domenica 7 settembre 2025

Settembre, mese funesto?

Settembre, finanziariamente parlando, gode di una dubbia fama: tant’è che, in un articolo su Barron’s di questa settimana, una brillante giornalista ci ha informato che probabilmente si apprestava ad andare a dormire e sarebbe cosa gradita se qualcuno la svegliasse solo agli albori del mese di ottobre. 😄


In effetti anche i dati statistici confermano quanto il mese di settembre sia poco gentile nei confronti di noi investitori e se i numeri non vi dicono un granché, siamo certi che nella vostra mente sono ancora ben presenti le vistose correzioni del 2001 (torri gemelle) del 2002 (scoppio definitivo bolla internet) del 2008 (fallimento Lehman Brothers) del 2011 (declassamento rating USA) e soprattutto quella del 2022 (rialzo tassi FED post covid) tutti eventi che si sono materializzati durante il mese settembrino.

E' quindi salutare chiedersi se anche quest'anno potremo assistere ad una importante correzione  considerato che i P/E, soprattutto del  Nasdaq e dello S&P500, ci stanno raccontando una storia fatta di sopravvalutazioni condita da un buon numero di società dagli outlook incerti. Diciamo che non possiamo escluderlo...


...così come non lo esclude l'algoritmo del nostro amico Ned Davis, anzi: si aspetta per settembre una correzione dello S&P500 di 3-4 punti percentuali; diciamo che non è la fine del mondo ma comunque equivale a circa un terzo di quanto accumulato da questo indice da inizio anno. Quindi un po' di prudenza è consigliata e se qualcuno volesse prendere una parte dei profitti, ammesso che ci siano...,  non abbiamo nulla in contrario.

Va comunque considerato che il mese di settembre del 2025 non è un mese qualunque: dopo tanto attendere il 17 assisteremo, oramai è certo, ad un taglio ai tassi americani di un quarto di punto; c'è addirittura chi sostiene che non sarebbe sorpreso di vederne uno da mezzo (la probabilità è al 10%) ma  significherebbe che la FED improvvisamente vede nero...
Comunque sia, quello che sarà veramente importante è quanto vorrà dirci Powell a proposito delle mosse successive. Seguiranno altri di tagli? Quando?  Ovviamente la risposta a queste domande, come ben sapete, dipenderà dai dati e soprattutto quelli legati al mondo del lavoro saranno fondamentali. Ma partiamo da quelli che sono stati pubblicati questa settimana:

  • Offerte posti di lavoro (JOLTS) luglio: 7.2 mio (atteso: 7.4 mio; precedente: 7.4 mio). Le offerte sono in calo e soprattutto nella piccola e media impresa la tendenza è quella di NON più cercare nuovi collaboratori. Il valore dello JOLTS del mese di luglio è uno dei più bassi dopo il covid.
  • Nuovi posti nell'economia privata (ADP) agosto: 54k (atteso: 75k; precedente: 79k). Gli ADP non sono molto affidabili ma ciononostante non possiamo far finta di nulla: anche nel settore privato si sono creati ad agosto meno posti di lavoro e conferma che effettivamente un rallentamento è in corso.
  • Nuove richieste di disoccupazione al 30.8 (dato settimanale): 237k (atteso: 230k, precedente: 229k) i numeri sono tutto sommato abbastanza stabili, vedremo nelle prossime settimane se vi sarà un peggioramento (probabile...)
  • Nuove buste paga settori non agricoli agosto: 22k (atteso: 75k; precedente: 79k) il dato è di quelli preoccupanti e se qualche governatore della FED ha ancora dei dubbi a proposito della necessità di un taglio ai tassi, con dei numeri simili i dubbi si sono di certo dissipati.
  • Disoccupazione agosto: 4.3% (atteso: 4.3%; precedente: 4.2%). Era dall'ottobre del 2021 che il tasso di disoccupazione americano non toccava il 4.3%. Siamo ancora a livelli accettabili ma la tendenza sembra essere quella dell'aumento...
  • Salari orari yoy: + 3.7% (atteso: 3.8%; precedente: 3.9%). Insomma coerentemente con la minor creazione e offerta di posti di lavoro i salari iniziano a scendere: avete un idea di cosa questo vuol dire in termini di propensione al consumo per i cittadini americani? Non una bella prospettiva.
Se non cambia qualche cosa nel mercato del lavoro statunitense , ed il trend ci sembra evidente, andremo sicuramente incontro ad un ulteriore peggioramento della situazione. 



