banca  Nazionale e certi dati li ha solo lei. Vedremo.


E' da un paio di settimane che non parliamo più del bitcoin. Ha passato una quindicina di giorni a consolidare attorno ai 110k-111k poi la prospettiva di diversi tagli ai tassi gli ha fatto fare un salto che lo porterà verosimilmente a testare ancora i massimi attorno ai 120k. Abbiamo una piccola posizione che teniamo.

Buona domenica!


domenica 7 settembre 2025

Settembre, mese funesto?

Settembre, finanziariamente parlando, gode di una dubbia fama: tant’è che, in un articolo su Barron’s di questa settimana, una brillante giornalista ci ha informato che probabilmente si apprestava ad andare a dormire e sarebbe cosa gradita se qualcuno la svegliasse solo agli albori del mese di ottobre. 😄


In effetti anche i dati statistici confermano quanto il mese di settembre sia poco gentile nei confronti di noi investitori e se i numeri non vi dicono un granché, siamo certi che nella vostra mente sono ancora ben presenti le vistose correzioni del 2001 (torri gemelle) del 2002 (scoppio definitivo bolla internet) del 2008 (fallimento Lehman Brothers) del 2011 (declassamento rating USA) e soprattutto quella del 2022 (rialzo tassi FED post covid) tutti eventi che si sono materializzati durante il mese settembrino.

E' quindi salutare chiedersi se anche quest'anno potremo assistere ad una importante correzione  considerato che i P/E, soprattutto del  Nasdaq e dello S&P500, ci stanno raccontando una storia fatta di sopravvalutazioni condita da un buon numero di società dagli outlook incerti. Diciamo che non possiamo escluderlo...


...così come non lo esclude l'algoritmo del nostro amico Ned Davis, anzi: si aspetta per settembre una correzione dello S&P500 di 3-4 punti percentuali; diciamo che non è la fine del mondo ma comunque equivale a circa un terzo di quanto accumulato da questo indice da inizio anno. Quindi un po' di prudenza è consigliata e se qualcuno volesse prendere una parte dei profitti, ammesso che ci siano...,  non abbiamo nulla in contrario.

Va comunque considerato che il mese di settembre del 2025 non è un mese qualunque: dopo tanto attendere il 17 assisteremo, oramai è certo, ad un taglio ai tassi americani di un quarto di punto; c'è addirittura chi sostiene che non sarebbe sorpreso di vederne uno da mezzo (la probabilità è al 10%) ma  significherebbe che la FED improvvisamente vede nero...
Comunque sia, quello che sarà veramente importante è quanto vorrà dirci Powell a proposito delle mosse successive. Seguiranno altri di tagli? Quando?  Ovviamente la risposta a queste domande, come ben sapete, dipenderà dai dati e soprattutto quelli legati al mondo del lavoro saranno fondamentali. Ma partiamo da quelli che sono stati pubblicati questa settimana:

  • Offerte posti di lavoro (JOLTS) luglio: 7.2 mio (atteso: 7.4 mio; precedente: 7.4 mio). Le offerte sono in calo e soprattutto nella piccola e media impresa la tendenza è quella di NON più cercare nuovi collaboratori. Il valore dello JOLTS del mese di luglio è uno dei più bassi dopo il covid.
  • Nuovi posti nell'economia privata (ADP) agosto: 54k (atteso: 75k; precedente: 79k). Gli ADP non sono molto affidabili ma ciononostante non possiamo far finta di nulla: anche nel settore privato si sono creati ad agosto meno posti di lavoro e conferma che effettivamente un rallentamento è in corso.
  • Nuove richieste di disoccupazione al 30.8 (dato settimanale): 237k (atteso: 230k, precedente: 229k) i numeri sono tutto sommato abbastanza stabili, vedremo nelle prossime settimane se vi sarà un peggioramento (probabile...)
  • Nuove buste paga settori non agricoli agosto: 22k (atteso: 75k; precedente: 79k) il dato è di quelli preoccupanti e se qualche governatore della FED ha ancora dei dubbi a proposito della necessità di un taglio ai tassi, con dei numeri simili i dubbi si sono di certo dissipati.
  • Disoccupazione agosto: 4.3% (atteso: 4.3%; precedente: 4.2%). Era dall'ottobre del 2021 che il tasso di disoccupazione americano non toccava il 4.3%. Siamo ancora a livelli accettabili ma la tendenza sembra essere quella dell'aumento...
  • Salari orari yoy: + 3.7% (atteso: 3.8%; precedente: 3.9%). Insomma coerentemente con la minor creazione e offerta di posti di lavoro i salari iniziano a scendere: avete un idea di cosa questo vuol dire in termini di propensione al consumo per i cittadini americani? Non una bella prospettiva.
Se non cambia qualche cosa nel mercato del lavoro statunitense , ed il trend ci sembra evidente, andremo sicuramente incontro ad un ulteriore peggioramento della situazione. 



