sabato 25 febbraio 2023

In attesa di una ripartenza...


Mentre stiamo iniziando a scrivere sono passati esattamente 365 giorni da quando la Russia ha deciso di passare alle maniere forti invadendo il territorio ucraino. Da allora, l'"Operazione Speciale", come l'ha denomitata Putin, è una nostra sgradita compagna di viaggio. Questa guerra ha sparigliato le carte diventando per i mercati uno dei maggiori fattori d'insicurezza - al quale bisogna ammettere stiamo facendo l'abitudine - ed ha contribuito ad accelerare alcuni processi economici, il più eclatante dei quali è la totale revisione del concetto legato al fenomeno della globalizzazione. Ha inoltre contribuito a mettere il turbo al processo inflattivo che in buona parte, soprattutto in Europa, è la diretta conseguenza di questo conflitto. Putroppo di quest'ultimo si fa fatica ad intravedere una conclusione.

Da una parte Zelensky, forte dell'appoggio occidentale, non perde occasione per rilanciare la richiesta di aiuti militari che in parte continua a ricevere perpetuando in tal modo il conflitto e dall'altra troviamo un Putin, che come ha detto il suo ministro degli esteri Lavrov si fida solo di tre consiglieri "Ivan il Terribile, Pietro il Grande e Caterina la Grande" (vedi la Repubblica del 24.2), e che, convinto della giustezza del suo intervento, non vuol sentir ragioni per sedersi ad un tavolo di pace. In questo momento pare che si sta facendo un baffo pure della risoluzione dell'ONU che proprio ieri gli ha intimanto il ritiro dai territori occupati.

Forse, e ribadiamo forse, potrebbe avere maggior successo un eventuale coinvolgimento della Cina che sta facendo di tutto, manco fosse la Svizzera, per restare interessatamente neutrale e che ha già proposto un piano di pace esplicitato in 12 punti, alcuni sacrosanti altri un po' meno. Ne mancherebbe un tredicisimo, quello più importante, dove la Cina potrebbe suggerire a Putin una veloce ritirata dai territori occupati... Ma sappiamo benissimo che questo non succederà mai,  soprattutto se vuol evitare di dire definitivamente addio al petrolio russo (che per la cronaca se lo sta comprando in gran parte l'India, altra astenuta ieri all'ONU...) ma non solo a quello.

Ergo, dovemo convivere ancora per un po' con questo conflitto sperando che nel frattempo non assuma una forma di quelle totalmente ingovernabili. Allora le conseguenze, anche senza scomodare Ivan IV° Zar di tutte le Russie, sarebbero ancora più terribili delle attuali.

***

Ma veniamo a noi. Settimana corta, l'America lunedì era chiusa per il President Day, ma non priva di una serie di dati che ci suggeriscono alcune interessanti osservazioni.

Partiamo da martedì 21 dove sono stati pubblicati i PMI (Purchasing Managers Index) del mese di gennaio e che vi proponiamo in forma essenziale (tra parentesi i valori del mese di dicembre):

Francia: 51.6 (49.1); Germania 51.1 (49.9); Europa: 52.3 (50.3); USA: 46.8 (45)

I PMI sono indicatori prospettici, che grazie alla loro qualità, hanno un discreto impatto sui mercati. Rammentiamo che un valore superiore al 50 significa che l'economia sta prendendo un abbrivio positivo ed il suo stato di salute è in via di miglioramento.  

A tal proposito non possiamo fare a meno di notare che i PMI europei sono,  per una volta tanto,  migliori di quello americano e giustificano in tal modo anche le performances borsistiche dove si vedono quelle del nostro continente prevalere sugli indici di oltre Atlantico. Stiamo cercando di ricordare, senza successo, quando è stata l'ultima volta che è capitata una cosa simile.

Può essere di un certo interesse spendere due parole, dopo che martedì sono state pubblicate le trimestrali,  a proposito di Wallmart e Home Depot:


Home Depot (in rosso)  è il più grande rivenditore americano di articoli per la casa ed ha pubblicato i numeri del quarto trimestre piuttosto deludenti; inoltre la società si dice certa che le prospettive per il resto del 2023 saranno decisamente poco incoraggianti... E se lo dice Home Depot, che è considerata indirettamente una sorta di cartina di tornasole dello stato di salute del settore immobiliare americano, significa che la situazione può diventare difficile per molti se non per tutti. Facciamo tesoro di questa informazione..

Wallmart borsisticamente parlando sembra stare meglio: alla pubblicazione dei risultati, in effetti non malvagi, il titolo ha tenuto malgrado le prospettive 2023 poco rosee confermate dal management. I bilanci mettono in evidenza un bel aumento del fatturato e fin qui tutto bene. Quello che deve far riflettere è che questo risultato è stato ottenuto grazie all'afflusso di una nuova clientela piuttosto benestante che di norma si rifornisce presso grandi magazzini di lusso molto più costosi. Il controllo delle uscite, indipendentemente dal ceto sociale al quale si appartiene,  è un segnale premonitore che va preso seriamente in considerazione e che evidenzia quali sono le reali condizioni finanziarie di un gran numero di americani, benestanti compresi. Un altro punto a favore di coloro che intravvedono arrivare una recessione...

Mercoledì 22 è stata la volta della pubblicazione dei dati sull'inflazione di gennaio di alcuni paesi europei:

Germania: 8.7% (8.7%); Italia: 10.7% (10.9%); Europa: 8.6% (8.5%).

Si fa fatica a scendere, siamo in leggero miglioramento ma il 2% sembra ancora dannatamente lontano. Temiamo che anche la BCE assumerà un atteggiamento da falco giusto per non sentirsi da meno rispetto alla FED.

Possiamo comunque confermare che l'attuale inflazione europea non è più guidata in prevalenza dal rincaro delle materie prime...



