domenica 19 ottobre 2025

Sale la volatilità

 


Ve ne sarete accorti anche voi: dopo un’estate relativamente tranquilla (rettangolo verde), con l’approssimarsi dell’autunno i mercati — come rilevato dal VIX, il famigerato “indicatore della paura” degli investitori — sono entrati in una fase di fibrillazione che ha portato l’indice a sfiorare quota 30 (ovale rosso). Per i nostri gusti, è una volatilità che comincia a diventare pericolosa: prima o poi, a più di un investitore — retail o istituzionale, poco importa — potrebbero definitivamente saltare i nervi e questa è la conditio sine qua non di ogni correzione con la “C” maiuscola.

Il primo campanello d’allarme è scattato venerdì 10 ottobre: a propiziarlo è stata la Cina che detiene il monopolio delle terre rare e che il giorno prima aveva deciso d'inasprire le condizioni per la loro esportazione. Apriti cielo! Donald Trump è andato su tutte le furie:  ha minacciando un raddoppio dei dazi cinesi che ha provocato un sell-off sui mercati azionari come non si vedeva da tempo.

Quella delle terre rare — come sottolinea il Corriere del Ticino (CdT) di sabato 18 ottobre — rappresenta, insieme ai dazi americani, “una delle vere armi di pressione geopolitica” e, aggiungiamo noi, di distruzione di massa degli assetti economici mondiali. Per fortuna da entrambe le parti vi è la consapevolezza — e qui citiamo ancora il CdT — “che nessuna delle due potenze ha davvero il coltello dalla parte del manico e (…) ognuna ha bisogno dell’altra.

Questo è il vero paradosso di fondo. La sociologia, a tal proposito, è molto chiara: da una situazione conflittuale come questa si può uscire solo se a) entrambe le parti riconoscono il paradosso e b) imboccano la via della mediazione. Quest’ultima non porterà ad una soluzione perfetta del problema, ma potrà almeno evitare che la vitale catena di approvvigionamento si interrompa, impedendo così ai costi economici di esploderci tra le mani come fossero nitroglicerina. Evidentemente, anche i mercati finanziari — che rischiano la stessa sorte — ringraziano!

Ma per ottenere tutto ciò, le vie diplomatiche NON dovranno essere compromesse. Anche un burbero e fumantino come Trump questo lo sa ed ha cambiato idea: dopo la sfuriata di dieci giorni fa, a bocce ferme,  ha infatti dichiarato che incontrerà il suo omologo cinese Xi Jinping in Corea del Sud a fine mese e ha ci ha, a modo suo, tranquillizzati. "We’re going to be fine with China"... speriamo!

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The Economist , October 18th 2025

Come se non bastasse la guerra delle terre rare, martedì 14 ottobre un'altra bomba, sebbene di minor potenziale, ci è scoppiata tra le mani: pare che la Cina - ancora lei! -   abbia interrotto o per lo meno drasticamente ridotto gli acquisti di soia statunitense; Trump accortosi della cosa ha dichiarato che non comprare la soia made in USA costituisce un atto economicamente ostile verso gli agricoltori americani! Si potrebbe anche soprassedere, stiamo solo parlando di soia,  ma le possibili conseguenze di questa guerra marginale non devono essere sottostimate:

  • Non è soltanto una questione agricola: la soia e il suo olio non sono solo elementi commerciali ma possono essere trasformati in strumenti di leva diplomatica che evidentemente la Cina non si fa scrupoli ad utilizzare.

  • La Cina, avendo alternative nell'approvvigionamento (il Brasile se la ride...), ha margine per manovrare. Gli USA, che dipendono dal mercato cinese per molti export di natura agricola, si trovano in una posizione vulnerabile. Una parte degli agricoltori americani è sul piede di guerra contro Trump: scoprire che i cinesi in poco tempo hanno già trovato dei ripieghi genera frustrazione e annebbia le idee. lnfatti non sanno più se e cosa seminare. 

  • Le azioni e le minacce di ritorsione da parte degli USA possono generare effetti collaterali non sempre facili da anticipare e devono essere gestite con cautela. Continuare a minacciare per poi trattare presto non funzionerà più e indurrà la ricerca di altri sbocchi come la Cina sta già facendo. 

  • Per gli investitori, questa dinamica segnala un aumento del rischio geopolitico e commerciale ed è un evidente  “campanello d’allarme” per i mercati agricoli, le materie prime e le aziende legate all’agri-business.