Oramai il mercato si aspetta da oggi fino alla fine dell'anno almeno un paio se non addirittura 3 tagli ai tassi ed altri 3 se li aspetta entro settembre 2026. Se Powell, nel discorso che farà a margine della riunione della FED del 17, non farà capire chiaramente che, se i dati lo consentiranno, è pronto ad effettuare almeno altri 5 tagli entro settembre 2026, temiamo che gli investitori non la prenderanno molto bene. Il rischio  è quello di vedere effettivamente l'economia andare in recessione e la recessione è la criptonite che annienta le borse.  Per il momento comunque niente panico: lasciamo che Powell faccia il suo lavoro e speriamo che si esprima chiaramente.

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Parliamo sempre molto (forse troppo...) di quanto accade negli USA, quasi come se fossimo convinti che nel resto del mondo non succeda mai nulla degno di nota. In realtà, anche altrove le cose si stanno muovendo ed in molti casi purtroppo stanno assumendo delle pieghe poco rassicuranti, come in Francia, dove il governo è appeso ad un filo sottile.
Infatti lunedì 8 è previsto un voto di fiducia parlamentare: il governo del Primo Ministro François Bayrou si presenterà davanti all’Assemblea Nazionale per cercare l’approvazione del suo controverso piano di bilancio e austerity da 44 miliardi di euro. Se il Parlamento non dovesse dargli fiducia è previsto che il governo cada automaticamente. La mossa di Bayrou, quella di chiedere la fiducia,  è sicuramente disperata  ma non ha vie di scampo. La crisi politica in Francia è di quelle profonde; il Parlamento è troppo frammentato e creare un nuovo governo duraturo è un'impresa pressoché impossibile per chiunque. In poco più di un anno e mezzo, dando per scontato che quella di Bayru arriva al capolinea lunedì,  sono già 4 le coalizioni che sono evaporate! Si andrà ad elezioni anticipate? Dubitiano che Macron ne abbia voglia...
La giornata parlamentare la seguiremo con interesse considerato che il mercato francese e la sua borsa (una delle peggiori in Europa) in questo momento non godono di un grande appeal:


Il grafico elaborato dall'Economist è impietoso: lo spread di Spagna e Grecia, nei confronti delle obbligazioni dello stato tedesco,  è più basso di quello dell'Italia e della Francia. Facile quindi immaginare come il costo del debito francese sarà nei prossimi tempi sempre più alto e probabilmente anche il rating del paese potrebbe andare sotto pressione. 
Prevediamo un freno agli investimenti e andare in recessione in queste condizioni è solo una questione di tempo. Raddrizzare la situazione non sarà facile e le proposte di qualsiasi governo che riuscirà a rimanere stabile abbastanza a lungo da attuare un programma di rilancio avranno lo sgradevole retrogusto dell’austerity alla quale i francesi, come è noto, sono decisamente allergici. Insomma, avere il secondo Paese per forza economica in queste condizioni rischia di indebolire ulteriormente un'Europa che purtroppo a livello internazionale conta sempre meno .

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Certo che la parata militare del 3 settembre, organizzata dalla Cina sulla piazza Tienanmen per celebrare l'80° anniversario della fine della seconda guerra mondiale, non è proprio passata inosservata. L'evento è stato ben frequentato, complice anche l'incontro dell'Organizzazione della cooperazione di Shanghai. Fatto sta che una ventina tra presidenti e primi ministri erano presenti nella tribuna d'onore tra i quali spiccavano quello Russo, quello Indiano e quello Nord Coreano. Ci stavamo dimenticando anche di quello Iraniano!  Messi tutti insieme formano quello che qualche giornalista attempato potrebbe denominare l'Impero del Male di Reaganiana memoria, Impero che si sta coalizzando per affrontare (speriamo solo economicamente) l'altra metà del mondo non solo mostrando i muscoli a suon di missili intercontinentali e micidiali droni ma anteponendo, tanto per fare un esempio,  un sistema di pagamenti che farà concorrenza a quello odierno dove il dollaro regna sovrano. 
Sembra un'impresa da Mission Impossible, ma lo era anche solo pensare di riunire Russia, India, Corea del Nord ed Iran in un solo gremio eppure è quello che è accaduto e che sospettiamo accadrà con sempre maggior frequenza. 
Ma come è stato possibile? Molti analisti si sono resi conto che la Cina è in grado di offrire non solo tecnologia e spazi commerciali ma sta diventando un'alternativa agli "umori" di Trump e, spiace dirlo,  siamo d'accordo con Matteo Dian, professore di Relazioni internazionali dell'Asia Orientale all'università di Bologna, che in una intervista rilasciata al Corriere del Ticino (2.9.25) se ne esce con un'affermazione che fatta solo qualche mese fa avrebbe avuto dell'inverosimile: "gli Stati Uniti dAmerica, oggi, rappresentano un fattore di instabilità non tanto per i dazi, quanto per l'incertezza che generano". Abbiamo riletto la frase un paio di volte tanto per esser certi di aver capito bene. Gli USA stanno generando incertezza che è un'altra sorta di criptonite che di norma fa andare in tilt i mercati azionari: teniamolo ben presente!