... materie che sono in costante calo. Parimenti l'inflazione non è solo una questione legata al rincaro dell'energia...


...che oramai dal mese di giugno dello scorso anno ha imboccato la strada di un convinto ribasso tanto che il gas in certi momenti costa meno di prima del conflitto russo-ucraino.

Già che stiamo parlando di inflazione, ci è capitato sott'occhio uno studio di Statista che analizza il possibile andamento dell'inflazione svizzera. Dal momento che spesso ci chiedete dove possono andare i tassi ipotecari nel lungo termine, il miglior modo per rispondere è chiedersi che fine farà il rincaro nel nostro paese negli anni a venire:


Se gli analisti hanno visto giusto (e noi pensiamo che non siano troppo lontani dalla realtà) dovremmo quasi aver raggiunto il livello massimo d'inflazione (leggermente superiore al 3%) per poi ritrovarcela all'1% nel 2027 e la qualcosa non mancherà di avere un impatto positivo sui costi delle ipoteche future. Chiusa la parentesi svizzera e continuamo con i dati che più c'interessano.

Giovedi 23 il menu ci offre un PIL americano (Q4 2022)  al 2.7% (2.9%) che non fa altro che confermare che,  malgrado si consumi molto,  NON si cresce avvalorando in tal modo la tesi che si sta andando verso un soft-landing se non addirittura in recessione come lo pensano i pessimisti incalliti.

Veniamo poi rincuorati dal solido dato sullo stato di salute del lavoro americano riguardante le nuove richieste di disoccupazione settimanali, numero che resta ben al di sotto delle 200k unità attestandosi a 192'000 (prec 195'000). Anche in questo caso nessuna sorpresa.

La sorpresa, decisamente negativa, ci arriva nel primo pomeriggio di venerdi 24 quando veniamo a sapere che il PCE index di gennaio, quello misura l'aumento del costo dei beni e servizi, atteso invariato allo 0.4% rispetto a dicembre, è invece salito allo 0.6% mettendo a segno il più grande aumento da sette mesi a questa parte.

La doccia fredda continua con il PCE: su base annua dal 5.3% di dicembre era atteso al 5% ma nella realtà l'hanno misurato al 5.4% ed anche il core PCE passa dal 4.6% al 4.7%. Se non fosse in assoluto l'indicatore di inflazione più seguito dalla FED, in quanto tiene conto del modo in cui i consumatori cambiano le loro abitudini di acquisto a causa dell'aumento dei prezzi,  uno potrebbe anche passarci sopra e far finta di niente ma in questo caso proprio non possiamo

Simili numeri stanno dando ragione su tutta la linea alla FED autorizzandola ad utilizzare un poco rassicurante  (per le borse e i mercati obbligazionari) linguaggio da falchi che si tradurrà al lato pratico in concreti e coerenti aumenti dei tassi.



Oramai gli investitori sono convinti che la FED, ammesso e non concesso che l'abbia mai fatto, ha smesso di bluffare e quando dice che porterà i tassi sopra il 5% (5.33% per la precisione) hanno capito che bisogna credergli...

... la reazione dei rendimenti dei Treasury a 2 (in nero) e 10 anni (in rosso) lo stanno a dimostrare. Venerdì mattina la resa del due anni era del 4.67953 ed ha chiuso la settimana al 4.803.  Mentre il decennale che rendeva 3.9332 ce lo siamo ritrovato a 3.953.  Per chi desidera trarre profitto da questa situazione ed ha dei dollari in tasca, per il momento ce ne staremmo volentieri investiti a cortissimo termine per qualche mese. Per andare lunghi c'è sempre tempo.



Ovviamente anche i mercati azionari non sono stati insensibili alla pubblicazione del PCE e qualche decina di punti sono andati persi. 



Lo S&P500 è da svariati giorni che sta correggendo: dalla fase rialzista iniziata nei primi giorni dell'anno, dove l'indice ha messo a punto una performace di circa 10 punti percentuali, l'indice ha fatto un classico ritracciamento del 50% con volumi nella norma; in teoria dovrebbe, assorbito lo shock del dato di venerdì, ripartire al rialzo...


...è quanto suggerisce pure l'algoritmo dell'amico Ned Davis. Qualche giorno ancora di debolezza e poi si potrebbe tornare a salire.



Anche lo SMI potrebbe essere pronto ad una ripartenza: siamo andati a controllare l'evoluzione del spalla-testa-spalla rovesciato e ci sembra di poter confermare la valdità della figura che è quasi da manuale (in verde nel grafico) . Si vede bene la prima spalla, la testa a quota 10'000 e seconda spalla che è leggermente meno profonda della profonda della prima; poi abbiamo il superamento della linea del collo a 11'250 e, anche questo da manuale, un breve ritracciamento con volumi in calo che lascia presagire una ripartenza (freccia blu). Ovviamente non ne abbiamo certezza ma le premesse ci sono. 



La debolezza del dollaro delle ultime settimane era fondamentamente dovuta alla convinzione che la FED non avrebbe avuto il coraggio di far salire il Terminal Rate oltre il 5% (in fondo anche noi lo pensavamo...) ma la relatà dei numeri macroeconomici ha convinto un buon numero di analisti che Powell non sta scherzando e la reazione della moneta americana è (finalmente) arrivata.



Contro chf ha chiuso venerdì sopra i 0.94 centesimi recuperando quasi 4 punti percentuali dal minimo di inizio febbraio... diciamo che l'attuale differenziale di rendimento contro la nostra valuta potrebbe spingere nelle prossime settimane la valuta americana attorno ai 0.96 centesimi. Sarebbe un valore di certo più corretto.


Anche contro euro sembra intenzionato ad andare a far visita alla media mobile dei 100 giorni (linea verde) che potrebbe incontrare in zona 1.0450 o giù di lì.



