domenica 21 settembre 2025

La FED taglia con giudizio



Una riduzione di un quarto di punto dei tassi americani era la previsione più gettonata e mercoledì in serata ne abbiamo avuto la conferma. Meglio così, altrimenti in assenza di un taglio, Dave Sekera di Morningstrar, consigliava "di indossare un casco, nascondersi sotto la scrivania e stare all'erta" poiché i tre tagli consecutivi attesi dal mercato non sarebbero stati più così scontati. In un attimo le borse di mezzo mondo avrebbero subito una forte pressione ribassista.

Ma il taglio c'è stato e a giudicare da come si è mosso il dollaro martedì nel primo pomeriggio, quando inspiegabilmente e in una frazione di secondo ha perso una settantina di basis points contro le principali valute, ci è pure venuto il sospetto che la riduzione sarebbe potuta essere di mezzo punto. Comunque sia Powell, durante la conferenza stampa, ha escluso tagli così aggressivi ed ha spiegato perché si è mosso con maggior prudenza:


  • “Risk-management cut”:
Powell ha definito il taglio di 25 punti base una mossa di gestione del rischio.
Significa che la decisione è stata presa non tanto perché ci sia la certezza di una crisi, ma perché stanno emergendo segnali - soprattutto nel mercato del lavoro - che suggeriscono che potrebbe essere opportuno premunirsi. Insomma, l'America non è in crisi ma se la FED non fa nulla potrebbe andarci presto; sta quindi mettendo le mani in avanti.

  • Condizioni del mercato del lavoro più deboli:
Ha osservato che si stanno creando meno posti di lavoro ed il tasso di disoccupazione, sebbene da livelli molto bassi, è salito. Un campanello d'allarme sta suonando.

  • Bilanciamento dei rischi fra inflazione e occupazione:

Se fino a qualche mese fa i rischi erano chiaramente sbilanciati verso un'alta inflazione, ora il rischio maggiore sembra essere la debolezza nell’occupazione .

  • Politica monetaria: da restrittiva sta andando verso la neutralità:
La politica monetaria è già a livelli restrittivi, ossia tali da frenare l’economia: con questo taglio si sta spostando verso una posizione più “neutrale”. Rammentiamo che molti economisti e la stessa FED vedono il tasso r* attorno al 3% . Rammentiamo che r* è quel tasso di interesse stimato che non sprona né frena l'economia. Prevediamo che molto al di sotto di questo tasso quelli americani non andranno. Trump dovrà farsene una ragione.

  • Inflazione ancora sopra il target, ma segni che i rischi persistenti stanno calando:
L’inflazione è al di sopra del 2%, ma Powell ha detto che i rischi di un rincaro “più alto e persistente” sembrano meno gravi rispetto al passato.
Gli effetti dei dazi sono stati considerati temporanei e non necessariamente capaci di alimentare un processo inflazionistico duraturo.

  • Importanza dei dati in arrivo / approccio “data-dependent”:
Powell ha ribadito che la Fed non è su un percorso prestabilito: ogni decisione futura si baserà sui dati economici in genere e sull’evoluzione del mercato del lavoro in  particolare. Un occhio di riguardo è riservato all'inflazione e non sottovaluterà i rischi geopolitici internazionali. 


Allo stato attuale ci sembra di capire che l'economia americana è in una forma più che discreta:


Il GDPNow della FED di Atlanta , quello che stima in tempo reale il PIL degli Stati Uniti, segnala una crescita del 3.2%: sappiamo che è un indicatore molto volatile ma comunque quel 3.2%  ci induce a credere che non ci sia una gran urgenza di far scendere tanto velocemente i tassi.


E' comunque chiaro a tutti che un solo taglio dello 0.25% serve a poco e quindi presto o tardi è lecito aspettarsene degli altri. Vediamo come la pensano quelli della FED:




Dopo il taglio di 
mercoledì ci ritroviamo con il tasso dei Fed funds tra il 4.25% ed il 4%. Appare abbastanza evidente che, malgrado il sorgere sempre più frequente di opinioni divergenti in seno al governatorato della FED, anche questa volta i funzionari hanno serrato i ranghi a sostegno della politica di Powell: l'unico governatore che perorava un taglio di mezzo punto è stato il neo-assunto Miran, guarda caso un fedelissimo di Trump. Quest'ultimo vedrebbe di buon grado i tassi per fine anno sotto il 3% (cerchietto rosso) e per arrivarci servono due tagli a ottobre e dicembre di mezzo punto l'uno. 
Per tutti gli altri  è sufficiente procedere con un paio di tagli dello 0.25%. 
Per il 2026, e questa è forse una parziale sorpresa, la maggior parte dei governatori prevede per il momento un solo taglio che, come vedremo dopo, ha rianimato momentaneamente il dollaro americano.