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Piccola comunicazione di servizio: venerdì abbiamo avuto qualche difficoltà a stampare i soliti grafici. Con un escamotage siamo comunque riuscita ad ottenere quello che volevamo ma la forma non è la solita e la lettura è meno agevole.  Per coloro che vogliono avere una visione più chiara dei grafici, cosigliamo di cliccarci sopra. Ci scusiamo per l'inconveniente.



Una cosa appare subito evidente: dopo la pubblicazione dei dati americani sul lavoro di venerdì, in molti si sono affrettati ad acquistare Treasury spingendo il rendimento del decennale in forte ribasso. Rimane per il momento in sospeso un quesito che speriamo di riuscire a risolvere nelle prossime settimane: l'assalto ai titoli di stato americani è dovuto alla prostettiva di una serie di 5 o 6 tagli ai tassi entro il settembre 2026 oppure è la paura di un'entrata in recessione che ha spinto molti investitori a rivolgersi  verso quello che ancora oggi (ma non si sa fino a quando...) è definito l'investimento difensivo per eccellenza? Fatto sta che una riduzione di rendimento di queste dimensioni (nel grafico qui sopra sono rappresentati gli ultimi 5 giorni di mercato) ha messo le ali all'oro:


I 3'600 $ all'oncia prospettati da UBS per marzo 2026 sono già stati pressoché raggiunti. Come detto il nostro target rimane sempre a 3'800 $ così come suggerito dall'analisi tecnica.

Se l'oro sale, di solito ci sono problemi in vista per il dollaro:


infatti contro chf è andato con una certa decisione sotto gli 80 centesimi e francamente non vediamo come possa rivalutarsi, soprattutto se Powell ci farà capire che ha iniziato un ciclo di tagli ai tassi.


Anche contro euro il dollaro si è indebolito nella giornata di venerdì ma per il momento sembra ancora che sia in una fase di consolidamento laterale. Comunque riteniamo, come già annunciato la scorsa settimana, che vedere 1.19 è solo una questione di tempo.

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Non possiamo passare sotto silenzio, prima di vedere come è andata la settimana in borsa, la causa giudiziaria che una dozzina di procuratori generali statali, imprese private di vario genere e gruppi giuridici indipendenti stanno intentando nei confronti di Trump per abuso nell'uso dei poteri di emergenza. La sentenza del tribunale di primo grado ha infatti stabilito che l'uso di questi poteri da parte di Donald per imporre i dazi è illegale! Ovviamente è partito di gran carriera un ricorso da parte dell'amministrazione Trump verso la Corte Suprema chiedendo che una sentenza venga emessa in tempi rapidi. Vista la posta in gioco vi immaginate il caos che si potrebbe generare se anche la Corte Suprema darà ragione a chi ha intentato la causa? Per il momento non ci vogliamo pensare ma questa storia è l'ennesima fonte d'insicurezza e va fatta chiarezza il più presto possibile. Entro ottobre si verrà a sapere se la Corte Suprema accetterà il caso. Se sarà accettato è probabile che entro giugno 2026 avremo la sentenza. Se viene rifiutato, si torna al via senza passare per la prigione e si procede avanti tutta con i dazi: a nostro giudizio, così sarà.

