Potete quindi immaginare con quanta attenzione verranno vivisezionati i dati del CPI per il mese di settembre che sono stati pubblicati venerdì:
- CPI yoy settembre : 3% (atteso: 3.1% ; precedente: 2.9%)
- Core CPI yoy settembre: 3% (atteso: 3.1% ; precedente: 3.1%)
Diciamolo subito: con tutto quello che sta succedendo i numeri potevano essere decisamente peggiori. L'inflazione generale è leggermente salita ma è sotto le aspettative; l'inflazione core (quella che piace alla FED) è addirittura scesa. Meglio così: i tassi, mercoledì 29 ottobre, potranno essere ridotti di un quarto di punto senza troppi patemi d'animo. Infatti, subito dopo la pubblicazione del CPI, le probabilità di un taglio sono salite dal 94.6% al 96.7%; praticamente una certezza!
Una constatazione però va fatta. La reazione del Treasury decennale è rivelatrice: malgrado la certezza di un taglio, i rendimenti fanno fatica a restare sotto il 4%... non dimentichiamoci che se il rendimento scende troppo, piazzare miliardi di debito pubblico non sarà facilissimo, soprattutto ora che l'oro è una valida alternativa per coloro che hanno bisogno di sicurezza...
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Come abbiamo sottolineato la scorsa settimana la volatilità dello S&P500 - di rimando pure quella di molti altri mercati, europei compresi - durante il mese di ottobre è salita e noi abbiamo intensificato i controlli dei trend azionari che, come vedremo, soprattutto in America sono intatti e puntano al rialzo.
Siamo inoltre ancora confortati dall'amico Ned Davis e dal suo algoritmo che fino ad oggi si è dimostrato assai affidabile:
Come ci suggerisce, nelle prossime settimane potremmo assistere a una lieve correzione dello S&P 500, soprattutto se la Fed, cosa assai improbabile, ci dovesse sorprendere evitando di tagliare i tassi. E' un'ipotesi remota ma non totalmente impossibile: da inizio ottobre Powell e colleghi operano quasi al buio, con dati scarsi e parziali. In questo contesto, per coerenza e prudenza, rimandare la riduzione del costo del denaro ci potrebbe anche stare.
Ma non pensiamoci più di tanto: i tassi al 96.7% saranno tagliati e questa è di certo una buona notizia per i mercati che si somma a quelle che arrivano a getto continuo dalla pubblicazione dei dati aziendali del terzo trimestre che commentiamo brevemente:
141 aziende su 500 hanno già pubblicato i numeri e siamo quindi in grado di fornire un primo parziale giudizio sulla qualità dei dati pubblicati.
Le vendite, sebbene meno sorprendenti rispetto agli utili, hanno complessivamente superato le stime, con l’unica eccezione del settore Utilities e, in misura marginale, di quello delle Comunicazioni. Si distinguono invece in positivo i comparti Energia e Consumer Discretionary. Quest’ultimo rappresenta i beni di consumo non essenziali la cui domanda di norma aumenta quando i bisogni primari risultano ampiamente soddisfatti. La loro tenuta è spesso un segnale di fiducia dei consumatori che tendono a spendere di più quando il mercato del lavoro appare solido. È però opportuno leggere il dato con cautela: le statistiche non distinguono tra le diverse fasce di reddito e non si può escludere che la crescita dei consumi sia trainata solo dai segmenti più abbienti, mentre altri stanno già riducendo la spesa.
Ciò non toglie che per il momento la stagione degli utili, con un +7.7% rispetto alle aspettative, è positiva ed è in costante crescita dal Q3 2023 segno, con ogni probabilità, di un miglioramento dell'efficienza aziendale mentre i disfattisti parlano "di stime troppo prudenti..."; a noi piace pensare che per raggiungere questi numeri ci sia già lo zampino dell'Intelligenza Artificiale. Inoltre non vi nascondiamo che siamo molto curiosi di vedere cosa succederà agli utili di molte società (soprattutto quelle più indebitate) se la politica monetaria americana dovesse effettivamente imboccare la strada del ribasso.