Oramai il mercato si aspetta da oggi fino alla fine dell'anno almeno un paio se non addirittura 3 tagli ai tassi ed altri 3 se li aspetta entro settembre 2026. Se Powell, nel discorso che farà a margine della riunione della FED del 17, non farà capire chiaramente che, se i dati lo consentiranno, è pronto ad effettuare almeno altri 5 tagli entro settembre 2026, temiamo che gli investitori non la prenderanno molto bene. Il rischio  Ã¨ quello di vedere effettivamente l'economia andare in recessione e la recessione è la criptonite che annienta le borse.  Per il momento comunque niente panico: lasciamo che Powell faccia il suo lavoro e speriamo che si esprima chiaramente.

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Parliamo sempre molto (forse troppo...) di quanto accade negli USA, quasi come se fossimo convinti che nel resto del mondo non succeda mai nulla degno di nota. In realtà, anche altrove le cose si stanno muovendo ed in molti casi purtroppo stanno assumendo delle pieghe poco rassicuranti, come in Francia, dove il governo è appeso ad un filo sottile.
Infatti lunedì 8 è previsto un voto di fiducia parlamentare: il governo del Primo Ministro François Bayrou si presenterà davanti all’Assemblea Nazionale per cercare l’approvazione del suo controverso piano di bilancio e austerity da 44 miliardi di euro. Se il Parlamento non dovesse dargli fiducia è previsto che il governo cada automaticamente. La mossa di Bayrou, quella di chiedere la fiducia,  Ã¨ sicuramente disperata  ma non ha vie di scampo. La crisi politica in Francia è di quelle profonde; il Parlamento è troppo frammentato e creare un nuovo governo duraturo è un'impresa pressoché impossibile per chiunque. In poco più di un anno e mezzo, dando per scontato che quella di Bayru arriva al capolinea lunedì,  sono già 4 le coalizioni che sono evaporate! Si andrà ad elezioni anticipate? Dubitiano che Macron ne abbia voglia...
La giornata parlamentare la seguiremo con interesse considerato che il mercato francese e la sua borsa (una delle peggiori in Europa) in questo momento non godono di un grande appeal:


Il grafico elaborato dall'Economist è impietoso: lo spread di Spagna e Grecia, nei confronti delle obbligazioni dello stato tedesco,  Ã¨ più basso di quello dell'Italia e della Francia. Facile quindi immaginare come il costo del debito francese sarà nei prossimi tempi sempre più alto e probabilmente anche il rating del paese potrebbe andare sotto pressione. 
Prevediamo un freno agli investimenti e andare in recessione in queste condizioni è solo una questione di tempo. Raddrizzare la situazione non sarà facile e le proposte di qualsiasi governo che riuscirà a rimanere stabile abbastanza a lungo da attuare un programma di rilancio avranno lo sgradevole retrogusto dell’austerity alla quale i francesi, come è noto, sono decisamente allergici. Insomma, avere il secondo Paese per forza economica in queste condizioni rischia di indebolire ulteriormente un'Europa che purtroppo a livello internazionale conta sempre meno .

