Mai una volta che dalle riunioni delle Banche Centrali esca fuori una bella (o brutta) sorpresa: tutto è già scontato da settimane e non ci rimane che ascoltare con attenzione le conferenze stampa nella speranza di carpire qualche novità che rimane comunque merce rara. Come se non bastasse i comunicati emessi dalla FED e dalla BCE sembrano quasi un copia-incolla l'uno dell'altro. Cerchiamo comunque di riassumere quanto appreso mercoledi (FED) e giovedi (BCE).
Verosimilmente negli USA è iniziato un processo di disinflazione che è ovviamente ben visto dalla FED ma non è sufficiente per abbassare la guardia: in sostanza ci sarà ancora un aumento dei tassi dello 0.25% a marzo e poi si vedrà. Comunque l'impressione è che nei meandri della FED si voglia evitare a tutti i costi gli errori commessi negli anni 70, quando la politica monetaria era stata allentata dopo i primi segnali di un'inflazione calante, sbagliando, ed ottenendo il risultato di rilanciare la stessa: ci sono poi voluti 10 anni per riportarla a dei livelli accettabili. Ovviamente sono pure consapevoli che il protrarsi di una politica monetaria eccessivamente restrittiva potrebbe risolversi in una recessione da non sottovalutare ma, come vedremo dopo, questo scenario fa meno paura.
In Europa Lagarde ci avvisa che "non è ancora tempo per smettere di stringere" e quindi la politica monetaria restrittiva si manifesterà con almeno altri due rialzi, verosimilmente di mezzo punto ciascuno, che saranno coadiuvati, a partire dal mese di marzo, dalla riduzione delle consistenze dei titoli obbligazionari per un importo di 15 miliardi al mese fino a giugno 2023.
Insomma, c'è una gran voglia di riportare celermente l'inflazione al 2% e questo sforzo è ovviamente apprezzabile. Ma sappiamo tutti che le banche centrali hanno preso un enorme granchio quando hanno definito l'attuale inflazione "solo di passaggio". A pensarci bene è un errore che possiamo perdonare: infondo l'inflazione mancava da quarant'anni, nel frattempo è diventata materia per i manuali di economia e quando ha fatto capolino non l'abbiamo riconosciuta. Un errore può capitare, ma purtroppo al giorno d'oggi nulla ti viene perdonato e per un certo periodo le Banche Centrali - chi se non loro avrebbero dovuto individuare l'inflazione per tempo? - dovranno convivere con un deficit di credibilità da recuperare al più presto. Per farlo, oltre che con i fatti, dovranno stare attenti anche alle parole. Durante la conferenza stampa della Lagarde si viene a sapere che "d'ora in poi la politica monetaria dipende dai dati economici". Francamente sorge spontanea una domanda: ma fino ad ora, da che cosa dipendeva? Temiamo di non aver voglia di saperlo e restiamo con un po' di amaro in bocca che ci induce a continuare nel pensar male.
Comunque sia, se la futura politica della banche centrali dipende dai dati economici, tra giovedì e venerdì, soprattutto negli USA, ne abbiamo ottenuti tanti; alcuni addirittura soprendenti.
Giovedì le nuove richieste di disoccupazione sono ulteriormente calate da 186k a 183k (attesi 195k); stesso destino per le richieste continue di disoccupazione: da 1675k a 1655k (attesi 1684k). Per il momento non s'intravvede un aumento significiativo della disoccupazione, anzi...
Poi Venerdì abbiamo la conferma che la disoccupazione dal 3.5% è scesa al 3.4% (attesa 3.6%), questo dato non era mai stato così basso dal 1969... poi pubblicano un dato che ci vorrà qualche giorno per digerirlo ed interpretarlo correttamente:
I nuovi posti di lavoro esclusi quelli agricoli, attesi a 188k, sono letteralmente esplosi a 517k ! Per essere un'economia che sta entrando in recessione, decisamente niente male!! Il dato viene, solo leggermente, controbilanciato dalle paghe orarie...
...paghe che sono leggermente diminuite dal 4.6% al 4.4% (atteso 4.3%). Insomma: si creano nuovi posti di lavoro in maniera copiosa ma per il momento le paghe orarie seguono quella che è la tendenza avviatasi nel primo trimestre del 2022 ovverosia sono al ribasso. Già ci par di vedere Powell tirare un sospiro di sollievo...
Poi nel tardo pomeriggio di venerdì ecco un altro dato non propriamente atteso:
L'indice ISM dei servizi PMI è salito al 55.2, ben oltre le aspettative. Vi ricordiamo che un valore sopra il 50 sta ad indicare un momento di espansione dell'attività; per importanza e per influsso sul PIL americano questo indice non ha lo stesso peso specifico di quello Manifatturiero ma comunque abbiamo un'altro tassello che non riusciamo ad incastrare nel puzzle di un'economia avviata verso una recessione.