Buon week end!



















domenica 19 febbraio 2023

Idee in chiaro cercasi

 Avevamo il sospetto che la settimana che sta per finire, con il suo carico di dati macroeconomici, fosse una di quelle importanti ed in effetti così è stato. Alcuni di questi dati ci stanno obbligando ad un lavoro di revisione delle aspettative che potrebbe avere, ma non è ancora certo, delle ripercussioni sulle nostre asset allocations. 

I numeri più importanti, anzi praticamente tutti, arrivano dagli USA e siamo perfettamente coscienti che sarete stufi di sentir parlare sempre delle stesse cose ma non possiamo farne a meno. La retorica della BCE è,  nè più nè meno,  quella della FED e considerato che negli Stati Uniti il processo economico è avanti di almeno 3/4 mesi rispetto al nostro, giocoforza siamo pressoché obbligati a radiografare tutti i dati che l'apparato statistico americano ci mette a disposizione anche nel difficile tentativo di anticipare quello che potrebbe accadere alla nostre latitudini. 

Ma procediamo con ordine. Martedì 14 tutta la nostra attenzione si è focalizzata sull'inflazione americana. Il CPI del mese di gennaio era attesissimo ed in parte, putroppo, ha leggermente disatteso le aspettative:


 Sebbene il trend del rincaro confermi la sua direzione ribassista, nel mese di gennaio i progressi sono stati inferiori alle aspettative, anzi... potremmo quasi dire di aver camminato sul posto: dal 6.5% del mese di dicembre per gennaio era atteso un 6.2% ma la realtà si presenta con un insoddifacente 6.4%. La core inflation  è al 4.6% e sta purtroppo accelerando dolcemente. Infatti mese su mese l'inflazione è cresciuta dello 0.5% a causa dell'aumento del costo dei servizi, un settore molto sensibile all'incremento del costo del lavoro, e del prezzo degli alimentari che dallo scoppio del conflitto Russo-Ucraino sta diventando una componente sempre più importante del rincaro (in giallo nel grafico). 

Purtroppo quest'ultima si sta dimostrando estremamente appiccicosa in quanto non è guidata solo dall'aumento della domanda ma è vittima di una serie di circostanze che vanno dalle difficoltà di approvvigionamento delle materie prime di base, ai problemi climatici che stravolgono i piani di produzione, alle epidemie come quella di aviaria che ha mandato alle stelle il prezzo delle uova negli USA ma non solo. E' evidente che per risolvere questo genere di problematiche non basta qualche aumento dei tassi di interesse...

E' palese che un'inflazione al 6.4%, ben lontana dall'agognato obiettivo del 2%,  sta portando acqua al mulino della FED che non perde occasione per farci sapere che i tassi saliranno ancora. E' un mantra che va avanti da mesi al quale fino ad oggi il mercato, persuaso che Powell stia bluffando, non  ha mai creduto con convinzione. Ma andiamo avanti.

Mercoledì 15 altra doccia fredda (per Powell):


Le vendite al dettaglio americane per il mese di gennaio hanno subito un balzo inaspettato: dal -1.1% di dicembre al 3% di gennaio 2023... le aspettative parlavano di un +2%. Insomma, come loro consuetudine, gli americani continuano a spendere... ennesimo dato pro-inflazione. Ed intanto la ruota del mulino della FED gira sempre più forte.

Ma da dove arrivano i soldi che gli statunitensi hanno in tasca?   



In buona parte dall'attività lavorativa: sono in una situazione di pieno impiego con paghe orarie (per il momento) in continua ascesca (vedi grafico con i dati fino a gennaio 2023)...



...come in continua ascesa è il debito contratto con le carte di credito che per fine 2022 ha quasi raggiunto il trilione di dollari. Chissà se i diretti interessati sono consapevoli che il costo di questo debito sta sfiorando il 20% (!)?  E' ovvio che da questa situazione, in un futuro non troppo lontano, possono nascere dei bei problemi...




...anche se per il momento non sembrano preoccuparsene più di tanto considerato che il tasso di risparmio nel mese di ottobre 2022 ha raggiunto il minimo storico del 2.5% per poi risalire al 3.4% di fine dicembre. Come dire: a cosa mi serve risparmiare se ho un salario mensile che entra con regolarità.

Riassumendo: gli americani stanno consumando parecchio, molto come al solito è a debito e di risparmiare non se ne parla.


Poi arriviamo a Giovedì 16.


Come volevasi dimostrare le nuove richieste di disoccupazione sono basse e leggermente al di sotto delle aspettative. Insomma il mercato del lavoro continua ad essere tonico ed assorbe con facilità, a giudicare dai numeri,  chi un lavoro lo perde. Questa tonicità, paradossalmente, è la principale generatrice delle notti insonni di Powell.


Se poi aggiungiamo anche un Producer Price Index al rialzo, le possibilità che a marzo Powell rinunci ad aumentare i tassi dello 0.25% si riducono a zero. Anzi, a onor del vero,  dobbiamo segnalare che un aumento dello 0.5%, che fino a qualche giorno fa era dato per impossibile, inizia ad essere una ipotesi che non possiamo completamente scartare (anche se noi non ci crediamo).


A questo punto se avete le idee un po' confuse sappiate che siete in buon compagnia. Anche noi stiamo cercando di riordinarle! 

Da una parte siamo confrontati con un mercato del lavoro che,  non solo negli Stati Uniti ma anche in molti paesi europei, è decisamente tonico. In queste condizioni non sarà facile abbattere l'inflazione al 2% in tempi rapidi e dovremo quindi convivere durante il 2023 con un rincaro più elevato che impedirà alle Banche Centrali di essere più accomodanti. Insomma, di tagli ai tassi per quest'anno non se ne parla.