Insomma, con uno scenario come questo, un po’ di prudenza non guasta. Se a qualcuno venisse voglia di portare a casa una parte dei guadagni, non saremo certo noi a dissuaderlo: anche perché continuiamo a non capire fino in fondo cosa stia realmente succedendo quando diamo un’occhiata al grafico seguente:


Non ricordiamo di aver mai visto una settimana come quella che sta per finire che ha visto l'oro impennarsi fino al record storico di 4'379 $ per oncia (+9% rispetto alla chiusura di venerdi 11.10) per poi correggere un pochino. Cosa lo sta spingendo è probabilmente un insieme di fattori che stanno remando tutti nella medesima direzione:

  • Al primo posto ci mettiamo le paure economiche e geopolitiche: lo shutdown del governo USA, le tensioni commerciali, l'attività di accumulo di molte banche centrali ma soprattutto, come questa settimana ha messo bene in risalto l'Economist, la paura dell'emergenza debiti. La rivista inglese fa a tal proposito alcune osservazioni che non possiamo ignorare:  a) praticamente ovunque si guardi nel mondo ricco, le finanze pubbliche sono in rovina. b) per quanto tempo i governi potranno continuare a vivere al di sopra delle loro possibilità? risposta: non all'infinito e c) è quindi sempre più probabile che i governi ricorreranno all'inflazione e alla repressione finanziaria per ridurre il valore reale dei loro elevati debiti. Ergo: ci ritroviamo l'oro alle stelle e per il momento continuerà a restarci.
  • Per rincarare la dose aggiungiamo che le aspettative per una riduzione dei tassi da parte della FED rende l’oro, che non paga interessi, più appetibile. 
  • Aggiungiamo anche l'indebolimento del dollaro USA che rende l’oro più accessibile agli acquirenti internazionali.

  • Non da ultimo il “breakout tecnico” dato dal superamento del livello psicologico dei 4.000 USD che ha innescato una nuova ondata di acquirenti. 

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Prima di passare all'analisi dei grafici, vogliamo portare alla vostra attenzione ancora qualche informazione di dettaglio:

  • Come volevasi dimostrare, la liberazione degli ostaggi israeliani e la firma della pace in Egitto, sono state effettivamente ignorate dai mercati. Forse è il segno che molti credono che la pace sia solo transitoria: il rischio che vi sia una ripresa del conflitto infatti è tutt'altro che teorica.
  • UBS: sembra che il trigger che ha fatto scattare la clausola di azzeramento del valore delle obbligazioni AT1 per 16 miliardi di franchi, a detta del Tribunale Amministrativo (TAF) non c'è stato. La patata bollente passa ora nelle mani del Tribunale Federale. Saremmo comunque sorpresi se il tribunale di ultima istanza confermerà la sentenza di quello Amministrativo.
  • Beige Book pubblicato mercoledì: in sostanza si conferma come i prezzi in America si stanno spostando un poco verso l'alto e i consumi sono leggermente in calo. A sostenerli  è comunque sempre più solo la fascia alta della popolazione.
  • Nestlé: la nuova dirigenza inizia con un taglio di 16'000' posti di lavoro: il titolo in borsa sale a razzo e siamo tutti contenti. E' la prova provata che la finanza non ha un cuore ma queste sono purtroppo le regole del gioco e la parte oscura del nostro mestiere.
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Come evidenziamo a margine del nostro post,  per lo S&P500 (+13,30% ytd) se non c'era la marea di investitori retailers le cose potevano andare molto peggio. Invece si trova in una salutare fase di breve consolidamento che, dopo aver raggiunto l'ennesimo record storico, lo sta facendo respirare; siamo curiosi di vedere in quale direzione il triangolo di consolidamento (in verde) verrà forato. Ovviamente tifiamo per un movimento rialzista ma lo vedremo forse alla fine della prossima settimana non prima. Nota bene: per il momento gli utili aziendali già pubblicati, in primis quelli delle banche, sono buoni e quasi tutti hanno superato le aspettative. Non c'è carburante migliore per alimentare il trend al rialzo.


Anche il Nasdaq (+17,45% ytd) sembra voler prendersi un attimo di respiro: ovviamente sta aspettando i numeri dei Magnifici 7 ma non solo. Per il momento la media mobile dei 50 giorni fa da supporto ma anche se non dovesse essere confermato la prossima settimana poco ci inquieta. Il trend per il momento è robusto e, per chi pensa come noi nel medio-lungo periodo,  non si vedono ancora buoni motivi per uscire da questo indice.


