sabato 25 ottobre 2025

CPI in costante leggero aumento

Per un’istituzione che si è sempre proclamata guidata dai dati, gli ultimi 26 giorni per la Fed sono stati come muoversi in una stanza scarsamente illuminata con il rischio d'inciampare di tanto in tanto in ostacoli imprevisti. Lo shutdown ha tutta l'aria di voler durare un tempo infinito e quindi Powell e compagni devono arrabattarsi, per gestire la più importante banca centrale al mondo, con quel che trovano: un ADP qui, un CPI là e poco altro di veramente significativo.

Potete quindi immaginare con quanta attenzione verranno vivisezionati i dati del CPI per il mese di settembre che sono stati pubblicati venerdì:

  • CPI yoy settembre          : 3% (atteso: 3.1% ; precedente: 2.9%)
  • Core CPI yoy settembre: 3% (atteso: 3.1% ; precedente: 3.1%)

Diciamolo subito: con tutto quello che sta succedendo i numeri potevano essere decisamente peggiori. L'inflazione generale è leggermente salita ma è sotto le aspettative; l'inflazione core (quella che piace alla FED) è addirittura scesa. Meglio così: i tassi, mercoledì 29 ottobre,  potranno essere ridotti di un quarto di punto senza troppi patemi d'animo. Infatti, subito dopo la pubblicazione del CPI,  le probabilità di un taglio sono salite dal 94.6% al 96.7%;  praticamente una certezza!


Una constatazione però va fatta.  La reazione del Treasury decennale è rivelatrice: malgrado la certezza di un taglio, i rendimenti fanno fatica a restare sotto il 4%... non dimentichiamoci che se il rendimento scende troppo, piazzare miliardi di debito pubblico non sarà facilissimo, soprattutto ora che l'oro è una valida alternativa per coloro che hanno bisogno di sicurezza...

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Come abbiamo sottolineato la scorsa settimana la volatilità dello S&P500 - di rimando pure quella di molti altri mercati, europei compresi - durante il mese di ottobre è salita e noi abbiamo intensificato i controlli dei trend azionari che, come vedremo, soprattutto in America sono intatti e puntano al rialzo.

Siamo inoltre ancora confortati dall'amico Ned Davis e dal suo algoritmo che fino ad oggi si è dimostrato assai affidabile:


Come ci suggerisce, nelle prossime settimane potremmo assistere a una lieve correzione dello S&P 500, soprattutto se la Fed, cosa assai improbabile, ci dovesse sorprendere evitando di tagliare i tassi. E' un'ipotesi remota ma non totalmente impossibile: da inizio ottobre Powell e colleghi operano quasi al buio, con dati scarsi e parziali. In questo contesto, per coerenza e prudenza, rimandare la riduzione del costo del denaro ci potrebbe anche stare.

Ma non pensiamoci più di tanto: i tassi al 96.7% saranno tagliati e questa è di certo una buona notizia per i mercati che si somma a quelle che arrivano a getto continuo  dalla pubblicazione dei dati aziendali del terzo trimestre che commentiamo brevemente:



141 aziende su 500 hanno già pubblicato i numeri e siamo quindi in grado di fornire un primo parziale giudizio sulla qualità dei dati pubblicati. 

Le vendite, sebbene meno sorprendenti rispetto agli utili, hanno complessivamente superato le stime, con l’unica eccezione del settore Utilities e, in misura marginale, di quello delle Comunicazioni. Si distinguono invece in positivo i comparti Energia e Consumer Discretionary. Quest’ultimo rappresenta i beni di consumo non essenziali la cui domanda di norma aumenta quando i bisogni primari risultano ampiamente soddisfatti. La loro tenuta è spesso un segnale di fiducia dei consumatori che tendono a spendere di più quando il mercato del lavoro appare solido. È però opportuno leggere il dato con cautela: le statistiche non distinguono tra le diverse fasce di reddito e non si può escludere che la crescita dei consumi sia trainata solo dai segmenti più abbienti, mentre altri stanno già riducendo la spesa.

Ciò non toglie che per il momento la stagione degli utili, con un +7.7% rispetto alle aspettative,  è positiva ed è in costante crescita dal Q3 2023 segno, con ogni probabilità, di un miglioramento dell'efficienza aziendale mentre i disfattisti parlano "di stime troppo prudenti..."; a noi piace pensare che per raggiungere questi numeri ci sia già lo zampino dell'Intelligenza Artificiale. Inoltre non vi nascondiamo che siamo molto curiosi di vedere cosa succederà agli utili di molte società (soprattutto quelle più indebitate) se la politica monetaria americana dovesse effettivamente imboccare la strada del ribasso.

Evidentemente gli analisti hanno in testa uno scenario simile:

altrimenti non si spiega come mai hanno una visione così positiva per gli utili attesi per l'anno che verrà e anticipano di già un primo trimestre 2026 decisamente al rialzo (cerchio rosso). Come ripetiamo da tempo: non c'è nulla di meglio degli utili al rialzo per spedire lo S&P500 verso i 7000 punti e oltre.

Ci pare comunque importante non passare sotto traccia una ricerca effettuata da Bank of America: evidenzia i  5 rischi principali, che anche noi monitoreremo, che potrebbero mettere in difficoltà le borse americane e lo S&P500 in particolare. Vediamo quali sono e come al solito ChatGPT ci viene in aiuto:

  1. Segnali di “mercato orso” già accesi
    BofA ha rilevato che circa il 60% degli indicatori che storicamente precedono un ribasso del mercato sono già attivi. In passato, quando questi segnali superavano il ~70%, spesso seguiva una fase negativa per l’indice.

    • Il mercato ci ha già “avvisato” in base ai precedenti storici: non è garanzia che crolli, ma il rischio d'inversione aumenta.

    • Da monitorare: indicatori di ampiezza, valutazioni elevate, credito debole.

  2. Boom dell’intelligenza artificiale + possibili licenziamenti dei “colletti bianchi”
    BofA segnala che l’entusiasmo attorno all’IA potrebbe portare a licenziamenti tra professionisti ben pagati (colletti bianchi). Se i consumatori con buon reddito riducessero la spesa, settori come quello dei beni discrezionali (shopping, tempo libero, ecc.) ne risentirebbero.

    • Anche con buoni utili aziendali, la “spesa del consumatore” potrebbe indebolirsi e frenare la crescita economica.

    • Da monitorare: tassi di disoccupazione dei professionisti, spesa delle famiglie con redditi medio-alti.

  3. Un “nodo gordiano” tra mega-tech, aziende private e partecipazione del governo
    BofA parla di una complessità crescente: grandi aziende tecnologiche, imprese private non quotate e il ruolo del governo statunitense negli investimenti o nella regolamentazione, stanno creando una situazione meno lineare. 

    • chiariamo noi di AF: un nodo gordiano è un problema estremamente complesso che sembra impossibile da risolvere con i metodi consueti. Più complessità vuol dire maggiore incertezza. Se il governo interviene o le aziende private creeranno “sgradite sorprese”, il mercato può reagire male.