Reazione dei mercati? Con dei dati che forniscono dell'acqua nel mulino dell'inflazione, non buonissima:
I Treasury a 2 e 10 anni sono stati venduti e le loro rese sono aumentate di una ventina di punti base; vedremo se questa reazione è solo temporanea, ed la risposta alla sorpresa dei dati pubblicati venerdi, oppure ritorniamo a puntare con una certa costanza verso il 5% ( che darebbe un certo peso anche alla narrativa della FED...).
Lo S&P500 ha lasciato sul posto l'1%, rimane sempre nel canale ascendente creatosi all'inizio di gennaio...
...ma temiamo, ed è peccato, che abbia per il momento mancato l'appuntamento con il golden cross delle medie mobili (ricordate? ne abbiamo parlato la scorsa settimana). Vedremo nella settimana entrante se l'incontro sarà solo rimandato a breve oppure ce lo dobbiamo scordare per un po'.
...discorso simile anche per il tecnologico Nasdaq che come sappiamo è parecchio sensibile all'aumento dei rendimenti...
Chi invece se n'è andato per i fatti suoi, è lo SMI: improvvisamente qualcuno ha iniziato a comprare Logitech, Roche, Abbn, Nestlé, Novartis e UBS spingendo l'indice al rialzo dell'1.46%. Se qualcuno ha capito il perché si faccia avanti per favore.
...altro vincitore nella giornata di venerdì è stato il dollaro che con dati simili ha recuperato un centinaio di bps sia contro chf che contro euro. Non scordiamoci che contro queste due parità il dollaro vanta comunque un rendimento notevolmente più alto che in un certo qualmodo dovrebbe fare da calamita.
Se tutti questi alti e bassi, soprattutto dei mercati azionari, vi stanno facendo venire le farfalle allo stomaco, sappiate che proteggersi in questo momento è ancora piuttosto a buon mercato. Il VIX è da diversi giorni sotto il 20 e non lo si vedeva così basso da parecchio...
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Negli scorsi giorni siamo stati parecchio sollecitati in quanto in molti ci hanno chiesto cosa sta succedendo a Roche e Novartis, due colossi del nostro listino che praticamente insieme a Nestle, oltre che a rappresentare quasi il 60% dello SMI (!) costituiscono spesso l'asse portante della quota azionaria svizzera di moltissimi portafogli.
Piccolo inciso: quanto vi verrà mostrato in seguito è solo a puro scopo informativo. NON è nostra intenzione, essendo questo blog non il luogo adatto per farlo, sollecitare in alcun modo l'acquisto e/o la vendita dei due titoli summenzionati. Se vi viene voglia di farlo, prima consultate il vostro consulente finanziario.
Detto questo, evidenziamo prima di tutto i risultati dei due colossi farmaceutici che hanno ambedue appena pubblicato i numeri:
Iniziamo da Roche (performance 2023: -2.81%; dividendo: chf 9.50 (3.36%); P/E: 18.07)
Qualche numero nudo e crudo espresso in milioni di chf (fra parentesi l'anno precedente) per tutto il 2022 può servire: vendite del Gruppo: 63'281(63'336); vendite Pharma: 45'551 (45'550); vendite Diagnostics: 17'730 (17'663), EBIT core: 22'173 (22'441), EPS core: 20.30 (20.51).
I numeri pubblicati sono considerati dagli analisti un pochettino "timidi" rispetto alle aspettative ragione per la quale il target del titolo è stato a più riprese diminutio durante l'anno passato ed anche per l'anno in corso non si aspettano miglioramenti degni di nota.
Ovviamente chi fa previsioni ha già escluso dai modelli di valutazione un calo di circa 5 mia di chf di prodotti diagnostici legati al covid-19 così come in molti modelli non sono stati presi in considerazione i potenziali guadagni del farmaco che rallenta l'Alzheimer e che ha fallito lo studio di fase 3. Come vedremo dopo, abbiamo il sospetto che molti investitori su questo farmaco dal nome impronunciabile (Gantenerumab) avevano comunque riposto parecchie aspettative soprattutto perché il farmaco rivale di Biogen, concepito con il medesimo principio attivo, ha avuto successo nelle sue fasi sperimentali.
Non dobbiamo comunque disperare in quanto in quanto nella pipeline quest'anno dovrammo fare la loro apparizione un paio di farmaci in ambito oncologico e pure in quello oftalmologico qualche cosa di interessante si sta muovendo.
Qui sotto riportiamo le opinioni di una parte degli analisti che si sono espressi dopo la pubblicazione dei dati del 2 di febbraio:
Dei 13 analisti che si sono espressi dopo il 2.2, 7 sono convinti che bisogna comprare il titolo, 4 (in giallo) lo tengono in portafoglio e 2 ne consigliano la vendita. Il target medio di Roche per i prossimi 12 mesi, calcolato prendendo in considerazione i 13 analisti della lista esposta, si situa a 341 chf .
Quello che ha disturbato il mercato, lo potete ben osservare nel grafico a barre: la linea nera rappresenta il price target medio degli analisti e nel 2021 è sempre stato al rialzo, si è poi stabilizzato attorno ai 400 chf per alcuni mesi per poi, a partire dal mese di giugno del 2022, iniziare a scendere con constanza. Queste riduzioni del price target ovviamente hanno indotto parecchi investitori a vendere il titolo.