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Più che la settimana dello S&P500 (+10.20% ytd) e del Nasdaq (+12.37% ytd) possiamo dire che, nel bene e nel male, è stata la settimana di Alphabet (ex Google, +24.14% ytd) che ha dominato su tutti. Infatti martedì un giudice federale ha stabilito che la società non dovrà vendere il suo browser Chrome come richiesto dal Dipartimeno di Giustizia.  La richiesta di vendere Chrome era motivata dal bisogno di rompere il legame operativo fra browser e monopolio nella ricerca promuovendo una competizione che sia degna di questo nome. Tuttavia, il giudice Amit Mehta ha ritenuto che un tale rimedio strutturale (come la vendita del browser) andasse oltre quanto necessario e suggerisce di adottare misure più mirate e proporzionate. Ovviamente il titolo in borsa prende il volo e salva non solo la giornata dell'S&P500 ma anche quella del Nasdaq.

Poi venerdì 5 settembre esce la notizia che a Google è stata comminata dall'UE una multa di 3.5 miliardi di dollari con l'accusa di abuso di posizione dominante nel settore della pubblicità digitale: ora la società ha 60 giorni di tempo per proporre delle soluzioni efficaci, in caso contrario la commissione UE  può imporre interventi più incisivi fino alla possibile cessione di parti del business pubblicitario. Trump non ha gradito e minaccia nuovi dazi all'Europa... Insomma, non se ne esce e prima o poi c'è il rischio che qualche reazione non proprio simpatica da parte dei mercati azionari la si possa anche vedere.


Finalmente qualcuno si è accordo che la Svizzera e la sua borsa esistono: quasi due punti percentuali sono stati recuperati e fanno del nostro mercato uno dei migliori per la settimana che sta per finire. Le nostre performance sono migliorate, non tantissimo, ma siamo in recupero e speriamo di procedere anche nelle prossime settimane su questa strada.
Tecnicamente è evidente che con la resistenza dei 12'400 punti lo SMI (+6.95% ytd) ha dei problemi: anche questa volta non siamo riusciti ad andare oltre questo limite e all'orizzonte non s'intravvede un granché di positivo. Il nostro pensiero è rivolto al secondo viaggio, improvvisato dal nostro ministro delle finanze Parmelin, in direzione degli USA. Lo scopo sembrerrebbe quello di fare un tentativo, mai termine fu più azzeccato, di rinegoziazione dei nostri dazi che come ben sappiamo, con un 39%,  sono stellari. Parmelin è partito con la speranza di far capire che il 39% è una punizione che non meritiamo e potrebbe proporre una riduzione dei dazi del 5% ogni tre mesi fino al raggiungimento di quelli Europei.  Pare che incontrerà il ministro del commercio Lutnick che dal canto suo ha già messo le mani avanti: "sentiamo cosa hanno da dire  - gli Svizzeri, ndr -  ma lo sapete, non sono molto ottimista." E noi pure! 
Per ragioni tattiche, le autorità svizzere hanno deciso di non divulgare alcuna informazione, riservandosi di comunicarla a tempo debito. Non ci resta che aspettare...


Buona domenica! 


domenica 31 agosto 2025

Dollaro sempre più debole?

 Questa settimana siamo stati sollecitati da più parti a dire la nostra su quello che sarà l'evoluzione a breve del dollaro e dell'oro.  Abbiamo quindi ripreso in mano il quaderno degli appunti al fine di approfondire e puntualizzare quanto analizzato nel nostro ultimo intervento. 

L'intento, alla luce dei dati che sono stati pubblicati questa settimana, è quello di valutare se lo scenario che ci proietta verso un probabile taglio ai tassi americani può essere confermato. Le ripercussioni, se così sarà, le vedremo non solo sul dollaro (probabilmente al ribasso) e sui metalli preziosi ma ci sarà del movimento in arrivo anche per obbligazioni e titoli azionari. 

Comunque, per capire fino in fondo cosa sta succedendo alla valuta americana, non possiamo ignorare quello che sui quotidiani e nei siti finanziari di mezzo mondo sta tenendo banco e che l'Economist non esita a difinire come "la guerra di Trump alla Federal Reserve", una guerra  che potrebbe avere conseguenze poco simpatiche che cercheremo di mettere in risalto.

Ma partiamo da un dato statistico (clicca sul grafico se non vedi bene):



Le probabilità che il 17 settembre la FED proceda con un taglio ai tassi dello 0.25% sono, al 30 di agosto, dell'86.4% (alla fine di luglio erano del 63.3% e la scorsa settimana erano all'84.7%). Diciamo che un taglietto è praticamente quasi scontato. A quanto pare ciò che ha convinto Powell a diventare più dovish sono stati i dati sul mercato del lavoro che a suo giudizio è "in uno strano equilibrio": in sostanza ritiene che la domanda e l'offerta di lavoro stia rallentando all'unisono mantenendo artificiosamente stabile la disoccupazione ma riducendo in tal modo il respiro dell'economia. Noi, se ben ricordate, avevamo cercato segnali tangibili di un rallentamento della domanda e dell'offerta di lavoro, ma in realtà non ne avevamo trovati; ci era persino sorto il sospetto che il cambio di passo di Powell fosse una risposta alle sollecitazioni di Trump.



