Stiamo cercando di dare un senso al tracollo della fiducia dei consumatori americani: il dato, curato dalla Università del Michigan, viene pubblicato mensilmente e tenta di fornire in tempo reale quella che è la percezione dei consumatori nei confronti del clima economico, delle finanze personali e delle spese previste per il mese in corso. Venerdì è stato reso pubblico quello per il mese di febbraio: era atteso a 67 mentre l'effettivo è sprofondato a 61.7, un dato che non si vedeva dal 2011 e che sicuramente non è foriero di buone notizie. Sappiamo tutti quanto i consumi giocano un ruolo fondamentale nella composizione del PIL americano: gli statunitensi, grazie agli aiuti statali e agli aumenti salariali, saranno anche pieni di soldi ma poi dobbiamo capire se hanno voglia di spenderli...
Mettiamoci nei panni del consumatore medio americano (o di quello europeo che non è poi molto diverso) e proviamo ad immagiare il suo stato d'animo quando giovedì scorso gli hanno comunicato che l'inflazione nel suo paese, che era attesa al 7.3%, ha raggiunto i valori del 1982 fissandosi al 7.5%. Significa che, se non si riesce in tempi rapidi a farla retrocedere, con i 100$ che ha nel portafoglio alla fine dell'anno potrà comprare merci e servizi solo per 92.5$ e di questo passo in tre anni si mangia un quinto dei suoi risparmi. Forse, detta così, non a tutti il concetto è chiaro ma l'effetto del rincaro diventa lampante quando lo si inizia a percepire sulla propria pelle; capita ad esempio quando va a fare il pieno di benzina all'auto e pensa che per pagare la prossima volta dovrà accendere un mutuo... non è una bella cosa soprattutto quando anche il costo del mutuo sta iniziando a lievitare.
Poi al suo orecchio sta arrivando un'altra notizia che probabilmente non riesce ancora a mettere bene a fuoco: sta quasi per finire (speriamo...) la battaglia contro l'Omicron e forse se ne avvia un'altra contro la Russia che ha delle mire nei confronti dell'Ucraina: notoriamente carente in geografia ci sarà Google Earth che potrà venirgli in soccorso e la scoprirà appicciacata alla Russia, Russia che era da un po' uscita dal suo radar in quanto oramai negli USA il nemico numero uno ha gli occhi a mandorla dei cinesi. Si chiederà per quale motivo i due stanno per venire alle mani senza ottenere una valida risposta, ma ancora una volta capirà cosa vuol dire un simile conflitto quando comprerà il pane, la pasta o uno qualsiasi dei tanti cereali che Russia ed Ucraina producono nell'ordine di un terzo di tutta la produzione mondiale ed il loro prezzo sarà in contina ascesa.
Lo stesso dicasi per quanto riguarda il prezzo del gas prodotto da Putin: di sicuro avrà un impatto più sul consumatore europeo che non su quello americano ma ci stiamo domandando cosa sarebbe successo al consumatore del nostro continente se l'inverno non fosse stato per il momento così clemente. Il problema è serio e quello del gas è comunque un movimento rialzista che è in corso da parecchi mesi e le cause del rialzo non sono tutte da imputare allo zar russo, come ben spiega un interessante articolo pubblicato dal Corriere del Ticino che vi invitiamo a leggere (clicca qui per andare all'articolo)
Se sarà guerra oppure no, lo sapremo nei prossimi giorni: la nostra impressione è più no che sì. Putin, mostrando i muscoli, ha ben orchestrato il suo avvertimento e ci comunica che non gradisce una ulteriore espasione della NATO verso Est: obiettivo raggiunto ed ora lascia nelle mani della diplomazia il compito di disinnescare il possibile conflitto mentre lui, ritornato sotto i riflettori internazionali, continuerà ancora per un po' a nutrire il suo ego personale ma si fermerà, scaltro com'è, un minuto prima della mezzanotte.