Poi abbiamo un altro scenario, quello che ci parla di una recessione in arrivo per l'inizio dell'estate e che sembra essere supportato anche dagli outlook delle aziende che in molti casi vedono se non nero per lo meno grigio.  Infatti si stanno portando avanti con i lavori ed hanno già iniziato a licenziare il loro personale nel tentativo di mantenre i profitti futuri a livelli accettabili. Se la recessione sarà di quelle importanti allora un taglio ai tassi è assai probabile.

Come vedremo fra poco, soprattutto gli investitori del reddito fisso, si stanno orientando verso il primo dei due scenari, quello che comporta una previsione di tassi alti che resteranno tali per parecchio tempo. 



Riproponiamo, in quanto è troppo importante, il grafico dei rendimenti dei Treasury a 2 (in nero) e a 10 anni (in rosso). L'inversione della curva è sempre più ripida: il due anni sembra aver accelerato la sua salita e non ci meraviglieremo più di tanto se a breve sarà sopra il 5% (siamo al 4.61). E' chiaro che in queste condizioni i primi a farne le spese sono gli investitori obbligazionari, ma con delle rese praticamente senza rischio superiori al 5% è ovvio che potrebbero fare una bella concorrenza anche all'universo azionario...




Abbiamo sempre parlato poco di obbligazioni. Il 2022 è stato un anno orribilis e le perdite in molti casi hanno superato quelle azionarie. Poi, per fortuna, verso la fine dell'anno hanno iniziato a rialzare la testa. Vi proponiamo il grafico dell'indice Bloomberg che accorpa le obbligazioni societarie in dollari. Partito bene all'inizio dell'anno,  sta ritornato sui suoi passi ed ha quasi azzerato la sua performance ytd. Non un bel segnale per gli obbligazionisti...



Stesso discorso per l'indice che accorpa le obbligazioni societarie in euro... la partenza è stata promettente ma siamo ritornati praticamente ai piedi della scala; manca poco. Per una gestione 70/30, dove il 70 rappesenta la percentuale di obbligazioni presente nei depositi degli investitori,  è ovvio che un rialzo dei tassi è una sorta di incubo che si palesa ad ogni riunione della FED o della BCE...



La settiama è stata movimenta anche per il settore azionario. Lo S&P500 è uscito dal canale ascendente e probabimente correggerà fino all'incontro con la media mobile dei 50 giorni (linea viola); tale incontro dovrebbe avvenire in zona 4000 punti che rimane un livello importante sotto il quale non vogliamo che l'indice vada. 



Anche il modello del nostro amico Ned Davis prevede una correzione durante la seconda parte del mese di febbraio per poi ripartire agli inizi di marzo... gli vogliamo credere!



Il nostro indice sta lottando con i denti per restare in zona 11'250 punti e anche se a fatica per il momento sembra riuscirci. Ci pensa la media mobile a 50 giorni (linea viola) a ributtare l'indice verso l'alto. Molto dipenderà da cosa vogliono fare Roche, Novartis e Nestlé che venerdì sul finale di borsa si sono finalmente risvegliate... speriamo che duri.



Il dollaro dovrebbe approfittare del rialzo dei tassi americani ma non riusciamo bene a capire cosa intenda fare: venerdi ha avuto una fluttuazione importante di 100 basis point (freccia verde) per poi chiudere la giornata praticamente come l'aveva iniziata... il differenziale di rendimento contro il chf (ma anche contro euro) dovrebbe giocare a suo favore ma per il momento non sembra che sia così... noi comuque teniamo la posizione in dollari americani invariata.



Riassumendo: dobbiamo ammetterlo, quando le idee non sono chiarissime anche scrivere diventa difficile ed infatti questo numero di Appunti Finanziari non è venuto benissimo... diciamo che sugli scenari futuri dobbiamo ancora lavorare, e lo faremo, ma nel frattempo quel che ci sembra di aver capito lo possiamo riassumere brevemente nel modo seguente: l'attuale inflazione è una brutta bestia che ci accompagnerà ancora per parecchio tempo. Per riportarla al 2%, come vorrebbero le Banche Centrali,  NON basta una politica di tassi di interesse al rialzo ma dovremo assistere ad un netto indebolimento del mercato del lavoro combinato con un periodo di recessione più o meno profonda che potrebbe anche  NON arrivare. Nel frattempo dobbiamo far buon viso a cattiva sorte ed imparare a convivere con dei rendimenti più elevati del solito che non sono graditi né al mondo del reddito fisso e tanto meno a quello azionario. Come bisogna districarsi in ambito finanziario, confrontati con un simile scenario, ve lo diremo appena ci saremo fatti un'opinione degna di questo nome. Nel frattempo non ci rimane che seguire i segnali che l'analisi tecnica,  così generosamente,  ci fornisce.

Buona domenica

PS: domani mercati americani chiusi (President Day)  





























domenica 12 febbraio 2023

Scontro tra giganti: BARD contro ChatGPT

 Doveva essere una settimana interlocutoria. Di quelle che vengono definite di consolidamento e che sono caratterizzate da un trend laterale in attesa che capiti qualche cosa. Infatti la prossima settimana, in quanto a dati macroeconomici, sarà ben più ricca ed impegnativa di questa che sta per finire.

Abbiamo tutti una gran voglia di recuperare la pessima performance dello scorso anno ed i mercati, sia quelli del reddito fisso che quelli azionari, per il momento ci hanno assecondato; ma non dobbbiamo scordarci che l'attuale evoluzione poggia verosimilmente su fondamenta piuttosto fragili e basta un nonnulla per generare delle violente reazioni di segno negativo.




Lasciando perdere i profit warning visti nelle ultime settimane, che da soli basterebbero a giustificare i crolli di molti titoli, di piccole e grandi tragedie borsistiche ne abbiamo viste ultimamente parecchie. 