Evidentemente gli analisti hanno in testa uno scenario simile:
altrimenti non si spiega come mai hanno una visione così positiva per gli utili attesi per l'anno che verrà e anticipano di già un primo trimestre 2026 decisamente al rialzo (cerchio rosso). Come ripetiamo da tempo: non c'è nulla di meglio degli utili al rialzo per spedire lo S&P500 verso i 7000 punti e oltre.
Ci pare comunque importante non passare sotto traccia una ricerca effettuata da Bank of America: evidenzia i 5 rischi principali, che anche noi monitoreremo, che potrebbero mettere in difficoltà le borse americane e lo S&P500 in particolare. Vediamo quali sono e come al solito ChatGPT ci viene in aiuto:
Segnali di “mercato orso” già accesi
BofA ha rilevato che circa il 60% degli indicatori che storicamente precedono un ribasso del mercato sono già attivi. In passato, quando questi segnali superavano il ~70%, spesso seguiva una fase negativa per l’indice.Il mercato ci ha già “avvisato” in base ai precedenti storici: non è garanzia che crolli, ma il rischio d'inversione aumenta.
Da monitorare: indicatori di ampiezza, valutazioni elevate, credito debole.
Boom dell’intelligenza artificiale + possibili licenziamenti dei “colletti bianchi”
BofA segnala che l’entusiasmo attorno all’IA potrebbe portare a licenziamenti tra professionisti ben pagati (colletti bianchi). Se i consumatori con buon reddito riducessero la spesa, settori come quello dei beni discrezionali (shopping, tempo libero, ecc.) ne risentirebbero.Anche con buoni utili aziendali, la “spesa del consumatore” potrebbe indebolirsi e frenare la crescita economica.
Da monitorare: tassi di disoccupazione dei professionisti, spesa delle famiglie con redditi medio-alti.
Un “nodo gordiano” tra mega-tech, aziende private e partecipazione del governo
BofA parla di una complessità crescente: grandi aziende tecnologiche, imprese private non quotate e il ruolo del governo statunitense negli investimenti o nella regolamentazione, stanno creando una situazione meno lineare.chiariamo noi di AF: un nodo gordiano è un problema estremamente complesso che sembra impossibile da risolvere con i metodi consueti. Più complessità vuol dire maggiore incertezza. Se il governo interviene o le aziende private creeranno “sgradite sorprese”, il mercato può reagire male.
Da monitorare: annunci governativi, investimenti statali, evoluzione delle aziende private grandi (pre-IPO) che potrebbero far traboccare gli effetti, soprattutto negativi, oltre i confini dove il problema si è generato.
Nebbia macroeconomica: visibilità ridotta sull’economia
Con le tensioni commerciali (ad esempio tra USA e Cina), i dati economici che arrivano più deboli e l' incertezza politica, BofA inizia a prendere in considerazione una “macro fog” (nebbia estesa) che rende gli scenari economici poco chiari.Se non sai da dove soffia il vento è più difficile prevedere la crescita economica e lo sviluppo degli utili societari. In un contesto così incerto è inevitabilmente più rischioso prendere decisioni davvero favorevoli per i portafogli.
Da monitorare: dati sul PIL, commercio USA-Cina, decisioni politiche/varie per l’economia, shutdown del governo USA.
Problemi nei mercati del credito privato – “canarini e scarafaggi”
Al di fuori dei circuiti bancari tradizionali, più regolamentati e trasparenti, i mercati del credito privato evidenziano alcune fragilità — i “cockroaches” menzionati da BofA — che potrebbero sfociare in problemi di liquidità o, nel peggiore dei casi, in effetti di contagio.Le grandi aziende dello S&P 500 sembrano solide ma se, nei sistemi di prestito privati meno controllati, qualche cosa s'incrina si potrebbe generare un effetto domino che andrà a colpire il mercato nella sua globalità.
Da monitorare: default nei fondi di credito privato, condizioni di finanziamento per aziende non-banche, flussi di liquidità verso fondi/ETF.