Ma un sospetto non è una certezza e ci siamo detti che forse bisogna indagare più a fondo in quanto è probabile che qualche cosa ci sia sfuggito. In effetti è possibile che non abbiamo dato il giusto peso alla revisione dei non farm payrols (i nuovi posti di lavoro non agricoli): sappiamo che questo dato è soggetto a revisioni anche piuttosto importanti ma quelle al ribasso di maggio e giugno (ovale rosso)  sono state impressionanti! Qui bisognerebbe aprire, ma oggi non lo faremo,  un dibattito sulla qualità sempre più scadente dei dati raccolti dal Bureau of Labor Statistics, qualità che è costata il posto di lavoro al suo direttore licenziato sui due piedi da Trump. Dovremo aspettare il 5 di settembre per avere il prossimo dato ma quella prima stima di 73'000 posti di lavoro, pochini a dir la verità, non promette nulla di buono e probabilmente giustificherà il taglio del 17 settembre. 


Anche il PCE (l'indicatore di inflazione americana preferito dalla FED) per il mese di luglio è rimasto stabile: per il momento, malgrado i dazi, non sembrano esserci spinte eccessivamente inflazionistiche ma forse per cantare vittoria è un po' presto. Vedremo quando le scorte di magazzino, accumulate in fretta e furia prima dell'applicazione dei dazi, saranno terminate e poi ne riparleremo. E' comunque un altro dato che dovrebbe, nel breve termine, tranquillizzare Powell e permettergli di tagliare i tassi senza troppi patemi d'animo e con buona pace del dollaro che continuerà con ogni probabilità ad indebolirsi.

Altra informazione di servizio che potrebbe indebolire ulteriormente il dollaro è giunta martedì: a quanto pare la Banca Nazionale Svizzera (piccolina ma vanta un trilione di dollari di riserve valutarie, terzo istituto al mondo; 39% sono in dollari e 37% in euro) intende vendere dollari contro euro (!) per meglio bilanciare i suoi investimenti. Ovviamente non è stato dichiarato di quale importo stiamo parlando ma i cambisti di mezzo mondo credono che le cifre in ballo non siano indifferenti... (per inciso la BNS ha anche detto che NON acquisterà bitcoin e NON aumenterà le riserve di oro).


Insomma, Trump tutto sommato sta ottenendo quello che vuole: un dollaro debole!  Nei confronti di un paniere contenente le principali 6 valute a livello mondiale (DXY) ha già perso da inizio anno il 10%... andare ancora più giù, ahinoi, non è impossibile. Tra tassi al ribasso, banche nazionali che vendono e, diciamocelo, un'America che sta tirando i remi in barca nei confronti del resto del mondo non vediamo come sia possibile per il momento cambiare il trend discendete. 

E' noto a tutti che una valuta nazionale eccessivamente debole, soprattutto per una nazione grande importatrice com'è l'America, è potenzialmente foriera di un'inflazione in (forte) crescita che trascinerebbe i tassi proprio dove Donald non vorrebbe, al rialzo!  Vi segnaliamo che lo spread tra i tassi a corto - quelli fino a 2 anni controllati direttamente dalla banca centrale - e quelli a lungo "decisi" dal mercato è al massimo degli ultimi 3 anni a significare che gli investitori sono preoccupati per l'inflazione futura e se, come evidenziato dall'Economist, la guerra contro la FED dovesse continuare fino a minarne l'indipendenza le cose potrebbero solo che peggiorare. E' il maggior pericolo per la valuta americana che noi conosciamo e su questo tema dobbiamo, abbiate pazienza, fermarci un attimo per mettere bene in chiaro cosa potrebbe succedere. 

Sappiamo tutti che il ruolo di una Banca Centrale, detto in maniera parecchio generica,  è quello di stabilizzare l'inflazione attraverso la manipolazione dei tassi di interesse. La particolarità di quella Americana (FED) è di aver ricevuto un doppio mandato sancito dal Congresso USA che si esplica in:

    • Favorire la massima occupazione possibile nel lungo termine.
    • Stabilizzare i prezzi: ovverosia mantenere l'inflazione attorno al 2%.

    Riassunto all'osso: deve tenere l’inflazione sotto controllo senza soffocare l’economia mantenendo l’occupazione la più alta possibile.