Ci limitiamo a citarne una. Chi segue il tecnologico americano,  si sarà accorto della delusione degli investitori per la chatbot BARD sviluppata da Alphabet (ex Google), quella che vorrebbe fare la concorrenza a chatGPT di Microsoft. Durante la sua presentazione si scopre che per il momento necessita di un ulteriore periodo di sviluppo. Per farla breve, a causa della fretta e/o per la paura di perdere il treno dell'intelligenza artificiale, la chat ha dei problemi ed il mercato non ci ha pensato due minuti a sanzionare Google con una correzione da 100 miliardi di dollari. Il grafico esposto qui sotto quantifica perfettamente il danno...



Ma permetteteci una breve e gustosa parentesi a proposito di chatGPT. Quando la interrogate abbiamo appreso che le risposte possono essere di due generi: c'è quella ufficiale, corredata da un corposo diclaimer che previene l'inevitabile class action in caso di risposta errata e poi c'è quella eccitantissima (in quanto delle class action proprio se ne frega) che arriva addirittura dal dark web, un luogo dove l'algoritmo perde ogni inibizione e ti risponde con il diagramma di flusso in mano. 

L 'altro giorno il Sole24Ore riporta questa notizia: sembra che un buontempone abbia chiesto a chatGPT di fornirgli la data precisa del prossimo crash finanziario e di motivarne la ragione. La risposta ufficiale è stata "che è impossibile prevedere un evento del genere e consiglia l'interlocutore di rivolgersi al suo consulente finanziario... " Poveri noi!  Ma era chiaro che sotto sotto chatGPT non vedeva l'ora di rispondere più esaustivamente e dall'"underground" ci fa sapere che il giorno X è il 15 di febbraio 2023: "la data è stata calcolata tenendo presente vari fattori tra cui il rallentamento dell'economia, il rialzo dei tassi di interesse e il crescente rischio di tensioni geopolitiche." Vanno aggiunti, quale ciliegina sulla torta, gli elevati livelli del debito mondiale... Insomma "gli investitori dovrebbero essere cauti e preparati alla possibilità di un crash in tale data".

In effetti la seconda risposta, pur nella sua genericità, non fa una piega: cita correttamente tutti gli elementi che potrebbero portare all'evento nefasto. Per comprendere come si arriva alla data del 15 febbraio probabilmente bisogna far entrare in gioco l'attesissimo dato sull'inflazione americana che verrà pubblicato martedì 14 febbraio. Per la cronaca l'inflazione made in USA dovrebbe passare dal 6.5% al 6.2%,  mentre la core dal 5.7% dovrebbe scendere al 5.4%. Se così non fosse e dovessimo malauguratamente assistere alla pubblicazione di tali dati in netto rialzo, il 14 stesso assisteremo ad una seduta di borsa piuttosto disastrosa; quale magra consolazione a noi rimarrebbe la constatazione che chatGPT si è sbagliata di un giorno...

Scherzi a parte dobbiamo ammettere che il potenziale dell'intelligenza artificiale è dirompente: per il momento è ancora  fonte d'ilarità, soprattutto quando le sue risposte sono strampalate, ma in un futuro non tanto lontano chiedere ad una chatbot dove andranno i mercati o quale direzione prenderà  il dollaro farà in modo che un blog come il nostro non avrà più senso di esistere; parimenti temiamo che fare il nostro mestiere subirà la stessa sorte. 

Comunque, per il momento, non ci scoraggiamo e cerchiamo di rimanere sul pezzo.  Powell lunedi 6 febbraio ci ha fatto sapere che "l'inflazione è in frenata ma che negli USA il carovita tornerà vicino all'obiettivo del 2% soltanto l'anno prossimo". Se lo dice lui siamo tranquilli. Inoltre giovedì le nuove richieste di disoccupazione americane sono leggermente salite (da 183k a 196k) e le richieste continue pure (da 1655k a 1688k); poca roba ma è un indizio che forse anche il mercato del lavoro, al di là del dato monstre di venerdi scorso, potrebbe avere qualche cedimento graditissimo alla FED.

Anche l'Università del Michigan venerdì ci fa sapere che il suo Consumer Sentiment Index è in costante crescita e per febbraio passa dal 64.9 al 66.4. Inoltre, sempre la medesima università, prevede che fra un anno l'inflazione sarà al 4.2% (leggermente più alta della precedente stima che dava 3.9%) mentre la stima per i prossimi 5-10 anni è in forte ribasso e si attesta al 2.9% (una spanna sopra il livello del 2% stabilito dalla FED). 

Fin qui tutto bene si direbbe e l'unica cosa che ci rimane da fare in attesa del 14 è quella di non scordarci che alle Signore, per quel giorno, un gesto di galenteria non dispiace affatto (e aiuta a sostenere un po' l'economia...).


Ma il mercato cosa ne pensa?



Cominciamo con il constatare che i rendimenti dei Treasury a 2 (linea nera) e a 10 anni (linea rossa), da qualche giorno stannno voltando la rialzo. 

Come spiegarlo? E' possibile che il mercato inizi a credere che la FED porterà, come promesso, il terminal rate sopra il 5%? Perché no... Oppure si sta facendo strada l'idea che la tanto attesa recessione possa anche non farsi vedere? A giudicare da certi numeri in circolazione anche questa ipotesi sembra credibile... A ben pensarci in ambe due i casi i tassi devono salire e le conseguenze le conosciamo: mercato dei bonds meno tonico e borse (soprattutto quelle tecnologiche) che soffrono. A quanto pare,  per vedere delle borse più pimpanti dobbiamo sperare in una futura recessione... più controintuitivo di così si muore!


Il VIX, l'indice della paura, da qualche giorno si sta spostano al rialzo e ce lo ritroviamo per un nonnulla sopra il 20... ci piaceva di più quando stava a 18 o giù di lì...



...infatti i mercati azionari qualche piccolo contraccolpo lo stanno subendo e 3-4-5 punti percentuali in questi giorni sono andati persi. Soprattutto la Svizzera (fra un attimo vedremo il perché) con il suo + 3.74% ytd è il fanalino di coda.