Abbiamo quindi una traccia da seguire e cercheremo di essere disciplinati: ci rassicura sapere quali elementi monitorare per cercare di anticipare le forti correzioni dei mercati ed evitare di esserne colti di sorpresa. Non sarà comunque una passeggiata e ne siamo consapevoli.
Lo S&P 500 (+15.47% ytd) ha concluso la seduta di venerdì a 6’791 punti ed ha messo a segno il sedicesimo record storico durante il 2025, il tutto sostenuto dal dato sull’inflazione statunitense che, come abbiamo visto, lascia ancora aperta la porta a un possibile taglio dei tassi nella riunione della Fed di mercoledì.
Questa settimana abbiamo visto la foratura rialzista del triangolo di consolidamento (in verde), seguita da un pullback fisiologico (freccia rossa) che ha innescato il successivo rialzo e verosimilmente porterà l’indice a testare l’area attorno ai 6’935 punti come ci vien suggerito dai modelli tecnici.
Malgrado per il momento mancano gli utili dei Magnifici 7, fatto salvo per quello non brillantissimo di Tesla che comunque è già stato digerito, l'indice dei tecnologici Nasdaq (+18.80% ytd) continua imperterrito la sua salita mettendo a segno l'ennesimo record storico ( ma quanti sono? noi non li abbiamo più contati...). I volumi sono leggermente in crescita e non vediamo per il momento cedimenti tecnici che potrebbero fargli cambiare trend. Non vi sono validi motivi (se non la voglia di consolidare qualche utile... ogni tanto bisognerebbe farlo...) per iniziare ad abbandonare questo settore.
Bene anche l'Eurostoxx50 (+15.72% ytd) che questa settimana ha confermato il supporto a 5470 punti per poi rimbalzare verso i 5870 punti. Anche in Europa per il momento non si vende.
Settimana non proprio altisonante per lo SMI (+8.21% ytd) dove rimane sempre l'incertezza legata all'andamento dei tre colossi, Roche, Novartis e Nestlé, che assieme fanno quasi la metà della capitalizzazione di questo indice. Questa settimana, ad appesantire l'indice, è toccato ancora a Roche che ha riportato numeri per il terzo trimestre un pochino sotto le attese; a quanto pare il franco forte ha avuto la sua parte di colpa. Riteniamo che per il momento non c'è nulla di particolarmente brutto (fatto salvo il franco svizzero troppo robusto) che possa impedire a questo indice di salire almeno fino ai 13'000 punti.
Dai cambi ci aspettavamo una settimana un pochino più frizzante ma così non è stato: continua a dominare la forza del franco svizzero che praticamente ha schiacciato verso i minimi storici non solo il dollaro ma, come vedremo, anche l'euro! Ora che la FED sembra essere pronta a tagliare i tassi non vediamo cosa potrebbe far risalire il dollaro contro la nostra valuta... a meno che la Banca Nazionale Svizzera sta preparandosi a portare i tassi in negativo. Speriamo che questa soluzione sia l'ultima ratio e ci siano altre frecce da tirare prima di vedere un segno meno davanti ai tassi. Dollaro/chf deve assolutamente tenere il supporto a 0.7920.
E' confermato: per il momento euro/usd continua a spostarsi lateralmente. Se l'euro si avvicina a quota 1.19 o anche qualche cosa di meno, un po' di dollari a quel livello si possono comprare... 😉
Se non vogliamo correre il rischio che la BNS reintroduca i tassi negativi, è imperativo che euro/chf non vada sotto lo 0.9216... non siamo, purtroppo, troppo lontani.
L'oro questa settimana ha fatto uno degli storni più importanti della storia del metallo giallo. Non c'è nulla di sorprendente: non è fisiologicamente possibile continuare a salire verticalmente come ha fatto dalla fine di agosto. Prima o poi una pausa se la doveva prendere: ora per lo meno si è scrollato di dosso l'ipercomprato che lo caratterizza dal mese di luglio ed e pronto per ripartire al rialzo. Non sappiamo dove possa arrivare ma sembra saperlo Goldman Sachs che ha dato un target a 4'900$ per oncia nei prossimi 12 mesi: ambizioso ma non impossibile.