    Per raggiungere i suoi obiettivi una Banca Centrale deve avere un'autorevolezza che le deriva da un mix di almeno tre fattori:

    • Legittimità: deve avere un chiaro mandato riconosciuto dallo Stato;
    • Credibilità: le deriva dalla fiducia dei cittadini ma soprattutto dei mercai grazie a risultati eccellenti e alla coerenza nei comportamenti;
    • Indipendenza dalla politica: NON deve essere soggetta a pressioni, soprattutto nel breve termine, di alcun genere da parte dell'apparato governativo.
    Se parlate con un qualsiasi economista a proposito dell'autorevolezza di una Banca Centrale vi accorgerete che il terzo punto è quello imprescindibile ed irrinunciabile. Ora poniamoci una domanda: 

    Gli Usa sono uno dei paesi più indebitati al mondo in termini assoluti: cosa significa avere una FED che non è totalmente indipendente dal potere politico? La domanda è importante perché in gioco c'è il rapporto tra debito pubblico, la politica e la banca centrale.

    Il debito pubblico statunitense si avvicina a grandi passi ai 37 trilioni di dollari e per il momento gli americani riescono a finanziarlo senza troppi problemi essendo il dollaro valuta di riserva globale. La domanda di dollari rimane per il momento ancora elevata così come resta elevata la richiesta dei buoni emessi dal Tesoro (Treasury). Ma se non ci fosse una FED indipendente che fa da garante e i mercati iniziassero a dubitare che la banca centrale americana stampa dollari solo per aiutare il governo a ripagare i suoi debiti, dove pensate che andrà a finire la sua valuta?

  • Per rispondere a questa domanda basta osservare cosa è successo al dollaro da quando Trump ha preso di mira Powell con epiteti di vario genere e ne ha minacciato a più riprese il licenziamento. Sta cercando di licenziare, a suo dire per giusta causa, la governatrice Lisa Cook che non sta dalla sua parte ed ha pure nominato un paio di governatori compiacenti. Altrettanto compiacente dovrà essere il nuovo presidente della FED quando Powell, a maggio 2026, terminerà il suo mandato: la nomina sarà annunciata probabilmente molto prima del solito, tanto per rompere le scatole all'attuale governatore, e per imporre il più presto possibile la nuova via da seguire che avrà in Donald la sua fonte di ispirazione. 

    Ecco quindi spiegato come mai il dollaro, in neppure 8 mesi, ha perso il 10%  del suo valore e questo è un campanello d'allarme che non va sottovalutato. Abbiamo quindi chiesto a ChatGpt di riassumere quali sono i rischi di una FED poco indipendente. La risposta deve far riflettere:

    Se la FED diventasse troppo legata al Tesoro USA (cioè al governo), potrebbero verificarsi i seguenti inconvenienti:

    • Monetizzazione del debito
      → la FED comprerebbe sistematicamente titoli di Stato per tenere bassi i tassi e aiutare il governo a finanziarsi.
      → effetto: rischio inflazione e perdita di fiducia nel dollaro.

    • Inflazione come “tassa occulta”
      → se la FED privilegia la riduzione del costo del debito rispetto alla stabilità dei prezzi, i cittadini pagano il debito pubblico attraverso l’erosione del potere d’acquisto.

    • Crisi di fiducia internazionale
      → i Paesi che detengono Treasury (es. Cina, Giappone, fondi sovrani) potrebbero dubitare della sostenibilità americana → pressione sui tassi (che schizzerebbero al rialzo, ndr) e sul dollaro.

    Insomma, ci siamo capiti: se vogliamo un dollaro che non perda in 8 mesi qualche cosa che equivale al rendimento di 2 anni e mezzo di un normale Treasury quinquennale, bisogna proteggere la banca centrale e soprattutto Trump deve smetterla di attaccarla ogni due per tre. Ma se non si ha voglia di difenderla è a questo punto che entra in scena il metallo giallo.

    Abbiamo capito che uno dei rischi di avere una FED meno indipendente è quello della monetizzazione del debito pubblico (si stampano dollari per acquistare Treasury) e notoriamente una simile azione spedirebbe l'inflazione prepotentemente verso l'alto (Per maggiori informazioni chiedere alla Turchia). A questo punto l'oro fisico è uno dei pochi beni reali che non è stampabile a piacimento e che sopravvive persino al default di uno stato sovrano. La sua scarsità è un'alternativa credibile che fa da contraltare alla svalutazione monetaria.