Se i Governatori hanno le idee abbastanza in chiaro,  vediamo ora cosa si aspetta il mercato per i prossimi tre mesi:



 In effetti per fine anno dovremmo trovarci con i rendimenti americani attorno al 3.77 il che corrisponde per la precisione ad un taglio e mezzo. Dal momento che mezzo taglio non esiste, siamo propensi a pensare che due tagli rientra in ciò che possiamo dare per scontato.


Già che ci siamo ci sembra interessante constatare che per quanto riguarda l'eurozona il mercato giudica che i tassi resteranno agli attuali livelli per un paio di anni e lo stesso lo possiamo dire anche per la Svizzera.  

Per quanto concerne il nostro Paese le aspettative giocano a favore dello status quo. Se giovedì 25 settembre assisteremo ad un taglio allora inizieremo a preoccuparci in quanto il presidente della BNS si è sempre detto contrario all'introduzione di tassi negativi fatto salvo "se siamo confrontati con una grave crisi". Forse l'eccessiva forza del franco svizzero potrebbe giustificare un taglio ma sarebbe l'unico valido motivo per forzare la mano al nostro istituto di emissione. 




Per la serie "nice to know", poi la finiamo qui con i tassi americani, abbiamo intravvisto sul Wall Street Journal questo grafico che rappresenta il dissenso tra i Governatori della FED in occasione delle decisioni sui tassi.

Di norma la FED è una istituzione che è alla costante ricerca di un consenso interno al fine di presentarsi di fronte al mondo della finanza e dell'economia americana come un'entità solida, compatta e dalle idee in chiaro. Ma non è sempre stato così: soprattutto negli anni '80 e '90 (Volcker e Greenspan)  i dissensi erano frequenti. Era il periodo dell'alta inflazione che imponevano politiche di lacrime e sangue molto restrittive ed è comprensibile che i dissensi fossero parecchi.

Dalla fine degli anni 90 in poi il consenso (vero o presunto...) è aumentato notevolmente e i voti all'unanimità si sprecano. Con l'arrivo di Trump la musica sembra cambiare e Miran è il nuovo capostipite dei dissenzienti.


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Alla luce delle ripercussioni negative registrate sui mercati europei martedì 16 settembre, è impossibile ignorare l’intervento di Draghi alla conferenza promossa dalla Commissione europea tenutasi ad un anno dalla pubblicazione del Draghi Report: il rapporto, se ricordate bene,  conteneva 300 misure urgenti per colmare il divario con gli Stati Uniti e la Cina.

Il suo intervento è stato senza peli sulla lingua e ciò che ha detto è stata una mazzata per le istituzioni europee e i loro dirigenti.  Riassumiamo i punti principali:

  1. Lentezza nell’implementare le riforme
    Draghi ha fatto notare che solo una piccola parte delle raccomandazioni è stata concretamente applicata. Si sta procedendo troppo lentamente. 
  2. Modello di crescita in declino
    Ha avvertito che il modello economico europeo “sta sfumando rapidamente”,  le vulnerabilità stanno aumentando e non esiste ancora una via chiara per finanziare gli investimenti necessari.
  3. Competitività vs Rivali globali
    • L’UE è messa sotto pressione dalle tariffe statunitensi e da un trade deficit crescente con la Cina. 
    • Sul fronte dell’intelligenza artificiale (IA): gli USA hanno prodotto molti più modelli “fondamentali” (“foundation models”) rispetto all’Europa; anche nelle infrastrutture digitali e nell'adozione industriale dell’IA ci sono parecchie  aree (troppe)  in cui l’Europa è indietro. 
  4. Costo più alto dell’energia e ostacoli normativi/infrastrutturali
    Draghi ha richiamato l’attenzione sui costi energetici in Europa (in particolare del gas naturale) molto più elevati rispetto agli USA — questo penalizza le imprese, il settore tecnologico e l’innovazione. Non parliamo poi delle barriere regolatorie, burocratiche e delle difficoltà nel far crescere su larga scala le innovazioni digitali. Questi sono problemi chiave.
  5. Urgenza e scala dell’azione
    Draghi ha esortato a prendere decisioni rapide ed a operare su scala (cioè non solo interventi piccoli o sparsi) con maggiore intensità. “Andare avanti come al solito” significherebbe “arrendersi all’essere superati”. Ha insistito sul fare le cose insieme, non frazionate ed allocare risorse dove hanno un impatto concreto. 
  6. Critica dell’inerzia politica
    Ha detto che spesso la lentezza viene giustificata con la complessità istituzionale europea e con la necessità di rispettare procedure, ma troppo spesso sono solo delle scuse!
Potremmo andare avanti ma pensiamo che abbiate capito il tenore e l'intensità del suo intervento: purtroppo l'hanno recepito anche i mercati azionari e martedì è stata tutt'altro che una giornata gloriosa. Speriamo sia l'ultima di questa entità.