    • Da monitorare: annunci governativi, investimenti statali, evoluzione delle aziende private grandi (pre-IPO) che potrebbero far traboccare gli effetti, soprattutto negativi, oltre i confini dove il problema si è generato.

  4. Nebbia macroeconomica: visibilità ridotta sull’economia
    Con le tensioni commerciali (ad esempio tra USA e Cina), i dati economici che arrivano più deboli e l' incertezza politica, BofA inizia a prendere in considerazione una “macro fog” (nebbia estesa) che rende gli scenari economici poco chiari. 

    • Se non sai da dove soffia il vento è più difficile prevedere la crescita economica e lo sviluppo degli utili societari. In un contesto così incerto è inevitabilmente più rischioso prendere decisioni davvero favorevoli per i portafogli.

    • Da monitorare: dati sul PIL, commercio USA-Cina, decisioni politiche/va­rie per l’economia, shutdown del governo USA.

  5. Problemi nei mercati del credito privato – “canarini e scarafaggi”
    Al di fuori dei circuiti bancari tradizionali, più regolamentati e trasparenti, i mercati del credito privato evidenziano alcune fragilità — i “cockroaches” menzionati da BofA — che potrebbero sfociare in problemi di liquidità o, nel peggiore dei casi, in effetti di contagio.

    • Le grandi aziende dello S&P 500 sembrano solide ma se, nei sistemi di prestito privati meno controllati, qualche cosa s'incrina si potrebbe generare un effetto domino che andrà a colpire il mercato nella sua globalità.

    • Da monitorare: default nei fondi di credito privato, condizioni di finanziamento per aziende non-banche, flussi di liquidità verso fondi/ETF.

Abbiamo quindi una traccia da seguire e cercheremo di essere disciplinati: ci rassicura sapere quali elementi monitorare per cercare di anticipare le forti correzioni dei mercati ed evitare di esserne colti di sorpresa. Non sarà comunque una passeggiata e ne siamo consapevoli.

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Lo S&P 500 (+15.47% ytd) ha concluso la seduta di venerdì a 6’791 punti ed ha messo a segno il sedicesimo record storico durante il 2025,  il tutto sostenuto dal dato sull’inflazione statunitense che, come abbiamo visto, lascia ancora aperta la porta a un possibile taglio dei tassi nella riunione della Fed di mercoledì. 

Questa settimana abbiamo visto la foratura rialzista del triangolo di consolidamento (in verde), seguita da un pullback fisiologico (freccia rossa) che ha innescato il successivo rialzo e verosimilmente porterà l’indice a testare l’area attorno ai 6’935 punti come ci vien suggerito dai modelli tecnici.


Malgrado per il momento mancano gli utili dei Magnifici 7, fatto salvo per quello non brillantissimo di Tesla che comunque è già stato digerito, l'indice dei tecnologici Nasdaq (+18.80% ytd) continua imperterrito la sua salita mettendo a segno l'ennesimo record storico ( ma quanti sono? noi non li abbiamo più contati...). I volumi sono leggermente in crescita  e non vediamo per il momento cedimenti tecnici che potrebbero fargli cambiare trend. Non vi sono validi motivi (se non la voglia di consolidare qualche utile... ogni tanto bisognerebbe farlo...) per iniziare ad abbandonare questo settore. 


Bene anche l'Eurostoxx50 (+15.72% ytd) che questa settimana ha confermato il supporto a 5470 punti per poi rimbalzare verso i 5870 punti. Anche in Europa per il momento non si vende.


Settimana non proprio altisonante per lo SMI (+8.21% ytd) dove rimane sempre l'incertezza legata all'andamento dei tre colossi, Roche, Novartis e Nestlé, che assieme fanno quasi la metà della capitalizzazione di questo indice. Questa settimana, ad appesantire l'indice,  è toccato ancora a Roche che ha riportato numeri per il terzo trimestre un pochino sotto le attese; a quanto pare il franco forte ha avuto la sua parte di colpa. Riteniamo che per il momento non c'è nulla di particolarmente brutto (fatto salvo il franco svizzero troppo robusto) che possa impedire a questo indice di salire almeno fino ai 13'000 punti.

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Dai cambi ci aspettavamo una settimana un pochino più frizzante ma così non è stato: continua a dominare la forza del franco svizzero che praticamente ha schiacciato verso i minimi storici non solo il dollaro ma, come vedremo, anche l'euro! Ora che la FED sembra essere pronta a tagliare i tassi non vediamo cosa potrebbe far risalire il dollaro contro la nostra valuta... a meno che la Banca Nazionale Svizzera sta preparandosi a portare i tassi in negativo. Speriamo che questa soluzione sia l'ultima ratio e ci siano altre frecce da tirare prima di vedere un segno meno davanti ai tassi. Dollaro/chf deve assolutamente tenere il supporto a 0.7920.


E' confermato: per il momento euro/usd continua a spostarsi lateralmente. Se l'euro si avvicina a quota 1.19 o anche qualche cosa di meno, un po' di dollari a quel livello si possono comprare... 😉


Se non vogliamo correre il rischio che la BNS reintroduca i tassi negativi, è imperativo che euro/chf non vada sotto lo 0.9216... non siamo, purtroppo, troppo lontani.


L'oro questa settimana ha fatto uno degli storni più importanti della storia del metallo giallo. Non c'è nulla di sorprendente: non è fisiologicamente possibile continuare a salire verticalmente come ha fatto dalla fine di agosto. Prima o poi una pausa se la doveva prendere: ora per lo meno si è scrollato di dosso l'ipercomprato che lo caratterizza dal mese di luglio ed e pronto per ripartire al rialzo. Non sappiamo dove possa arrivare ma sembra saperlo Goldman Sachs che ha dato un target a 4'900$ per oncia nei prossimi 12 mesi: ambizioso ma non impossibile.

Buona domenica! (PS: avete tirato indietro le lancette dell'orologio? ⏰)

domenica 19 ottobre 2025

Sale la volatilità

 


Ve ne sarete accorti anche voi: dopo un’estate relativamente tranquilla (rettangolo verde), con l’approssimarsi dell’autunno i mercati — come rilevato dal VIX, il famigerato “indicatore della paura” degli investitori — sono entrati in una fase di fibrillazione che ha portato l’indice a sfiorare quota 30 (ovale rosso). Per i nostri gusti, è una volatilità che comincia a diventare pericolosa: prima o poi, a più di un investitore — retail o istituzionale, poco importa — potrebbero definitivamente saltare i nervi e questa è la conditio sine qua non di ogni correzione con la “C” maiuscola.

Il primo campanello d’allarme è scattato venerdì 10 ottobre: a propiziarlo è stata la Cina che detiene il monopolio delle terre rare e che il giorno prima aveva deciso d'inasprire le condizioni per la loro esportazione. Apriti cielo! Donald Trump è andato su tutte le furie:  ha minacciando un raddoppio dei dazi cinesi che ha provocato un sell-off sui mercati azionari come non si vedeva da tempo.