    E' da aprile che l'oro si trova in una fase di consolidamento laterale evidenziata dal triangolo rosso: era abbastanza plausibile, con tutta l'instabilità geopolitica in circolazione, che la rottura del triangolo sarebbe stata verso l'alto come sembra stia accadendo (vedi cerchio nero). Se anche la prossima settimana ne avremo la conferma definitiva è probabile che si sta aprendo la strada verso i 3'600 $ entro marzo 2026 come segnalato la scorsa settimana da UBS; il nostro target, tecnicamente stabilito,  è addirittura attorno ai 3'800 $ per oncia. Ci sentiamo di escludere un target ribassista a 2'900 $. Quindi, come spesso abbiamo ripetuto, chi ha dell'oro se lo tenga!

    ***

    Prima di passare alla consueta analisi dei grafici vogliamo puntualizzare che la settimana che si sta per concludere è stata avara di movimenti e le performance degli indici americani sono praticamente piatte rispetto a 5 giorni fa: limiteremo quindi il nostro commento all'essenziale.  Non si sono invece comportate benissimo le borse europee che probabilmente stanno soffrendo a causa delle turbolenze politiche della Francia. Quando lo stato condotto da Macron entra in crisi ci si può aspettare di tutto: dagli scioperi selvaggi alle barricate dei Gilets Jaunes e questa incertezza non piace ai mercati infatti sono stati  tutti penalizzati con delle minusvalenze di 3 o 4 punti percentuali.



    Lo S&P500 ( +9.84% ytd) ha durante la settimana messo a punto un nuovo massimo storico ma non è riuscito a confermalo fino a venerdì dove la seduta si è chiusa in negativo; i volumi sono stati calanti praticamente in tutte e 5 le sedute e questo dimostra che comunque le inquietudini per il momento sono ancora limitare. Comunque nulla di cui preoccuparsi seriamente: l'indice rimane per il momento saldamente all'interno del canale ascendente con obiettivo per fine anno attorno ai 6'600 punti. Inizieremo a innervosirci seriamente quando vedremo delle sedute negative con volumi in netta crescita a significare che gli investitori stanno riducendo significativamente il rischio.


    Anche il Nasdaq (+11.11% ytd) malgrado i dati più che decenti (ma senza grosse sorprese) di Nvidia pubblicati mercoledì, non è stato in grado di chiudere la settimana con un massimo storico. Non ne siamo molto lontani ma francamente a noi quel che interessa è che il suo trend possa continuare nella direzione di una crescita che non sia eccessivamente verticale garantendone la continuità nel medio termine. Non abbiamo un target specifico: ci accontentiamo che rimanga all'interno del canale ascendente segnato dalle due linee verdi!


    Peccato! Avremmo sperato che l'Eurostoxx50 (+9.31% ytd) fosse stato in grado di rompere la resistenza posta a 5'470 punti ma le vicissitudini francesi non l'hanno permesso. Ha fatto una correzione di quasi 4 punti percentuali e per il momento si è adagiato sulla media mobile dei 50 giorni (linea viola) che fa da supporto. La correzione non è molto significativa in quanto avvenuta con volumi calanti per tutta la settimana. E' probabile che per un po' assisteremo ad uno spostamento laterale in un range tra i 5.140 e i 5'470 punti. 

    ***

    Prima di farvi vedere il grafico dello SMI vorremmo mostrarvi una selezione di obbligazioni societarie in franchi svizzeri appena emesse che abbiamo intercettato questa settimana:


    Ripetiamo spesso che con i rendimenti obbligazionari attuali (vedi rettangolo rosso) non andiamo molto lontano: le obbligazioni, della durata tra i 4 e gli 8 anni, non hanno rendimenti stratosferici e per avvicinarci ad 1 punto percentuale dobbiamo spostarci verso la BBB,  che è sempre un investment grade, ma insomma... 
    Considerate che per quanto concerne le obbligazioni della Confederazione Elvetica (AAA) fino a 5 anni i rendimenti sono negativi !
    Quindi, ribadiamo che una delle poche alternative valide se si vuol investire il franco svizzero rimane il mercato azionario (con i suoi rischi...)