Confermiamo che il golden cross (la media mobile a 50 ha bucato quella a 200 giorni) è avvenuto ed è un bene pure il fatto che venerdì abbia chiuso sopra i 4000 punti che sono un livello psicologico importante. Sta cercando di restare dentro il canale ascendente e lo sforzo è evidente... Putroppo se martedi i dati non saranno decenti (noi siamo confidenti...) andremo a testare il supporto (linea arancione); spazio di discesa purtroppo ne abbiamo...



Sullo SMI questa settimana ne abbiamo viste un po' di tutti i colori e per i nostri gusti basta e avanza. Tra giovedi e venerdi i volumi sono esplosi ed il ribasso (freccia blu) è frutto di una vendita in modo particolare. Ma cosa sta succedendo? Bisognerebbe chiederlo all'UBS visto che è stata l'unico global coordinator e book runner di questa operazione. Ma di quale operazione stiamo parlando?

Sembra che un membro della famiglia che ora controlla il 65% delle azioni Roche con diritto di voto,  abbia deciso di cedere una quota pari al 2.5% vendendo 2.7 milioni di azioni. Ovviamente il motivo non è dato a sapere e forse mai lo sapremo. 


E' invece evidente il movimento ribassista dell'azione di venerdì(cerchio rosso) che si aggiunge ad un trend che per il momento parla chiaro... Quale magra consolazione constatiamo che dopo un'escursione di diversi punti percentuali Roche ha chiuso sul prezzo di apertura e questo lascia aperta una possiblità di recupero... lo vedremo domani mattina. Considerato che Roche pesa il 18% dell'indice SMI è presto spiegato il movimento ribassista dell'indice stesso.


Terminiamo con un accenno al dollaro: è chiaro che il rialzo dei rendimenti ha messo in moto per il momento anche un rialzo della valuta americana:


Contro euro è evidente l'uscita dal trend ascendente e per il momento la media mobile a 50 giorni (in viola) sta facendo da supporto... se lo sfonda al ribasso è probabile che ci ritroveremo il dollaro a breve attorno all'1.05 - 1.03.



Contro chf è rientrato nel range 0.92-0.9370 e pensiamo chi lì resterà... per vedere movimenti più ampi dovrà prima avere la forza di issarsi sopra lo 0.9370.


Buona domenica!



domenica 5 febbraio 2023

Tutto come da aspettativa...

                 Elaborazione del grafico: Il Mattino

Mai una volta che dalle riunioni delle Banche Centrali esca fuori una bella (o brutta) sorpresa: tutto è già scontato da settimane e non ci rimane che ascoltare con attenzione le conferenze stampa nella speranza di carpire qualche novità che rimane comunque merce rara. Come se non bastasse i comunicati emessi dalla FED e dalla BCE sembrano quasi un copia-incolla l'uno dell'altro. Cerchiamo comunque di riassumere quanto appreso mercoledi (FED) e giovedi (BCE).

Verosimilmente negli USA è iniziato un processo di disinflazione che è ovviamente ben visto dalla FED ma non è sufficiente per abbassare la guardia: in sostanza ci sarà  ancora un aumento dei tassi dello 0.25% a marzo e poi si vedrà. Comunque l'impressione è che nei meandri della FED  si voglia evitare a tutti i costi gli errori commessi negli anni 70,  quando la politica monetaria era stata allentata dopo i primi segnali di un'inflazione calante, sbagliando, ed ottenendo il risultato di rilanciare la stessa: ci sono poi voluti 10 anni per riportarla a dei livelli accettabili. Ovviamente sono pure consapevoli che il protrarsi di una politica monetaria eccessivamente restrittiva potrebbe risolversi in una recessione da non sottovalutare ma, come vedremo dopo, questo scenario fa meno paura.

In Europa Lagarde ci avvisa che "non è ancora tempo per smettere di stringere" e quindi la politica monetaria restrittiva si manifesterà con almeno altri due rialzi, verosimilmente di mezzo punto ciascuno, che saranno coadiuvati, a partire dal mese di marzo, dalla riduzione delle consistenze dei titoli obbligazionari per un importo di 15 miliardi al mese fino a giugno 2023.

Insomma, c'è una gran voglia di riportare celermente l'inflazione al 2% e questo sforzo è ovviamente apprezzabile. Ma sappiamo tutti che le banche centrali hanno preso un enorme granchio quando hanno definito l'attuale inflazione "solo di passaggio". A pensarci bene è un errore che possiamo perdonare: infondo l'inflazione mancava da quarant'anni, nel frattempo è diventata materia per i manuali di economia e quando ha fatto capolino non l'abbiamo riconosciuta. Un errore può capitare, ma purtroppo al giorno d'oggi nulla ti viene perdonato e per un certo periodo le Banche Centrali - chi se non loro avrebbero dovuto individuare l'inflazione per tempo? - dovranno convivere con un deficit di credibilità da recuperare al più presto. Per farlo, oltre che con i fatti, dovranno stare attenti anche alle parole. Durante la conferenza stampa della Lagarde si viene a sapere che "d'ora in poi la politica monetaria dipende dai dati economici". Francamente sorge spontanea una domanda: ma fino ad ora, da che cosa dipendeva? Temiamo di non aver voglia di saperlo e restiamo con un po' di amaro in bocca che ci induce a continuare nel pensar male. 

Comunque sia, se la futura politica della banche centrali dipende dai dati economici, tra giovedì e venerdì, soprattutto negli USA,  ne abbiamo ottenuti tanti; alcuni addirittura soprendenti.

Giovedì le nuove richieste di disoccupazione sono ulteriormente calate da 186k a 183k (attesi 195k); stesso destino per le richieste continue di disoccupazione: da 1675k a 1655k (attesi 1684k). Per il momento non s'intravvede un aumento significiativo della disoccupazione, anzi...