Quella delle terre rare — come sottolinea il Corriere del Ticino (CdT) di sabato 18 ottobre — rappresenta, insieme ai dazi americani, “una delle vere armi di pressione geopolitica” e, aggiungiamo noi, di distruzione di massa degli assetti economici mondiali. Per fortuna da entrambe le parti vi è la consapevolezza — e qui citiamo ancora il CdT — “che nessuna delle due potenze ha davvero il coltello dalla parte del manico e (…) ognuna ha bisogno dell’altra.

Questo è il vero paradosso di fondo. La sociologia, a tal proposito, è molto chiara: da una situazione conflittuale come questa si può uscire solo se a) entrambe le parti riconoscono il paradosso e b) imboccano la via della mediazione. Quest’ultima non porterà ad una soluzione perfetta del problema, ma potrà almeno evitare che la vitale catena di approvvigionamento si interrompa, impedendo così ai costi economici di esploderci tra le mani come fossero nitroglicerina. Evidentemente, anche i mercati finanziari — che rischiano la stessa sorte — ringraziano!

Ma per ottenere tutto ciò, le vie diplomatiche NON dovranno essere compromesse. Anche un burbero e fumantino come Trump questo lo sa ed ha cambiato idea: dopo la sfuriata di dieci giorni fa, a bocce ferme,  ha infatti dichiarato che incontrerà il suo omologo cinese Xi Jinping in Corea del Sud a fine mese e ha ci ha, a modo suo, tranquillizzati. "We’re going to be fine with China"... speriamo!

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The Economist , October 18th 2025

Come se non bastasse la guerra delle terre rare, martedì 14 ottobre un'altra bomba, sebbene di minor potenziale, ci è scoppiata tra le mani: pare che la Cina - ancora lei! -   abbia interrotto o per lo meno drasticamente ridotto gli acquisti di soia statunitense; Trump accortosi della cosa ha dichiarato che non comprare la soia made in USA costituisce un atto economicamente ostile verso gli agricoltori americani! Si potrebbe anche soprassedere, stiamo solo parlando di soia,  ma le possibili conseguenze di questa guerra marginale non devono essere sottostimate:

  • Non è soltanto una questione agricola: la soia e il suo olio non sono solo elementi commerciali ma possono essere trasformati in strumenti di leva diplomatica che evidentemente la Cina non si fa scrupoli ad utilizzare.

  • La Cina, avendo alternative nell'approvvigionamento (il Brasile se la ride...), ha margine per manovrare. Gli USA, che dipendono dal mercato cinese per molti export di natura agricola, si trovano in una posizione vulnerabile. Una parte degli agricoltori americani è sul piede di guerra contro Trump: scoprire che i cinesi in poco tempo hanno già trovato dei ripieghi genera frustrazione e annebbia le idee. lnfatti non sanno più se e cosa seminare. 

  • Le azioni e le minacce di ritorsione da parte degli USA possono generare effetti collaterali non sempre facili da anticipare e devono essere gestite con cautela. Continuare a minacciare per poi trattare presto non funzionerà più e indurrà la ricerca di altri sbocchi come la Cina sta già facendo. 

  • Per gli investitori, questa dinamica segnala un aumento del rischio geopolitico e commerciale ed è un evidente  “campanello d’allarme” per i mercati agricoli, le materie prime e le aziende legate all’agri-business.

Insomma, con uno scenario come questo, un po’ di prudenza non guasta. Se a qualcuno venisse voglia di portare a casa una parte dei guadagni, non saremo certo noi a dissuaderlo: anche perché continuiamo a non capire fino in fondo cosa stia realmente succedendo quando diamo un’occhiata al grafico seguente:


Non ricordiamo di aver mai visto una settimana come quella che sta per finire che ha visto l'oro impennarsi fino al record storico di 4'379 $ per oncia (+9% rispetto alla chiusura di venerdi 11.10) per poi correggere un pochino. Cosa lo sta spingendo è probabilmente un insieme di fattori che stanno remando tutti nella medesima direzione:

  • Al primo posto ci mettiamo le paure economiche e geopolitiche: lo shutdown del governo USA, le tensioni commerciali, l'attività di accumulo di molte banche centrali ma soprattutto, come questa settimana ha messo bene in risalto l'Economist, la paura dell'emergenza debiti. La rivista inglese fa a tal proposito alcune osservazioni che non possiamo ignorare:  a) praticamente ovunque si guardi nel mondo ricco, le finanze pubbliche sono in rovina. b) per quanto tempo i governi potranno continuare a vivere al di sopra delle loro possibilità? risposta: non all'infinito e c) è quindi sempre più probabile che i governi ricorreranno all'inflazione e alla repressione finanziaria per ridurre il valore reale dei loro elevati debiti. Ergo: ci ritroviamo l'oro alle stelle e per il momento continuerà a restarci.
  • Per rincarare la dose aggiungiamo che le aspettative per una riduzione dei tassi da parte della FED rende l’oro, che non paga interessi, più appetibile. 
  • Aggiungiamo anche l'indebolimento del dollaro USA che rende l’oro più accessibile agli acquirenti internazionali.

  • Non da ultimo il “breakout tecnico” dato dal superamento del livello psicologico dei 4.000 USD che ha innescato una nuova ondata di acquirenti. 

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Prima di passare all'analisi dei grafici, vogliamo portare alla vostra attenzione ancora qualche informazione di dettaglio:

  • Come volevasi dimostrare, la liberazione degli ostaggi israeliani e la firma della pace in Egitto, sono state effettivamente ignorate dai mercati. Forse è il segno che molti credono che la pace sia solo transitoria: il rischio che vi sia una ripresa del conflitto infatti è tutt'altro che teorica.
  • UBS: sembra che il trigger che ha fatto scattare la clausola di azzeramento del valore delle obbligazioni AT1 per 16 miliardi di franchi, a detta del Tribunale Amministrativo (TAF) non c'è stato. La patata bollente passa ora nelle mani del Tribunale Federale. Saremmo comunque sorpresi se il tribunale di ultima istanza confermerà la sentenza di quello Amministrativo.
  • Beige Book pubblicato mercoledì: in sostanza si conferma come i prezzi in America si stanno spostando un poco verso l'alto e i consumi sono leggermente in calo. A sostenerli  è comunque sempre più solo la fascia alta della popolazione.
  • Nestlé: la nuova dirigenza inizia con un taglio di 16'000' posti di lavoro: il titolo in borsa sale a razzo e siamo tutti contenti. E' la prova provata che la finanza non ha un cuore ma queste sono purtroppo le regole del gioco e la parte oscura del nostro mestiere.
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Come evidenziamo a margine del nostro post,  per lo S&P500 (+13,30% ytd) se non c'era la marea di investitori retailers le cose potevano andare molto peggio. Invece si trova in una salutare fase di breve consolidamento che, dopo aver raggiunto l'ennesimo record storico, lo sta facendo respirare; siamo curiosi di vedere in quale direzione il triangolo di consolidamento (in verde) verrà forato. Ovviamente tifiamo per un movimento rialzista ma lo vedremo forse alla fine della prossima settimana non prima. Nota bene: per il momento gli utili aziendali già pubblicati, in primis quelli delle banche, sono buoni e quasi tutti hanno superato le aspettative. Non c'è carburante migliore per alimentare il trend al rialzo.