    Cosa possiamo dire dello SMI (+5.06% ytd)? Per il momento non moltissimo: eravamo galvanizzati dal fatto che la scorsa settimana, finalmente, avesse messo a punto una performance da non disdegnare, poi anche lui è stato fagocitato nel marasma delle vicende francesi e si è spento. Fondamentale è che regga il supporto a 12'130, altrimenti si ritorna nel canale di consolidamento degli ultimi 3 mesi e la cosa non ci piace...
    Comunque sia i dazi al 39% sono l'incubo quotidiano dei nostri politici, KKS in testa (è oramai così che viene nominata Karin Keller Sutter l'attuale Presidente della Confederazione di fede liberale): come rileva il Corriere del Ticino del 29.8.25, "secondo alcune indiscrezioni, Svizzera e Stati Uniti starebbero discutendo un accordo che prevede una correzione graduale dell'aliquota subordinata al rispetto di precise condizioni poste da Washington a Berna." ben consci che Trump non approverebbe mai una riduzione al 15% in un'unica soluzione.
    Solo per info:  in Ticino il 23% delle aziende non riesce ad assorbire i dazi al 39% (+ il 10% di svalutazione del dollaro, ndr)  e sta già pensando a una delocalizzazione... E' quindi urgentissimo accelerare le discussioni con gli americani ma, per favore, questa volta lasciamo che KKS si occupi d'altro! 

    ***


    Cosa ne pensiamo del dollaro oramai lo sapete. E' imperativo che Trump la smetta di sminuire il ruolo della FED ma forse è chiedere troppo. Quindi: o dollaro/franco tiene quota 0.80 oppure la prossima settimana ce lo ritroveremo verso i minimi dell'anno. Il trend delle ultime settimane è chiaro.


    Discorso simile anche per euro/usd: per il momento lo scorrimento è laterale me nessuno ci toglie dalla testa che prima o poi, se la retorica trumpiana non cambia, vedremo l'1.19.


    Euro/franco più laterale di così si muore. Certo che se la BNS vende dollari per comprare euro non influenza direttamente la coppia euro/franco ma è comunque un segnale che forse si sente più a suo agio aumentando le riserve in euro che non lasciarle in dollari. E' tutto dire ed indirettamente non è un brutto messaggio per l'euro...

    Buona domenica!

    PS: vi sarete accorti che sulla capoccia di Donald gli è arrivata una bella tegola: una corte d'appello gli ha bloccato i dazi in quanto "sono in gran parte illegali": ecco cosa è successo e quali potrebbero essere le conseguenze (mille grazie ancora a ChatGPT):

    Cosa è successo

    • Sentenza della Corte d’Appello: Con un voto di 7‑4, la corte ha stabilito che la maggior parte dei dazi imposti da Trump tramite l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) sono illegali: il presidente ha superato i limiti dei propri poteri, in quanto solo il Congresso può autorizzare l’imposizione di dazi The Times of India+11Investors+11TIME+11.

    • Dazi ancora in vigore… per il momento: La sentenza sarà temporaneamente sospesa fino al 14 ottobre 2025, concedendo al governo tempo per presentare ricorso alla Corte Suprema The Guardian+6The Guardian+6The Times of India+6.


    Possibili scenari futuri

    1. Appello alla Corte Suprema (SCOTUS)
      L'amministrazione Trump ha già confermato l’intenzione di ricorrere alla Corte Suprema, che avrà l’ultima parola sull’uso dell’IEEPA per imporre dazi. Se la SCOTUS accogliesse l’appello, i dazi potrebbero essere confermati; in caso contrario, scatterebbe l’annullamento The Times of India+14The Washington Post+14Forbes+14.

    2. Rimborso agli importatori
      Se la sentenza venisse confermata — e quindi i dazi dichiarati illegittimi — il governo potrebbe dover rimborsare aziende e importatori per i dazi già versati, con effetti finanziari potenzialmente ingenti InvestorsBarron'sThe Guardian.

    3. Impatto sui mercati e sui tassi
      I tradizionali introiti derivanti dai dazi (circa 28 miliardi $ solo a luglio) sono un’importante fonte di finanziamento per il bilancio federale. La loro possibile revoca potrebbe aumentare il fabbisogno di emissioni obbligazionarie e spingere in alto i rendimenti dei Treasury a lungo termine, con ripercussioni anche sulle decisioni della Federal Reserve ForbesBarron's.

    4. Dazi alternativi attraverso il Trade Act del 1974
      I giudici hanno osservato che, pur non essendo autorizzati i dazi tramite IEEPA, il presidente potrebbe usare il Trade Act del 1974, che però impone limiti: massimo 15% per 150 giorni TIME+3Wikipedia+3The Washington Post+3.

    5. Ripercussioni sulla politica commerciale futura
      Una vittoria della Corte Suprema limiterebbe significativamente la capacità del Presidente di agire per decreto in materia di dazi. Ciò rilancerebbe il ruolo del Congresso nelle decisioni commerciali. 

      Ovviamente: affaire à suivre!