Poi Venerdì abbiamo la conferma che la disoccupazione dal 3.5% è scesa al 3.4% (attesa 3.6%), questo dato non era mai stato così basso dal 1969... poi pubblicano un dato che ci vorrà qualche giorno per digerirlo ed interpretarlo correttamente:


I nuovi posti di lavoro esclusi quelli agricoli, attesi a 188k, sono letteralmente esplosi a 517k ! Per essere un'economia che sta entrando in recessione, decisamente niente male!! Il dato viene, solo leggermente, controbilanciato dalle paghe orarie...



...paghe che sono leggermente diminuite dal 4.6% al 4.4% (atteso 4.3%). Insomma: si creano nuovi posti di lavoro in maniera copiosa ma per il momento le paghe orarie seguono quella che è la tendenza avviatasi nel primo trimestre del 2022 ovverosia sono al ribasso. Già ci par di vedere Powell tirare un sospiro di sollievo...

Poi nel tardo pomeriggio di venerdì ecco un altro dato non propriamente atteso:


L'indice ISM dei servizi PMI è salito al 55.2, ben oltre le aspettative. Vi ricordiamo che un valore sopra il 50 sta ad indicare un momento di espansione dell'attività; per importanza e per influsso sul PIL americano questo indice non ha lo stesso peso specifico di quello Manifatturiero ma comunque abbiamo un'altro tassello che non riusciamo ad incastrare nel puzzle di un'economia avviata verso una recessione.

Reazione dei mercati? Con dei dati che forniscono dell'acqua nel mulino dell'inflazione, non buonissima:


I Treasury a 2 e 10 anni sono stati venduti e le loro rese sono aumentate di una ventina di punti base; vedremo se questa reazione è solo temporanea, ed la risposta alla sorpresa dei dati  pubblicati venerdi, oppure ritorniamo a puntare con una certa costanza verso il 5% ( che darebbe un certo peso anche alla narrativa della FED...).



Lo S&P500 ha lasciato sul posto l'1%, rimane sempre nel canale ascendente creatosi all'inizio di gennaio...


...ma temiamo, ed è peccato, che abbia per il momento mancato l'appuntamento con il golden cross delle medie mobili (ricordate? ne abbiamo parlato la scorsa settimana). Vedremo nella settimana entrante se l'incontro sarà solo rimandato a breve oppure ce lo dobbiamo scordare per un po'.


...discorso simile anche per il tecnologico Nasdaq che come sappiamo è parecchio sensibile all'aumento dei rendimenti... 



Chi invece se n'è andato per i fatti suoi, è lo SMI: improvvisamente qualcuno ha iniziato a comprare Logitech, Roche, Abbn, Nestlé, Novartis e UBS spingendo l'indice al rialzo dell'1.46%. Se qualcuno ha capito il perché si faccia avanti per favore.





...altro vincitore nella giornata di venerdì è stato il dollaro che con dati simili ha recuperato un centinaio di bps sia contro chf che contro euro. Non scordiamoci che contro queste due parità il dollaro vanta comunque un rendimento notevolmente più alto che in un certo qualmodo dovrebbe fare da calamita.



Se tutti questi alti e bassi, soprattutto dei mercati azionari,  vi stanno facendo venire le farfalle allo stomaco, sappiate che proteggersi in questo momento è ancora piuttosto a buon mercato. Il VIX è da diversi giorni sotto il 20 e non lo si vedeva così basso da parecchio...


***


Negli scorsi giorni siamo stati parecchio sollecitati in quanto in molti ci hanno chiesto cosa sta succedendo a Roche e Novartis, due colossi del nostro listino che praticamente insieme a Nestle, oltre che a rappresentare quasi il 60% dello SMI (!) costituiscono spesso l'asse portante della quota azionaria svizzera di moltissimi portafogli.

Piccolo inciso: quanto vi verrà mostrato in seguito è solo a puro scopo informativo. NON è nostra intenzione, essendo questo blog non il luogo adatto per farlo, sollecitare in alcun modo l'acquisto e/o la vendita dei due titoli summenzionati. Se vi viene voglia di farlo, prima consultate il vostro consulente finanziario.

Detto questo, evidenziamo prima di tutto i risultati dei due colossi farmaceutici che hanno ambedue appena pubblicato i numeri:

Iniziamo da Roche (performance 2023: -2.81%; dividendo: chf 9.50 (3.36%); P/E: 18.07)

Qualche numero nudo e crudo espresso in milioni di chf (fra parentesi l'anno precedente) per tutto il 2022 può servire: vendite del Gruppo: 63'281(63'336); vendite Pharma: 45'551 (45'550); vendite Diagnostics: 17'730 (17'663), EBIT core: 22'173 (22'441), EPS core: 20.30 (20.51). 

I numeri pubblicati sono considerati dagli analisti un pochettino "timidi" rispetto alle aspettative ragione per la quale il target del titolo è stato a più riprese diminutio durante l'anno passato ed anche per l'anno in corso non si aspettano miglioramenti degni di nota. 

Ovviamente chi fa previsioni ha già escluso dai modelli di valutazione un calo di circa 5 mia di chf di prodotti diagnostici legati al covid-19 così come in molti modelli non sono stati presi in considerazione i potenziali guadagni del farmaco che rallenta l'Alzheimer e che ha fallito lo studio di fase 3. Come vedremo dopo, abbiamo il sospetto che molti investitori su questo farmaco dal nome impronunciabile (Gantenerumab) avevano comunque riposto parecchie aspettative soprattutto perché il farmaco rivale di Biogen, concepito con il medesimo principio attivo, ha avuto successo nelle sue fasi sperimentali.

Non dobbiamo comunque disperare in quanto in quanto nella pipeline quest'anno dovrammo fare la loro apparizione un paio di farmaci in ambito oncologico e pure in quello oftalmologico qualche cosa di interessante si sta muovendo.