Anche il Nasdaq (+17,45% ytd) sembra voler prendersi un attimo di respiro: ovviamente sta aspettando i numeri dei Magnifici 7 ma non solo. Per il momento la media mobile dei 50 giorni fa da supporto ma anche se non dovesse essere confermato la prossima settimana poco ci inquieta. Il trend per il momento è robusto e, per chi pensa come noi nel medio-lungo periodo,  non si vedono ancora buoni motivi per uscire da questo indice.


Ci fa molto piacere constatare che, per l'Eurostxx50 (+14,53% ytd) e malgrado una Francia a mezzo servizio, i 5'400 punti sono diventati il supporto che una volta raggiunto ha permesso all'indice europeo di rimbalzare e continuare il suo viaggio verso i 5'870 punti. I volumi sono tutto sommato abbastanza buoni e dovrebbero facilitare il rialzo.


Anche lo SMI (+9% ytd) ha confermato il supporto dei 12'400 punti aiutato da Nestlé che questa settimana ha svelato il suo programma per cercare di diventare un'azienda più al passo con i tempi. 
Tornando allo SMI segnaliamo un possibile golden cross che rafforza il movimento rialzista: la media mobile dei 50 giorni probabilmente incrocerà quella dei 200. Vogliamo crederci e teniamo valido il nostro target a 13'000 punti.

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Quello che non ci piace è la costante debolezza del dollaro contro franco svizzero: siamo nuovamente vicino ai minimi, lo 0.7920 costituisce un supporto ma non sappiamo quanto possa essere solido e convincente. Non possiamo fare altro che sperare che la prossima settimana ci si sposterà almeno lateralmente altrimenti non ci sono chance per la valuta americana: l'agonia continuerà.


 Anche l'euro contro il dollaro ha recuperato questa settimana qualche basis point ma la situazione sembra essere meno pressante di quella contro il franco. Per il momento lo spostamento laterale è confermato.


Eravamo convinti che l'euro avesse digerito i guai politici francesi e ci eravamo illusi che lo spostamento laterale, che a noi va benissimo, potesse continuare. Sbagliato! Purtroppo è sceso rapidamente fino a 0.9216, che deve essere considerato il nuovo supporto, prima di rimbalzare. Ci consoliamo vedendo l'RSI in uno stato di ipervenduto che potrebbe favorirne l'acquisto.


 Terminiamo con il bitcoin che continua a manifestare una certa debolezza confermata ora dai foramenti ribassisti di tutte e tre le medie mobili (vedi frecce rosse). Per il momento restiamo prudenti e proviamo a tornare acquirenti solo se scendiamo sotto i 100k. 98.5k potrebbe essere un buon livello.

Buona Domenica!

Per chi ha ancora voglia di leggere portiamo alla vostra attenzione  una curiosità che, a nostro giudizio, non va sottovalutata in quanto sta probabilmente mutando alcune dinamiche storiche dei mercati.  Abbiamo poc’anzi menzionato l’investitore retail — categoria alla quale tutti noi apparteniamo — che di norma subisce le bizze del mercato. Al lato opposto di questa catena troviamo un'altra categoria, quella degli investitori istituzionali, che sono potentissimi e hanno le spalle talmente larghe che sono capaci di condurre il mercato dove vogliono facendo il bello ed il cattivo tempo soprattutto in ambito azionario.

Ebbene, la capacità di influenzare l’andamento di un indice azionario o di una specifica società non è più una prerogativa esclusivamente istituzionale. La forte correzione del mercato americano di venerdì 10 ottobre  avrebbe dovuto indurre la marea di investitori retail a vendere pesantemente le loro posizioni e dicasi lo stesso e a maggior ragione per il lunedì successivo.  Di fatto, agendo in massa attraverso le piattaforme a basso costo dei discount brokers e spronati dai social media ad investire come se non ci fosse un domani — ma anche spinti dal FOMO (Fear of Missing Out, la paura di perdere l’occasione della vita per arricchirsi — hanno evitato un lunedì che in passato, in una situazione analoga, avrebbe avuto un solo colore: quello nero dei tracolli azionari. Le statistiche confermano che in quei due giorni questa categoria di investitori non è mai stata così attiva dal gennaio 2021 (era il periodo di GameStop...) ed in barba agli istituzionali ha letteralmente salvato il mercato da un tracollo.

Se fossimo dei contrarian — cioè coloro che vanno contro il consenso del mercato — saremmo un po’ preoccupati: normalmente i mercati rialzisti, come quello che stiamo osservando da parecchio tempo, tendono ad esaurirsi proprio quando gli investitori, soprattutto appartenenti alla categoria dei retailers , iniziano a credere che i prezzi possano solo che salire. Tuttavia, con l’enorme massa di day traders oggi in circolazione, dobbiamo forse iniziare a modificare la nostra percezione del mercato e rivedere certi automatismi che derivano dalla nostra esperienza pluriennale. Insomma: dobbiamo imparare a non dare più nulla per scontato. 

domenica 12 ottobre 2025

La guerra delle terre rare

 Poteva essere tutto sommato una settimana più che decente ma, come vedremo dopo, venerdì la Cina e Trump ci hanno messo lo zampino e i nervi dei mercati sono saltati.

Ma procediamo con un minimo di ordine. A dominare gli ultimi cinque giorni di borsa sono state soprattutto le notizie di natura geopolitica, che hanno avuto ripercussioni significative in particolare sul mercato dei cambi, dove si sono registrati movimenti di una certa ampiezza. Vediamo perché.

  • La Francia sta vivendo, politicamente parlando, uno dei suoi peggiori momenti dal dopoguerra in poi: 5 governi si sono alternati da gennaio 2024 ad oggi e l'Economist, poco carinamente, non ha esitato a definire la Francia "l'Italia d'Europa" ma forse non ha tutti i torti.  Macron,  oramai senza idee,  venerdì ha riproposto a Lecornu di tentare di ricomporre un nuovo governo. Il poveretto, per senso del dovere, ha accettato ma pare senza troppa convinzione. In un'Europa, che di problemi ne ha già a quintali, ritrovarsi con la seconda potenza economica a metà servizio non è una bella cosa e l'euro, che tutto sommato fino ad oggi si era comportato dignitosamente, ha iniziato ad indebolirsi sia contro dollaro che contro franco svizzero.