Consola comunque lo spread target (57.08) che misura la distanza tra la quotazione attuale del titolo e il target price medio: come vedete da giugno il valore è ampio e possiamo considerare Roche un'azione che ha un potenzile interessante (20.2%) in quanto il valore attuale è parecchio sottoquotato rispetto al valore teorico calcolato con i modelli degli analisti.
Tecnicamente abbiamo preso un colpo quanto la Roche non è più risucita a mantenersi sopra il supporto dei 292 chf (linea verde). Ne abbiamo individuato un altro attorno ai 260 chf ma speriamo proprio di non andarlo a testare... il rimbalzo totalmente inaspettato di venerdì ha comunque riportato un po' di positività sul titolo. Vediamo la prossima settimana se è stato solo un fuoco di paglia oppure c'è qualche cosa di più sostanzioso dietro a questo rialzo.
Passiamo a Novartis: (performance 2023: -4.85%; dividendo: chf 3.2 (4.03%); P/E: 27.22)
I dati del quarto trimestre 2022 sono stati pubblicati il primo febbraio e sono espressi in dollari: vendite Q4 12'690 (12'978); Innovative Medicines: 10'360 (consenso: 10'568); Sandoz: 2'330 (2'387), Core-Ebit: 4030 (3'816), Utile netto core: 3251 (2'991) EPS 1.52 (1.42). Dividendo aumentato da 3.1 a 3.2 chf. Outlook 2023: aumento previsto ad una cifra percentuale medio-bassa. Lo spin-off di Sandoz si concretizzerà per il secondo semestre 2023 e ci sono ancora 4.9 miliardi di dollari di riacquisto di azioni proprie (sui 15 mia annunciati).
Insomma, i numeri non sono malaccio, forse a deludere un po'sono le prospettive per il 2023 non brillantissime e che probabilmente non aiuteranno il titolo ad andare molto in alto.
Gli analisti non ci sembrano particolarmente negativi (target price a 12 mesi: 89.86) anche se è vero che lo spread medio rispetto al target price è solo di 10.32 chf con un potenziale del 13% rispetto all'attuale quotazione. A favore di Novartis va fatto notare che tutto sommato i target prices sono piuttosto stabili e tendenti ad uno spostamento laterale (linea nera). Il dividendo, sopra il 4% in chf , non è da disdegnare.
Tecnicamente è abbastanza evidente lo spostamento laterale del titolo che da anni fluttua in un range compreso tra i 72.50 e gli 87.50 e che rappresenta uno spazio di movimento del 20% tutto sommato non affatto trascurabile. A qualcuno di voi non sarà sfuggito il guizzo che da settembre l'ha portata dai 73 chf a quasi 86... a noi non è dispiaciuto.
Ma allora cosa c'è che non va con queste due azioni? Al di là della delusione per un test mancato e una previsione 2023 non straordinaria, sostanzialmente queste due società sono sane e possono rimanere tranquillamente nei nostri depositi.
Una spiegazione forse c'è: guardate il grafico qui sotto.
Abbiamo sovrapposto allo SMI (linea nera) il grafico di Roche (in rosso) e quello di Novartis (in verde), siamo tornati indietro di un anno (feb 2022) ed abbiamo normalizzato il grafico.
Impossibile dimenticare che proprio un anno fa la Russia ha invaso l'Ucraina ed i mercati azionari sono entrati in fibrillazione entrando in una fase che di norma viene descritta di risk-off (un po' come dire: giù le mani da tutto quello che è rischioso). E' risaputo che la nostra borsa è comunque una borsa parecchio difensiva e soprattutto alcuni componenti l'indice SMI (parliamo di Roche, Novartis, Nestlé, ma non solo...) vengono acquistati proprio da coloro che non possono fare a meno di comprare azioni. Infatti, sia Novartis (in modo particolare) ma anche Roche (malgrado le continue diminuzioni di target price) si sono comportati meglio dell'indice di riferimento.
Poi sono accadute due cose. a) Roche ha annunciato verso la metà di novembre, come abbiamo visto, l'insuccesso del test del farmaco che rallenta l'Alzheimer (riga verticale blu): da quel momento il titolo non ha fatto che scendere andando in controtendenza sia nei riguardi dell'indice sia di Novartis che se n'è andata nella direzione opposta. E' evidente la delusione: le aspettative per questo farmaco erano (sono) parecchio alte... b) a partire da gennaio il mercato ha cambiato radicalmente (ed anche un po' inaspettatamente) atteggiamento nei confronti delle borse entrando in un clima decisamente da risk-on. In questo frangente di norma si vendono le posizioni più conservative (Roche e Novartis ne sono un esempio) e si va a caccia di titoli depressi dal potenziale interessante ( ...ve ne sono parecchi).
Ci fermiamo qui, crediamo che abbiate capito cosa sia successo.
Buona domenica!
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