Qui sotto riportiamo le opinioni di una parte degli analisti che si sono espressi dopo la pubblicazione dei dati del 2 di febbraio:



Dei 13 analisti che si sono espressi dopo il 2.2, 7 sono convinti che bisogna comprare il titolo, 4 (in giallo) lo tengono in portafoglio e 2 ne consigliano la vendita. Il target medio di Roche per i prossimi 12 mesi, calcolato prendendo in considerazione i 13 analisti della lista esposta, si situa a 341 chf .

Quello che ha disturbato il mercato,  lo potete ben osservare nel grafico a barre:  la linea nera rappresenta il price target medio degli analisti e nel 2021 è sempre stato al rialzo, si è poi stabilizzato attorno ai 400 chf per alcuni mesi per poi, a partire dal mese di giugno del 2022,  iniziare a scendere con constanza. Queste riduzioni del price target ovviamente hanno indotto parecchi investitori a vendere il titolo. 

Consola comunque lo spread target (57.08) che misura la distanza tra la quotazione attuale del titolo e il target price medio: come vedete da giugno il valore è ampio e possiamo considerare Roche un'azione che ha un potenzile interessante (20.2%) in quanto il valore attuale è parecchio sottoquotato rispetto al valore teorico calcolato con i modelli degli analisti. 


Tecnicamente abbiamo preso un colpo quanto la Roche non è più risucita a mantenersi sopra il supporto dei 292 chf (linea verde). Ne abbiamo individuato un altro attorno ai 260 chf ma speriamo proprio di non andarlo a testare... il rimbalzo totalmente inaspettato di venerdì ha comunque riportato un po' di positività sul titolo. Vediamo la prossima settimana se è stato solo un fuoco di paglia oppure c'è qualche cosa di più sostanzioso dietro a questo rialzo.


Passiamo a Novartis: (performance 2023: -4.85%; dividendo: chf 3.2 (4.03%); P/E: 27.22)

I dati del quarto trimestre 2022 sono stati pubblicati il primo febbraio e sono espressi in dollari: vendite Q4 12'690 (12'978); Innovative Medicines: 10'360 (consenso: 10'568); Sandoz: 2'330 (2'387), Core-Ebit: 4030 (3'816), Utile netto core: 3251 (2'991) EPS  1.52 (1.42). Dividendo aumentato da 3.1 a 3.2 chf. Outlook 2023: aumento previsto ad una cifra percentuale medio-bassa. Lo spin-off di Sandoz si concretizzerà per il secondo semestre 2023 e  ci sono ancora 4.9 miliardi di dollari di riacquisto di azioni proprie (sui 15 mia annunciati).

Insomma, i numeri non sono malaccio, forse a deludere un po'sono le prospettive per il 2023 non brillantissime e che probabilmente non aiuteranno il titolo ad andare molto in alto.



Gli analisti non ci sembrano particolarmente negativi (target price a 12 mesi: 89.86) anche se è vero che lo spread medio rispetto al target price è solo di 10.32 chf con un potenziale del 13% rispetto all'attuale quotazione. A favore di Novartis va fatto notare che tutto sommato i target prices sono piuttosto stabili e tendenti ad uno spostamento laterale (linea nera). Il dividendo, sopra il 4% in chf , non è da disdegnare.



Tecnicamente è abbastanza evidente lo spostamento laterale del titolo che da anni fluttua in un range compreso tra i 72.50 e gli 87.50  e che rappresenta uno spazio di movimento del 20% tutto sommato non affatto trascurabile. A qualcuno di voi non sarà sfuggito il guizzo che da settembre l'ha portata dai 73 chf a quasi 86... a noi non è dispiaciuto.


Ma allora cosa c'è che non va con queste due azioni? Al di là della delusione per un test mancato e una previsione 2023 non straordinaria, sostanzialmente queste due società sono sane e possono rimanere tranquillamente nei nostri depositi. 

Una spiegazione forse c'è: guardate il grafico qui sotto.



Abbiamo sovrapposto allo SMI (linea nera) il grafico di Roche (in rosso) e quello di Novartis (in verde), siamo tornati indietro di un anno (feb 2022) ed abbiamo normalizzato il grafico. 

Impossibile dimenticare che proprio un anno fa la Russia ha invaso l'Ucraina ed i mercati azionari sono entrati in fibrillazione entrando in una fase che di norma viene descritta di risk-off (un po' come dire: giù le mani da tutto quello che è rischioso). E' risaputo che la nostra borsa è comunque una borsa parecchio difensiva e soprattutto alcuni componenti l'indice SMI (parliamo di Roche, Novartis, Nestlé, ma non solo...) vengono acquistati proprio da coloro che non possono fare a meno di comprare azioni. Infatti, sia Novartis (in modo particolare) ma anche Roche (malgrado le continue diminuzioni di target price) si sono comportati meglio dell'indice di riferimento.

Poi sono accadute due cose. a) Roche ha annunciato verso la metà di novembre, come abbiamo visto, l'insuccesso del test del farmaco che rallenta l'Alzheimer (riga verticale blu): da quel momento il titolo non ha fatto che scendere andando in controtendenza sia nei riguardi dell'indice sia di Novartis che se n'è andata nella direzione opposta. E' evidente la delusione: le aspettative per questo farmaco erano (sono) parecchio alte... b) a partire da gennaio il mercato ha cambiato radicalmente (ed anche un po' inaspettatamente) atteggiamento nei confronti delle borse entrando in un clima decisamente da risk-on. In questo frangente di norma si vendono le posizioni più conservative (Roche e Novartis ne sono un esempio) e si va a caccia di titoli depressi dal potenziale interessante ( ...ve ne sono parecchi).  

Ci fermiamo qui, crediamo che abbiate capito cosa sia successo.

Buona domenica!