Il mercato comunque ha preso molto sul serio l'invito da parte di molti paesi occidentali a lasciare l'Ucraina, un invito che ha il sapore di una guerra imminente e che ha azzerato il tetantivo di recupero delle borse che stava andando avanti da una decina di giorni:
Alle 17:59 di venerdi non è ancora visibile la correzione dei mercati americani che putroppo hanno chiuso la seduta in pesante ribasso: -1.90% lo S&P500 e -2.78% il Nasdaq. Se sul fronte Russo-Ucraino non vi saranno significativi progressi nelle prossime ore, prevediamo un inizio di settimana piuttosto volatile per le borse europee...
Ma ritorniamo velocemente sul tema dell'inflazione che secondo alcuni analisti potrebbe essere pronta a fare qualche passo indietro: sembra che i costi marittimi stiano ridimensionandosi, alcuni colli di bottiglia sono in fase di risoluzione ed il costo delle macchine d'occasione pure: insomma, sono tutti segnali che indicano che forse siamo al top e se vi aggiungiamo un consumer confidence in netto ribasso può essere verosimile che il rincaro si fermi.
Nel frattempo il mercato sta prezzando 7 aumenti dei tassi da parte della FED (la scorsa settimana erano solo 5), ma a noi sembrano troppi: qualcuno dirà che dopo sette aumenti saremo a malapena allo stesso livello dei tassi pre-pandemia, ed è vero, ma due anni fa avevamo anche qualche trilione di debiti in meno e qui fa la differenza. Ogni aumento costa un sacco di soldi e gioco-forza ci sembra sensato che si alzerà il costo del denaro solo quel tanto che basta per far cambiare direzione al rincaro, il resto, se le previsioni sono corrette, verrà da sé con l'attenuarsi di tutti gli elementi che hanno confezionato questa bella inflazione. Se 7 aumenti non basteranno allora siamo veramente nei guai.
Nel frattempo la resa del Treasury a 10 anni si è issata come da aspettative sopra il 2% per scendere sotto questo livello solo a causa del marcato sentimento di risk-off venutosi a creare in tarda serata e che ha dirottato un po' di moneta sui titoli del Tesoro americano...
... che comunque dimostrano tutti rendite in netto rialzo causando un evidente appiattimento della curva (in giallo la resa ad inizio 2021). In questo momento, pur essendo parecchio scarichi di obbligazioni, stiamo ancora tenendo via le mani dal reddito fisso (ma prima o poi bisognerà rientrarci e vi faremo sapere quando) e guardiamo sempre con interesse cosa possiamo fare sfruttando i mercati azionari, non solo perché il TINA ( There Is No Alternative) è sempre d'attualità ma anche perché i fondamentali delle società quotate sono tutto sommato più che discreti ed un po' di iper-comprato ce lo siamo lasciati per il momento alle spalle con la correzione di inizo anno.
Dovremo comunque stare molto attenti al trend che potrebbe cambiare qual'ora vi sia una perforazione della media mobile dei 200 giorni (linea blu) che per molte borse sta fungendo da supporto, come nel caso dello S&P500...
...mentre purtroppo il Nasdaq si trova in acque più agitate da quando la media mobile dei 200 è stata perforata a metà gennaio. Dunque, per il momento privilegiamo titoli del settore value e lasciamo che quelli legati alla crescita ben rappresentati dal Nasdaq trovino un supporto più stabile (cosa non facilissima se i redimenti continueranno a salire).
Lo SMI stava tentando di recuperare quota 12'500 e non era molto lontano... temiamo che lunedi 14 possa anche andare sotto i 12'080 punti e sfondare la media mobile dei 200 giorni...
...intaccando il trend di medio periodo.
E' abbastanza probabile che se nei prossimi giorni la questione Ucraina viene diplomaticamente risolta, assisteremo ad un certo recupero, ma basta una raffica di mitra per agitare ulteriormente le acque. Purtroppo tutto può succedere...
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