Ci fa molto piacere constatare che, per l'Eurostxx50 (+14,53% ytd) e malgrado una Francia a mezzo servizio, i 5'400 punti sono diventati il supporto che una volta raggiunto ha permesso all'indice europeo di rimbalzare e continuare il suo viaggio verso i 5'870 punti. I volumi sono tutto sommato abbastanza buoni e dovrebbero facilitare il rialzo.


Anche lo SMI (+9% ytd) ha confermato il supporto dei 12'400 punti aiutato da Nestlé che questa settimana ha svelato il suo programma per cercare di diventare un'azienda più al passo con i tempi. 
Tornando allo SMI segnaliamo un possibile golden cross che rafforza il movimento rialzista: la media mobile dei 50 giorni probabilmente incrocerà quella dei 200. Vogliamo crederci e teniamo valido il nostro target a 13'000 punti.

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Quello che non ci piace è la costante debolezza del dollaro contro franco svizzero: siamo nuovamente vicino ai minimi, lo 0.7920 costituisce un supporto ma non sappiamo quanto possa essere solido e convincente. Non possiamo fare altro che sperare che la prossima settimana ci si sposterà almeno lateralmente altrimenti non ci sono chance per la valuta americana: l'agonia continuerà.


 Anche l'euro contro il dollaro ha recuperato questa settimana qualche basis point ma la situazione sembra essere meno pressante di quella contro il franco. Per il momento lo spostamento laterale è confermato.


Eravamo convinti che l'euro avesse digerito i guai politici francesi e ci eravamo illusi che lo spostamento laterale, che a noi va benissimo, potesse continuare. Sbagliato! Purtroppo è sceso rapidamente fino a 0.9216, che deve essere considerato il nuovo supporto, prima di rimbalzare. Ci consoliamo vedendo l'RSI in uno stato di ipervenduto che potrebbe favorirne l'acquisto.


 Terminiamo con il bitcoin che continua a manifestare una certa debolezza confermata ora dai foramenti ribassisti di tutte e tre le medie mobili (vedi frecce rosse). Per il momento restiamo prudenti e proviamo a tornare acquirenti solo se scendiamo sotto i 100k. 98.5k potrebbe essere un buon livello.

Buona Domenica!

Per chi ha ancora voglia di leggere portiamo alla vostra attenzione  una curiosità che, a nostro giudizio, non va sottovalutata in quanto sta probabilmente mutando alcune dinamiche storiche dei mercati.  Abbiamo poc’anzi menzionato l’investitore retail — categoria alla quale tutti noi apparteniamo — che di norma subisce le bizze del mercato. Al lato opposto di questa catena troviamo un'altra categoria, quella degli investitori istituzionali, che sono potentissimi e hanno le spalle talmente larghe che sono capaci di condurre il mercato dove vogliono facendo il bello ed il cattivo tempo soprattutto in ambito azionario.

Ebbene, la capacità di influenzare l’andamento di un indice azionario o di una specifica società non è più una prerogativa esclusivamente istituzionale. La forte correzione del mercato americano di venerdì 10 ottobre  avrebbe dovuto indurre la marea di investitori retail a vendere pesantemente le loro posizioni e dicasi lo stesso e a maggior ragione per il lunedì successivo.  Di fatto, agendo in massa attraverso le piattaforme a basso costo dei discount brokers e spronati dai social media ad investire come se non ci fosse un domani — ma anche spinti dal FOMO (Fear of Missing Out, la paura di perdere l’occasione della vita per arricchirsi — hanno evitato un lunedì che in passato, in una situazione analoga, avrebbe avuto un solo colore: quello nero dei tracolli azionari. Le statistiche confermano che in quei due giorni questa categoria di investitori non è mai stata così attiva dal gennaio 2021 (era il periodo di GameStop...) ed in barba agli istituzionali ha letteralmente salvato il mercato da un tracollo.

Se fossimo dei contrarian — cioè coloro che vanno contro il consenso del mercato — saremmo un po’ preoccupati: normalmente i mercati rialzisti, come quello che stiamo osservando da parecchio tempo, tendono ad esaurirsi proprio quando gli investitori, soprattutto appartenenti alla categoria dei retailers , iniziano a credere che i prezzi possano solo che salire. Tuttavia, con l’enorme massa di day traders oggi in circolazione, dobbiamo forse iniziare a modificare la nostra percezione del mercato e rivedere certi automatismi che derivano dalla nostra esperienza pluriennale. Insomma: dobbiamo imparare a non dare più nulla per scontato. 

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