  • In Giappone, probabilmente il 15 di ottobre, si nominerà il nuovo primo ministro e la leader del Partito Liberal Democratico, Sanae Takaichi, diventerà la prima donna giapponese a ricoprire questa carica. Nota per le sue posizioni favorevoli ad una spesa pubblica espansiva, desta preoccupazione che un ulteriore aumento dell’enorme debito pubblico giapponese possa raggiungere la soglia dell'insostenibilità. Ergo: lo yen, già indebolito da tempo, ha visto accentuarsi questa tendenza nel corso della settimana. Con uno yen in costante indebolimento, l’inflazione potrebbe superare l’attuale soglia del 3–3,5%. Dopo anni di prezzi stagnanti, un po’ di inflazione non guasta; ma se il rincaro dovesse sfuggire di mano, la Banca del Giappone potrebbe essere costretta a correre ai ripari con un rialzo dei tassi. L’esperienza della scorsa estate (2024) ha già mostrato come un rialzo del costo del denaro possa innescare la chiusura forzata del carry trade sullo yen, con effetti destabilizzanti su tutti i mercati e non solo su quello giapponese. Soprattutto ora, con delle borse tutte in zona di ipercomprato,  repetita non iuvant! 
  • L’annuncio di un accordo di cessate il fuoco fra Israele e Hamas è avvenuto giovedì 9 ottobre 2025 e da venerdì 10 è entrato in azione la prima fase di un piano di pace che prevede, oltre al cessate il fuoco, lo scambio di ostaggi, il ritiro delle truppe israeliane e l'ingresso degli aiuti umanitari. Speriamo che questa sia la fine permanente del conflitto ma molto dipenderà dall'osservanza degli accordi e su quest'ultimo punto siamo ancora piuttosto guardinghi: abbiamo la consapevolezza che basta un nonnulla per buttare tutto all'aria e riprendere le ostilità. Quello che ci ha maggiormente colpito, da un punto di vista finanziario, è l’assoluta mancanza di reazione dei mercati all’annuncio: si tratta di quello che, in ambito finanziario, viene definito un non event ovverosia un fatto o un annuncio che, seppur atteso, non produce alcun impatto rilevante sui mercati. Questo ci induce a pensare che, di questo conflitto, agli investitori oramai non importi più nulla.


  • La mazzata i mercati l'hanno ricevuta venerdì nel tardo pomeriggio quando la Cina ha annunciato   un irrigidimento dei controlli all’esportazione di terre rare e tecnologie correlate poco gradito da parte di Trump che ha subito minacciato di aumentare gli attuali dazi cinesi del 100% e ha annullato l'incontro con Xi programmato per la prossima settimana.  In sostanza, la nuova norma made in China, imporrebbe una licenza per esportare magneti che includano anche minime quantità di terre rare o che siano stati fabbricati con tecnologie sviluppate in Cina. Inoltre è prevista una revisione, caso per caso, per gli usi di terre rare nei semiconduttori e nelle applicazioni militari. Trump è servito: se, in buona sostanza, può permettersi di dettare legge in Europa — come dimostra il veto imposto all’olandese ASML sull’esportazione di determinati macchinari per la produzione di microchip — con la Cina la musica è ben diversa.
    Pechino detiene il monopolio delle terre rare e, coerentemente, si comporta da monopolista, dettando le proprie regole. Non possiamo certo esserne contenti, ma era solo questione di tempo: il problema prima o poi si sarebbe manifestato ed è uno di quelli che non vanno affatto sottovalutati. I mercati ne sono consapevoli e la loro reazione, come vedremo fra un attimo, non è tardata. Attenzione: Lunedì 13 ottobre 2025 negli USA è Columbus day.  I mercati azionari USA sono aperti, ma ci si può aspettare un'attività ridotta per via della chiusura del mercato obbligazionario (in primis quello dei treasury)  e delle banche. Per chi vuol alleggerire una parte della quota azionaria lo può fare (occhio ai volumi ridotti, quindi non si vende al meglio ma con dei limiti...)


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Bisogna ammettere che, negli ultimi giorni, ci eravamo quasi dimenticati dei dazi americani e dello shutdown dell’amministrazione USA, che sembra ancora lontano da una soluzione. Attualmente tra 800 e 900 mila dipendenti federali sono a casa dal lavoro e, una volta riaperta la macchina governativa, una parte di loro potrebbe anche non rientrare, alimentando così le code davanti agli uffici della disoccupazione.

Non va dimenticato che da un paio di settimane siamo anche senza dati economici ufficiali, una situazione che — soprattutto per gli Stati Uniti — è tutt’altro che irrilevante e contribuisce a destabilizzare i mercati. Probabilmente metterà in difficoltà anche la Federal Reserve, privata di una parte delle informazioni su cui basa le proprie decisioni.


Altra cosa da non scordare è che siamo in presenza di mercati, soprattutto quelli americani, che non sono proprio a buon mercato: con un P/E di 25 per lo S&P500 e quasi 36 per il Nasdaq ogni "incidente di percorso" può trasformarsi in corpose prese di beneficio. L'Europa da questo punto di vista va un pochino meglio. 

A proposito: martedì 14 prenderà il via negli Stati Uniti la stagione delle trimestrali, con i risultati di alcune grandi banche. Potete scommettere che, in assenza di dati macroeconomici ufficiali, i conti delle società saranno analizzati al microscopio. Speriamo di non incappare in sgradite sorprese!

Continuate comunque a incrociare le dita! Anche perché ci siamo imbattuti in un’intervista a Jamie Dimon, il CEO di JPMorgan, notoriamente un bastian contrario ma, in questo caso, forse non del tutto fuori strada. Abbiamo chiesto a ChatGPT di riassumere per voi il “Dimon-pensiero”, che comunque la si pensi, merita di essere conosciuto.

 

Principali punti emersi nell’intervista

  1. Probabilità di correzione: ~30 % nei prossimi 6–24 mesi
    Dimon ha affermato che reputa probabile una correzione importante nei mercati statunitensi nel giro di sei mesi fino a due anni, stimando la probabilità attorno al 30 %, assai più elevata di quella attualmente “prezzata” dai mercati (circa 10 %).
  2. Fattori di rischio che alimentano l’incertezza
    Ha indicato vari elementi che, combinati, possono innescare o aggravare una crisi di mercato:
    • Tensioni geopolitiche e il ritorno della “remilitarizzazione” globale: conflitti, rivalità tra grandi potenze, instabilità politica. 
    • Spesa fiscale elevata dei governi, con rischi su debito e pressione sui tassi di interesse. 
    • Valutazioni gonfiate, specie nei settori AI / tech: Dimon ha detto che l’investimento in AI “in totale” può portare valore, ma molti singoli investimenti in aziende specifiche potrebbero fallire e andare perduti.
    • Inflazione e limiti della politica monetaria: ha mostrato una certa cautela sull’idea che la Fed taglierà aggressivamente i tassi; inoltre teme che l’inflazione residua possa essere più persistente del previsto.
    • Incertezza strutturale: secondo Dimon, ci sono “molte cose là fuori” che non si sa come risolvere, e il livello di incertezza dovrebbe essere più alto nei pensieri degli investitori di quanto non sia normalmente.
  3. Critica all’ottimismo di mercato / sottostima dei rischi
    Secondo Dimon, molti operatori stanno valutando i rischi in modo troppo ottimistico: “se il mercato prezza un 10 % di correzione, io direi che è più vicino al 30 %”.
    Ha detto che il livello di incertezza “dovrebbe essere più alto nelle menti delle persone” rispetto a quello che considererebbe normale.
  4. Suggerimenti impliciti alle strategie di vigilanza / prudenza
    Anche se non ha dato ricette dettagliate, l’intervista lascia capire che gli investitori e le istituzioni dovrebbero:
    • Prepararsi a scenari avversi, non dare tutto per scontato
    • Evitare di fare affidamento su previsioni “morbide” di discesa dei tassi o stabilità prolungata
    • Disperdere i rischi, prestare attenzione soprattutto alle posizioni in tecnologiche/IA
    • Non sottovalutare il contesto geopolitico e macroeconomico

Molte delle osservazioni di Dimon si richiamano al buon senso e, probabilmente, prima o poi alcune delle sue previsioni potrebbero anche avverarsi. Insomma, siamo stati avvisati.