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Certo che la parata militare del 3 settembre, organizzata dalla Cina sulla piazza Tienanmen per celebrare l'80° anniversario della fine della seconda guerra mondiale, non è proprio passata inosservata. L'evento è stato ben frequentato, complice anche l'incontro dell'Organizzazione della cooperazione di Shanghai. Fatto sta che una ventina tra presidenti e primi ministri erano presenti nella tribuna d'onore tra i quali spiccavano quello Russo, quello Indiano e quello Nord Coreano. Ci stavamo dimenticando anche di quello Iraniano!  Messi tutti insieme formano quello che qualche giornalista attempato potrebbe denominare l'Impero del Male di Reaganiana memoria, Impero che si sta coalizzando per affrontare (speriamo solo economicamente) l'altra metà del mondo non solo mostrando i muscoli a suon di missili intercontinentali e micidiali droni ma anteponendo, tanto per fare un esempio,  un sistema di pagamenti che farà concorrenza a quello odierno dove il dollaro regna sovrano. 
Sembra un'impresa da Mission Impossible, ma lo era anche solo pensare di riunire Russia, India, Corea del Nord ed Iran in un solo gremio eppure è quello che è accaduto e che sospettiamo accadrà con sempre maggior frequenza. 
Ma come è stato possibile? Molti analisti si sono resi conto che la Cina è in grado di offrire non solo tecnologia e spazi commerciali ma sta diventando un'alternativa agli "umori" di Trump e, spiace dirlo,  siamo d'accordo con Matteo Dian, professore di Relazioni internazionali dell'Asia Orientale all'università di Bologna, che in una intervista rilasciata al Corriere del Ticino (2.9.25) se ne esce con un'affermazione che fatta solo qualche mese fa avrebbe avuto dell'inverosimile: "gli Stati Uniti dAmerica, oggi, rappresentano un fattore di instabilità non tanto per i dazi, quanto per l'incertezza che generano". Abbiamo riletto la frase un paio di volte tanto per esser certi di aver capito bene. Gli USA stanno generando incertezza che è un'altra sorta di criptonite che di norma fa andare in tilt i mercati azionari: teniamolo ben presente!

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Piccola comunicazione di servizio: venerdì abbiamo avuto qualche difficoltà a stampare i soliti grafici. Con un escamotage siamo comunque riuscita ad ottenere quello che volevamo ma la forma non è la solita e la lettura è meno agevole.  Per coloro che vogliono avere una visione più chiara dei grafici, cosigliamo di cliccarci sopra. Ci scusiamo per l'inconveniente.



Una cosa appare subito evidente: dopo la pubblicazione dei dati americani sul lavoro di venerdì, in molti si sono affrettati ad acquistare Treasury spingendo il rendimento del decennale in forte ribasso. Rimane per il momento in sospeso un quesito che speriamo di riuscire a risolvere nelle prossime settimane: l'assalto ai titoli di stato americani è dovuto alla prostettiva di una serie di 5 o 6 tagli ai tassi entro il settembre 2026 oppure è la paura di un'entrata in recessione che ha spinto molti investitori a rivolgersi  verso quello che ancora oggi (ma non si sa fino a quando...) è definito l'investimento difensivo per eccellenza? Fatto sta che una riduzione di rendimento di queste dimensioni (nel grafico qui sopra sono rappresentati gli ultimi 5 giorni di mercato) ha messo le ali all'oro:


I 3'600 $ all'oncia prospettati da UBS per marzo 2026 sono già stati pressoché raggiunti. Come detto il nostro target rimane sempre a 3'800 $ così come suggerito dall'analisi tecnica.

Se l'oro sale, di solito ci sono problemi in vista per il dollaro:


infatti contro chf è andato con una certa decisione sotto gli 80 centesimi e francamente non vediamo come possa rivalutarsi, soprattutto se Powell ci farà capire che ha iniziato un ciclo di tagli ai tassi.


Anche contro euro il dollaro si è indebolito nella giornata di venerdì ma per il momento sembra ancora che sia in una fase di consolidamento laterale. Comunque riteniamo, come già annunciato la scorsa settimana, che vedere 1.19 è solo una questione di tempo.