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Dei record storici dello S&P500 (+13.31% ytd) per quest'anno abbiamo perso il conto! Comunque sia a noi più che i record interessa il trend di questo mercato che questa settimana ha superato i 6'600 punti e sembra, malgrado una costante situazione d'ipercomprato, non volersi fermare. Non preoccupatevi dei volumi in netto rialzo: venerdì era scadenza opzioni e notoriamente c'è parecchio movimento (vale per tutte le borse)


La divergenza con l'algoritmo di Ned Davis è palese: il taglio ai tassi ( e quelli che verranno...), l'avanzare inesorabile dell'intelligenza artificiale e gli aspetti tecnici quali ad esempio i riacquisti di azioni proprie non possono essere previsti, come fa il modello di Davis,  dalla media statistica dei comportamenti passati. 
E' certo che l'IA sta disegnando nella testa degli investitori degli scenari positivamente sconvolgenti e c'è solo da sperare che il futuro sia effettivamente quello che noi oggi immaginiamo altrimenti, ma non sappiamo dire quando, avremo grossi problemi da risolvere. Ogni tanto portiamo a casa un po' del guadagno fatto. 



Oramai i 21'000 punti il Nasdaq (+17.20% ytd)  se li è già lasciati alle spalle da qualche settimana ed il trend, imperterrito, sta puntando ancora verso l'alto. Non siamo in grado di dire dove vuole andare, ma lo lasciamo fare: fino a quando rimane all'interno delle due linee ascendenti verdi a noi sta bene e ci teniamo la tecnologia nel deposito.


 Se non vi fosse stata la giornataccia del 16 settembre (vedi freccia rossa) a quest'ora l'Eurostoxx50 (11.49% ytd) sarebbe già sopra la fatidica resistenza dei 5'470 punti. Non siamo lontani ma per il momento restiamo dentro il canale laterale di consolidamento. E' probabile che il buon momento della borsa americana riesca ad influenzare anche le nostre e quindi dovrebbe essere solo una questione di tempo prima di vedere lo sfondamento della resistenza. Se avviene , come già detto la scorsa settimana, saremo compratori (con giudizio...).


Se fino alla scorsa settimana i 12'230 punti dello SMI (4.39% ytd) erano un debole supporto, oggi sono diventati una resistenza speriamo non troppo arcigna. Vedremo giovedì prossimo (25.09) se la BNS saprà in un qualche modo stimolare il nostro mercato ma se, per delirio di ipotesi, dovesse effettivamente spedire i tassi in negativo (probabilità piuttosto bassa) la reazione sarebbe la stessa di quella che si otterrebbe se i tassi fossero stati rialzati. La sola cosa che può fare di positivo la nostra banca nazionale è quella di tenere i tassi invariati. 

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Come già sottolineato martedì l'idea di un taglio ai tassi americani di mezzo punto ha schiantato il dollaro che in un men che non si dica ha sfondato il supporto a 0.7920 e si è fermato solo un centinaio di basis point più sotto (freccia rossa). Per fortuna il messaggio non troppo dowish della FED ha riportato un poco di entusiasmo sulla moneta americana ma, ahinoi, il trend per il momento è decisamente ribassista: potrebbe cambiare direzione e mantenerla per un certo periodo a condizione di tornare almeno contro franco sopra lo 0.8050 (non impossibile).


Come avevamo detto la scorsa settimana, l'euro contro dollaro era pronto a fare una visita all'1.19 cosa che in effetti è avvenuta. Poi ha ritracciato e per il momento voglia di andare sopra l'1.19, poca.



Tutto sommato l'euro contro franco tiene. Quest'anno la rivalutazione della nostra moneta contro quella europea è stata marginale (+0.59%) e va bene così. L'euro rimane chiaramente in una fase di consolidamento e si sposta in direzione della freccia blu. Per noi sta bene.


Il 16 settembre abbiamo visto per la prima volta l'oro andar sopra i 3'700 $ per oncia! Ha chiuso la settimana non troppo lontano ed ora sta consolidando come è giusto che sia. Rimane sempre in deciso ipercomprato e per il momento rinuniciamo a fare nuove posizioni ma... i 3'800 $ per oncia sono sempre nel nostro mirino!

Buona domenica!

PS: la prossima settimana Appunti Finanziari si prende una pausa!
 

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