Noi, nel frattempo, continuiamo a seguire il nostro metodo: individuare il trend, seguirlo e reagire solo in caso di un’inversione di tendenza confermata. Semplice ma, fino a prova contraria, efficace.


Quindi, è ora di dare un'occhiata ai grafici.



Peccato! La correzione dello S&P500 (+11.41% ytd) ha spinto l'indice a rompere il supporto del canale ascendente (freccia rossa) ed ora si è adagiato sulla media mobile dei 50 giorni che fa da probabile nuovo supporto. Se non viene confermato, il prossimo prossimo è a 6.500 punti:  siamo disposti ad attendere questo livello e vedere se c'è un rimbalzo ma in sua assenza significa che saremo confrontati con un cambio di tendenza per lo meno sul corto termine e qualche cosa dovremo fare. 
Molto ovviamente dipenderà dall'amministrazione Trump:  se dal primo di novembre, come minacciato, per i dazi cinesi ci sarà un aggravio del 100% l'aria si farà piuttosto pesante. Difficile dire come reagirà la FED (che ricordiamo è senza dati macro da mercoledì primo ottobre ed ora c'è la minaccia del raddoppio dei dazi cinesi con i quali forse bisognerà fare i conti) ma per il momento il mercato sta ancora scontando un taglio ai tassi di un quarto di punto (probabilità: 98.3%).



Tutto sommato la posizione del Nasdaq (+14,98% ytd)  è meno compromessa di quella dello S&P500 avendo un trend che si sta sviluppando entro bande più larghe. E' probabile che anche in questo caso la media mobile dei 50 giorni (linea viola)  possa fungere (se raggiunta) da supporto. Un vero e proprio cambiamento di trend (sotto la linea verde del canale ascendente) è ancora lontano. Forse, se la prossima settimana il sell-off non dovesse intensificarsi, potremmo anche accogliere con favore questa pausa di riflessione, che ci consentirebbe di entrare sul mercato a valutazioni più ragionevoli… terre rare permettendo, naturalmente, visto che per questo settore sono fondamentali!


 


Che peccato! L'Eurostox50 (+12.98% ytd) malgrado i problemi francesi, era lanciatissimo verso il nostro obiettivo posto a 5'870 punti. Ora è fondamentale che il supporto a 5'470 punti venga confermato e da lì trovi la forza di ripartire; altrimenti possiamo probabilmente dire addio al nostro target (almeno non per la fine di quest'anno). La freccia rossa indica un piccolo gap che è stato definitivamente chiuso e quindi possiamo ignorarlo.



Situazione simile per lo SMI (+7.59% ytd). Pure lui era ben lanciato verso i 13'000 punti del nostro target a breve-medio termine. Anche qui è fondamentale che i 12'400 punti - sono quelli della vecchia resistenza che una volta superata si trasformano nel nuovo supporto - vengano confermati. 


***


Venerdì la scena è stata occupata dalla correzione dei listini, ma nell’arco della settimana i movimenti più significativi si sono registrati sul fronte valutario:



Magari partiamo dallo yen / franco: la svalutazione degli ultimi 5 anni (quasi il 40%) è impressionante e la settimana che sta per finire è stata molto complessa per la moneta giapponese che contro la nostra ha perso in 5 giorni quasi l'8% (adesso avete compreso perché è una moneta così ambita da chi pratica il carry trade: tassi d'indebitamento bassi e trend valutario in forte ribasso). 

In queste condizioni potete immaginare la pressione sui costi delle importazioni, che dal 2021 sono sempre meno compensate dalle esportazioni. Da quell’anno, dopo decenni di solidi avanzi commerciali, la bilancia giapponese è tornata in territorio negativo.

Energia — la cui dipendenza dall’estero è aumentata dopo la riduzione del nucleare seguita a Fukushima — cibo e materie prime costano sempre di più. Questi aggravi, combinati con una popolazione che invecchia rapidamente, erodono la capacità produttiva interna e spalancano la porta a un aumento dell’inflazione.

Con un debito pubblico che supera il 260% del PIL, un rialzo dei tassi sarebbe semplicemente deleterio.





Con i guai francesi — e di riflesso con un euro sotto pressione — il dollaro stava finalmente muovendosi, per i nostri gusti, nella giusta direzione: verso quota 81 centesimi contro franco, livello che avrebbe probabilmente messo fine a una svalutazione della valuta americana degna di un paese emergente! Come abbiamo visto, Trump e i Cinesi,  hanno rotto le uova nel paniere ed ora speriamo che il dollaro non scenda troppo sotto lo 0.80. Lunedì lo capiremo meglio. Ciò non toglie che il franco stia tornando forte e la cosa, da un certo punto di vista, non ci entusiasma troppo. La nostra Banca Nazionale, sempre vigile, è nota per le sue mosse out of the blue: basta un attimo e ti ritrovi con i tassi negativi senza nemmeno accorgertene.


Siamo ancora convinti che euro/dollaro, per quanto quest'ultimo abbia recuperato valore in settimana, sia destinato a spostarsi lateralmente entro una fascia piuttosto ampia situata tra l'1.1430 e l'1.19.



Ci piaceva vedere euro/franco attorno allo 0.9350. Significava che da inizio anno le due valute erano in perfetto equilibrio. Ora dobbiamo vedere cosa succederà se il supporto a 0.9275 non verrà confermato. Probabilmente rivedremo i minimi dell'anno... accidenti!




Scordiamoci, almeno per ora, che il Bitcoin possa fungere da moneta rifugio: quando si tratta di assumere questo ruolo, solo il franco può davvero ambire a tale status.

Avevamo suggerito di non acquistarlo, se non in caso di una decisa rottura al rialzo sopra quota 124k. Ora la domanda si rovescia: come sfruttare l’ampia correzione in atto? Si potrà valutare un acquisto con una certa scioltezza solo se i prezzi dovessero scendere nell’area 100k–98,5k.



L'oro si stava giustamente prendendo una meritata pausa di riflessione sotto i 4000$ per oncia ma gli eventi di venerdì l'hanno costretto a risalire velocemente. Ci resterà fino a quanto questa storia delle terre rare cinesi non sarà chiarita.