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Non possiamo passare sotto silenzio, prima di vedere come è andata la settimana in borsa, la causa giudiziaria che una dozzina di procuratori generali statali, imprese private di vario genere e gruppi giuridici indipendenti stanno intentando nei confronti di Trump per abuso nell'uso dei poteri di emergenza. La sentenza del tribunale di primo grado ha infatti stabilito che l'uso di questi poteri da parte di Donald per imporre i dazi è illegale! Ovviamente è partito di gran carriera un ricorso da parte dell'amministrazione Trump verso la Corte Suprema chiedendo che una sentenza venga emessa in tempi rapidi. Vista la posta in gioco vi immaginate il caos che si potrebbe generare se anche la Corte Suprema darà ragione a chi ha intentato la causa? Per il momento non ci vogliamo pensare ma questa storia è l'ennesima fonte d'insicurezza e va fatta chiarezza il più presto possibile. Entro ottobre si verrà a sapere se la Corte Suprema accetterà il caso. Se sarà accettato è probabile che entro giugno 2026 avremo la sentenza. Se viene rifiutato, si torna al via senza passare per la prigione e si procede avanti tutta con i dazi: a nostro giudizio, così sarà.

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Più che la settimana dello S&P500 (+10.20% ytd) e del Nasdaq (+12.37% ytd) possiamo dire che, nel bene e nel male, è stata la settimana di Alphabet (ex Google, +24.14% ytd) che ha dominato su tutti. Infatti martedì un giudice federale ha stabilito che la società non dovrà vendere il suo browser Chrome come richiesto dal Dipartimeno di Giustizia.  La richiesta di vendere Chrome era motivata dal bisogno di rompere il legame operativo fra browser e monopolio nella ricerca promuovendo una competizione che sia degna di questo nome. Tuttavia, il giudice Amit Mehta ha ritenuto che un tale rimedio strutturale (come la vendita del browser) andasse oltre quanto necessario e suggerisce di adottare misure più mirate e proporzionate. Ovviamente il titolo in borsa prende il volo e salva non solo la giornata dell'S&P500 ma anche quella del Nasdaq.

Poi venerdì 5 settembre esce la notizia che a Google è stata comminata dall'UE una multa di 3.5 miliardi di dollari con l'accusa di abuso di posizione dominante nel settore della pubblicità digitale: ora la società ha 60 giorni di tempo per proporre delle soluzioni efficaci, in caso contrario la commissione UE  può imporre interventi più incisivi fino alla possibile cessione di parti del business pubblicitario. Trump non ha gradito e minaccia nuovi dazi all'Europa... Insomma, non se ne esce e prima o poi c'è il rischio che qualche reazione non proprio simpatica da parte dei mercati azionari la si possa anche vedere.


Finalmente qualcuno si è accordo che la Svizzera e la sua borsa esistono: quasi due punti percentuali sono stati recuperati e fanno del nostro mercato uno dei migliori per la settimana che sta per finire. Le nostre performance sono migliorate, non tantissimo, ma siamo in recupero e speriamo di procedere anche nelle prossime settimane su questa strada.
Tecnicamente è evidente che con la resistenza dei 12'400 punti lo SMI (+6.95% ytd) ha dei problemi: anche questa volta non siamo riusciti ad andare oltre questo limite e all'orizzonte non s'intravvede un granché di positivo. Il nostro pensiero è rivolto al secondo viaggio, improvvisato dal nostro ministro delle finanze Parmelin, in direzione degli USA. Lo scopo sembrerrebbe quello di fare un tentativo, mai termine fu più azzeccato, di rinegoziazione dei nostri dazi che come ben sappiamo, con un 39%,  sono stellari. Parmelin è partito con la speranza di far capire che il 39% è una punizione che non meritiamo e potrebbe proporre una riduzione dei dazi del 5% ogni tre mesi fino al raggiungimento di quelli Europei.  Pare che incontrerà il ministro del commercio Lutnick che dal canto suo ha già messo le mani avanti: "sentiamo cosa hanno da dire  - gli Svizzeri, ndr -  ma lo sapete, non sono molto ottimista." E noi pure! 
Per ragioni tattiche, le autorità svizzere hanno deciso di non divulgare alcuna informazione, riservandosi di comunicarla a tempo debito. Non ci resta che aspettare...


Buona domenica!