Buona domenica!

sabato 4 ottobre 2025

Shutdown americano e trimestrali in arrivo

 Sono un paio di settimane che non ci sentiamo ma per fortuna, in questo breve lasso di tempo, non è successo nulla di veramente eclatante. Vogliamo comunque soffermarci rapidamente su paio di cose,  tanto per lasciare nei nostri appunti settimanali una traccia.

Ci sembra importante sottolineare che il 25 di settembre la nostra Banca Nazionale (BNS) si è confrontata con un bel dilemma: è praticamente certo che il protezionismo americano arrecherà un duplice danno. Molto probabilmente assisteremo,  mondialmente parlando,  sia ad un rallentamento della crescita (che lo si affronta con un taglio ai tassi)  sia ad un incremento dell'inflazione (che va frenata grazie ad un aumento dei tassi); la BNS ha deciso, sulla scorta di un'inflazione momentaneamente vicina allo zero e malgrado un franco svizzero eccessivamente forte, di lasciare i tassi invariati allo 0% evitando accuratamente di portarli in territorio negativo. Quest'ultima  mossa sarà comunque attuata unicamente se i dati a disposizione della BNS e le discussioni in seno al suo direttorio dovessero suggerire una soluzione tanto drastica. Diciamo che siamo stati avvisati, ma per il momento prevale lo status quo. Meglio così!

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Con i mercati azionari che continuano a correre come se non ci fosse un domani, una delle insidie che potrebbe innescare delle prese di profitto indesiderate è la pubblicazione dei dati trimestrali statunitensi. Ebbene sì, sembra ieri che commentavamo quelli del secondo trimestre e fra poco meno di una settimana ci troveremo di fronte ai numeri del terzo!

Vale quindi la pensa capire cosa si aspetta il mercato soprattutto per quanto riguarda i numeri delle società dello S&P500:

S&P 500 – Trimestrali Q3 2025: attese e possibili scenari (clicca sulla tabella se non riesci a leggere)


Riassumendo: il consenso degli utili dello S&P500 è attorno al + 6.92%; se la crescita si attesta ad un valore inferiore, diciamo tra il 3 e il 4%, attendiamoci delle correzioni. Lo stesso dicasi per gli Utili Per Azione: attesi 67.66$ se sono sotto di un 10% rispetto alle attese (61$ circa)  il dato sarà recepito come fallimentare e una correzione non ce la toglie nessuno. Idem per i Magnifici 7 soprattutto se la crescita degli utili dovesse essere inferiore al +12%. In generale: SE le previsioni per il Q4 e/o il 2026 dovessero essere deboli farebbero scattare le prese di profitto.

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In questi giorni si parla molto dello shutdown del Governo americano. Rinfreschiamoci le idee:

Lo shutdown del governo americano è la chiusura parziale delle attività federali quando il Congresso non approva in tempo il bilancio o i provvedimenti di spesa.

In pratica:

  • Lo Stato non ha l’autorizzazione legale a spendere.

  • Molti uffici e servizi “non essenziali” vengono sospesi (musei, parchi nazionali, agenzie amministrative).

  • I dipendenti pubblici federali vengono messi in congedo forzato o lavorano senza stipendio fino a che il blocco non finisce.

Quindi non è un default, ma una paralisi temporanea della macchina statale dovuta allo scontro politico sul budget. 

L'ultimo shutdown targato Trump (22.12.2018) è durato 35 giorni, il più lungo della storia americana, ed ha coinvolto 800.000 dipendenti pubblici. Anche quello che ha preso avvio mercoledì primo ottobre ha tutta l'aria di voler durare a lungo!

Nella maggior parte dei casi gli shutdown durano pochi giorni (media storica: 8 giorni ) e quindi l'impatto reale sull'economia, e di riflesso sui mercati finanziari, è di poco conto. Questa volta, però, qualcosa potrebbe anche non andare per il verso giusto: nello shutdown sono coinvolti circa 800.000–900.000 dipendenti pubblici e il rischio che parecchi di loro vengano letteralmente lasciati a casa è concreto. Pensando a quanto Trump desideri ardentemente i tagli ai tassi di interesse e a quanto la FED sia sensibile al tema occupazionale, un aumento importante dei senza lavoro tirerebbe l'acqua verso il mulino di Donald.

Una prima conseguenza di questo nuovo shutdown l'abbiamo già potuta toccare con mano: le agenzie che si occupano di redarre le statistiche governative, quali ad esempio l'importante Bureau of Labor Statistics (BLS) che produce i numeri sull'occupazione americana, non sono in grado di sfornare i loro numeri. Ben sapendo quanto, in questo periodo storico, quelli inerenti l'occupazione sono di vitale importanza per le decisioni della FED, restare qualche settimana senza dati non faciliterebbe la vita a Powell e compagni. Si potrebbe perfino arrivare ad ipotizzare che, senza dati aggiornati, i tagli previsti entro fine anno - che sono 2 - verranno rimandati. Non ci vuole troppa fantasia per immaginare quale sarebbe la reazione dei mercati...

In assenza di dati "freschi" alla FED non rimarrebbe che far capo a quelli già pubblicati nelle scorse settimane. In sostanza abbiamo gli ADP, pubblicati il primo di ottobre,  che confermano quanto il mondo del lavoro americano abbia perso una parte del suo splendore:

  • ADP settembre. : -32k (atteso: 52k; precedente: -3k)
Per quanto sia un indicatore poco affidabile, i posti di lavoro creati dal settore privato sono negativi e questo dato tutto sommato conferma le difficoltà che l'economia americana ha nel creare occupazione. Un dato come questo dovrebbe comunque convincere la FED a procedere con un taglio dello 0.25%  il 29 ottobre.

C'è comunque un altro dato, che è stato pubblicato la scorsa settimana, che potrebbe confondere un po' le idee ai governatori della FED. Facciamo riferimento al PCE, il dato sull'inflazione americana ritenuto il più importante:


Per il mese di agosto il PCE è salito leggermente, diciamo in modo per il momento non preoccupante, ma lemme lemme il trend dell'inflazione sembra essere rialzista (vedi freccia rossa). Ben sapendo che i dazi, in quanto fattore potenzialmente inflazionistico, cominciano solo ora a farsi sentire, siamo certi che questo dato non passerà inosservato e che qualche dubbio sulla reale necessità di un taglio dei tassi sorgerà anche nella mente dei governatori.


Se chiediamo al mercato se vi sarà un taglio ai tassi, quest'ultimo oggi non ha dubbi! Al 97.8% il 29 ottobre la FED taglierà di un quarto di punto. Con una tale aspettativa avremo di certo dei problemi da risolvere se la FED opterà per lo status quo!

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Insomma, ci sarà a breve una correzione oppure no? Per il momento godiamoci il fatto che quella temuta per il mese di settembre non si è fatta vedere!



Se Ned Davis ha ragione, siamo pure autorizzati a pensare che la festa non è ancora finita; ovviamente FED e dati trimestrali permettendo...


Nota di servizio: i grafici che seguono sono stati realizzati alle 12:15 circa di venerdì; non sono quindi le chiusure definitive della settimana. Ci scusiamo per l'inconveniente e dalla prossima settimana si ritornerà  alla normalità.



Cosa possiamo dire dello S&P500 (+14.17% ytd) che oramai a fine settembre ha già raggiunto il target annuale dei 6'600 punti?  A quanto pare sta già puntando, con decisione, verso i 7'000 punti che per molti analisti è un possibile traguardo per fine anno. Tutto bello, fin troppo! Per il momento l'indice si trova all'interno di un solido canale ascendente e, come abbiamo visto, solo i risultati societari deludenti (ma a dir la verità poco probabili) e la FED potrebbero rovinare la festa. Ciò non toglie che tutta questa positività qualche farfalla nello stomaco ce la fa venire...  Piccola osservazione per chi pensa in chf: la performance dello S&P500 fino ad oggi è servita semplicemente a compensare la perdita che abbiamo subito sul dollaro... se la moneta americana smette di svalutarsi e la borsa americana continua la sua crescita forse si riesce a guadagnare qualche cosa per fine anno... 



Anche l'ascesa del Nasdaq (+18.30% ytd) è apparentemente inarrestabile. Francamente è da fine maggio che questo mercato si trova in ipercomprato ma fino ad ora non abbiamo ancora visto una correzione degna di questo nome. Dove possa ora arrivare questo indice non la sappiamo, l'analisi tecnica non ce lo dice. Noi diventeremo negativi solo quando uscirà dal canale ascendente costituito dalle due righe verdi. Fino ad allora si tengono le posizioni.



Siamo invece positivamente sorpresi dall'andamento dell'Eurostoxx50 (+15.56% ytd) che, anche grazie al risveglio  dei titoli legati alla farmaceutica e all'healthcare in generale, ha saputo finalmente superare la resistenza dei 5'470 per dirigersi, si spera, verso i 5'870 punti che tecnicamente risulta essere il prossimo obiettivo. Non preoccupiamoci troppo se dovesse fare una correzione che lo riporta verso i 5'470 punti; l'importante è che poi ci sia un rimbalzo che probabilmente lo trascinerà verso il nostro nuovo target. Se invece scivola sotto i 5'470 punti è decisamente un segnale che non vorremmo mai vedere e che probabilmente ci indurrà a fare qualche alleggerimento. 



Anche la dormiente Svizzera questa settimana ha potuto beneficiare di un risveglio dello SMI (+7.85% ytd) sospinto dal settore farmaceutico. Abbiamo chiesto a chatGPT di riassumerci i motivi di questo revival:


  1. Accordo tra Pfizer e l’amministrazione Trump su prezzi e tariffe
    Una delle scintille che ha acceso il rally è la notizia di un’intesa tra Pfizer e la Casa Bianca per abbassare i prezzi dei farmaci in Medicaid in cambio di esenzioni o attenuazioni tariffarie. Questo riduce l’incertezza normativa che gravava sul settore farmaceutico, e gli investitori hanno reagito con sollievo. 
    In Europa, ciò è stato percepito come un segnale che il “rischio USA” sui farmaci potrebbe attenuarsi, spingendo titoli come Roche, AstraZeneca, Novartis, GSK a guadagnare terreno. 

  2. Correzione di scommesse e ribilanciamenti d’asset
    Fin qui il settore healthcare/farmaceutico è stato sottoperformante rispetto a settori “di moda” come tecnologia / AI. Alcuni portafogli erano scarsi di esposizione sul tema “difensivo”. Con segnali positivi regolatori, c’è stata rotazione settoriale verso healthcare. 

  3. Speculazione sulla politica dei tassi / prospettive monetarie
    Dati sul lavoro deboli e lo shutdown del governo stanno alimentando aspettative di tagli dei tassi da parte della Federal Reserve. In uno scenario di “rendimenti obbligazionari più bassi”, settori con flussi più stabili o con potenziale regolatorio favorevole (come l’healthcare) tendono a guadagnare appeal. 

  4. Riduzione dell’incertezza normativa / regolatoria
    Il tema dei farmaci e dei prezzi è da tempo un peso sul settore. La possibilità che alcune misure aggressive (tariffe, pricing imposti) vengano mitigate con accordi è vista come un “de-risking” – cioè un fattore che riduce il rischio percepito dagli investitori. 

  5. Effetto “catalizzatore” del settore difensivo in contesti incerti
    In momenti di tensione politica o macro (shutdown, dati del lavoro deludenti), alcune classi di investimenti tendono a rifugiarsi in settori considerati con domanda relativamente stabile — e l’healthcare / farmaceutico è uno di questi. Il rally può essere amplificato dal “flusso di capitale difensivo”.

Forse è un po' presto per dirlo, ma la rottura della resistenza dei 12'400 punti potrebbe spingere il nostro indice fino ai 13'000... Se nei prossimi giorni non si ritornerà sotto i 12'400, allora la probabilità che si possa vedere il nostro target sarà concreta. Dita incrociate!


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Per quanto riguarda il Forex sono stati dieci giorni piuttosto calmi e le valute che sono oggetto settimanale dei nostri commenti stanno tutte spostandosi, da una decina di giorni, lateralmente. Torneremo sulle valute la prossima settimana.


Vogliamo però, prima di terminare, dare un'occhiata all'oro e al bitcoin.



Superato di slancio il nostro target a 3'800 $ per oncia, l'oro non si è fermato e sta puntando decisamente verso i 4'000$. In questi giorni la spinta si è leggermente attenuata e probabilmente dovrà consolidare per un po' prima di tentare di raggiungere un traguardo tanto importante ma non impossibile. Non vi nascondiamo che vedere l'oro mettere a segno una tale performance e, contemporaneamente, osservare le borse salire come stanno facendo accentua lo sfarfallio nel nostro stomaco… strano, bellissimo ma al tempo stesso decisamente insolito!





Notevole pure la performance settimanale del bitcoin che si trova ad un soffio dal suo record storico (124'457 $). Tre sono i motivi principali che hanno favorito il movimento di questa crypto:

  • Si sono notati afflussi particolarmente abbondanti verso gli etf spot e diversi investitori istituzionali hanno aumentato le loro posizioni legittimando ulteriormente il bitcoin fornendogli nel contempo un buon supporto strutturale.
  • L'incertezza politica americana e lo shutdown governativo hanno sicuramente alimentato la domanda di crytpo in generale e di bitcoin in particolare.
  • Non scordiamoci che il mercato considera scontato un altro taglio ai tassi che di norma favorisce gli asset più rischiosi tra i quali troviamo le crypto. 

Tecnicamente parlando bisogna prestare attenzione ai 124'000$ che sono per il momento una resistenza importante: nuove posizioni si possono fare solo se si supera con decisione questo livello (allora il successivo target lo potremo verosimilmente indicare attorno ai 135k)


Buon week end !