La prima volta a portargli via una A è stata l'agenzia S&P nel 2011, ma poi ci sono voluti altri 12 anni affinché Fitch si decidesse a fare la stessa cosa. Ora, per chiudere il cerchio, manca solo Moody's e vedremo se avrà l'ardire di seguire le tracce delle sue dirette concorrenti. Stiamo parlando del declassamento del debito pubblico americano operato martedì scorso da Fitch che è passato da una confortante AAA ad un'altrettanto confortante AA+ (con outlook stabile) che, ammettiamolo, è pur sempre un rating di tutto rispetto. Quindi a prima vista questa sembra una tempesta in un bicchiere d'acqua ma un declassamento è pur sempre un declassamento e, per chi ambisce ad esser il primo della classe, è un evento non facile da digerire come testimonia la reazione stizzita della Jellen che, in qualità di segretario del Tesoro americano, dovrà cercare di mettersi l'anima in pace. Infatti prima o poi doveva succedere: non ci si può indebitare all'infinito e sperare che nessuno se ne accorga...
L'argomento merita un approfondimento ma, per non pesare sulla lettura degli Appunti di questa settima, lo rimandiamo alla fine del nostro consueto intervento, evitando di tediare coloro ai quali il tema non interessa.
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La settimana, oltre alla sorpresa del declassamento americano, è stata comunque interessante e tra i tanti spunti di riflessione ne abbiamo selezionati alcuni che vi proponiamo.
Dobbiamo fare subito una errata corrige rispetto a quanto avevamo scritto la scorsa settimana: l'Italia nel secondo trimestre
è cresciuta meno della Germania. Germania che è rimasta ferma al palo mentre il Pil italico è sceso dello 0.3%, limando la crescita italiana YoY allo 0.6%. Non una bella notizia da digerire per la Meloni. Evidentemente il continuo aumento dei tassi europei si fa sentire e soprattutto le difficoltà dell'economia tedesca, grosso importatore di prodotti made in Italy, sono un problema un po' per tutti come confermato anche dai PMI di mezza Europa che segnalano una contrazione più o meno generalizzata. Insomma, se recessione deve essere, rischia di arrivare prima in Europa che non negli USA (dove potrebbe anche non farsi vedere...).
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Un comunicato del 3 agosto dell'Ufficio Federale di Statistica ci informa che l'inflazione in Svizzera per il mese di luglio è ulteriormente scesa all'1.6% raffreddando le aspettative per un altro aumento dei tassi dello 0.25%. Lo sapremo il 21 settembre.
Il mercato non si aspetta in effetti nessun aggiustamento dei tassi al rialzo (nella tabella le aspettative per i prossimi 3 mesi) ma bisognerebbe entrare nella testa di Jordan e capire effettivamente quale sia il suo vero traguardo. Sappiamo solo che vorrebbe un'inflazione tra lo 0% e il 2%: se la vuole a zero, abbiamo un problema in quanto i tassi dovranno ancora salire, eccome! Se invece si accontentasse di qualche cosa attorno all'uno, allora diremmo che quasi ci siamo: il rallentamento dell'economia europea farà il resto del lavoro senza necessariamente dover premere sull'acceletarore dei rialzi.

Nel frattempo è interessante osservare quanto sta succedendo ai rendimenti sul franco svizzero: a partire dal mese di maggio la curva sul franco risulta inversa (il corto (rosso) rende più del lungo (nero)) ma piuttosto rapidamente la curva sta cercando di ritrovare la sua normalità grazie alla diminuzione delle pressioni inflazionistiche che lasciano presagire ad una politica monetaria meno restrittiva. Manca pochissimo a che il 2 anni abbia lo stesso rendimento del decennale. Poi vedremo se vi sarà l'incrocio e se soprattutto potremo festeggiare il ritorno alla consuetudine.
Una simile notizia avrebbe comunque dovuto indebolire un pochino il franco svizzero, ma contro euro lo troviamo ancora a 0.96 o giù di lì. Il franco rimane forte...
...mentre contro dollaro si è in effetti indebolito, arrivando come avevamo previsto a superare gli 88 centesimi, ma temiamo che per vedere un effettivo cambiamento del trend contro la valuta americana il dollaro deve risalire ben oltre lo 0.8850, cosa non facilissima nel breve termine. Più probabile uno spostamento laterale tra 0.8550 e 0.8850.
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I dati americani della settimana confermano una volta di più la vitalità del mercato del lavoro che probabilmente sta diventando, un po' paradossalmente, una delle principali preoccupazioni di Powell.
- 01.08.23 Il Job Openinig segnala che ci sono ancora 9.58 mio di posti di lavoro vacanti (atteso: 9.6 mio; precedente: 9.62 mio). E' un indicatore seguitissimo dal board della FED e questo numero, che non accenna a diminuire se non molto lentamente, è fonte di apprensione. Infatti nella testa dell'Americano fino a quando c'è la convinzione che perso un lavoro se ne trova abbastanza facilmente un altro, quel che guadagna lo spende con buona pace dell'inflazione.
- 02.08.23 Gli ADP, che indicano la creazione di posti di lavoro nel settore privato, sono segnalati a 324k ben al di sopra delle aspettative (atteso: 175k; precedente: 455k). Insomma, un altro dato indigesto a Powell. Non abbiamo idea della qualità di questi posti di lavoro ma per le statistiche questo conta poco.
- 03.08.23 Gli Initial Jobless Claims si attestano a 227k esattamente come nelle aspettative, un numero solo leggermente più altro del precedente (221k)
- 04.08.23 Arriva una ciliegina sulla torta come ben segnala la tabella sottostante:
I
Non Farm Payrolls crescono a luglio di 187k unità (atteso: 200k; precedente: 185k); la
disoccupazione scende addirittura al 3.5% (atteso: 3.6%; precedente: 3.6%); i
salari orari sono al rialzo del 4.4% su base annua con un incremento dello 0.4% a luglio (atteso: +0.3%; precedente: +0.4%).
Insomma, saremmo sorpresi se il 20 settembre non ci sarà un ritocco verso l'alto dei tassi guida americani. Ritocco che, come vedremo dopo, potrebbe non piacere più di tanto alla Jellen in quanto gli interessi da pagare per il debito pubblico stanno diventando la principale voce in uscita del suo bilancio e superano il trilione di dollari all'anno.
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Anche Amazon e Apple hanno svelato i numeri del seconto trimestre: la prima, ha superato i ricavi attesi in scioltezza, mostrando al mondo una volta di più la grande voglia di spendere degli americani che di certo complicherà un poco la vita a Powell. Mentre Apple questa volta è rimasta parzialmente vittima dell'asfittica crescita cinese che ha avuto un impatto negativo sulla vendita di iPhone e affini.
Quello che a noi preme osservare è la reazione negativa alle cattive notizie che mette in evidenza come ogni piccolo passo falso viene sanzionato piuttosto severamente. Questo genere di reazioni sono tipiche di un mercato che sa di essere in ipercomprato e utilizza queste defaillances come scusa per scaricare una parte delle posizioni.
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Prima di passare in rassegna i grafici dei mercati borsistici, una occhiata al VIX bisogna darla: evidentemente il declassamento del debito americano qualche piccolo contraccolpo lo sta generando e dobbiamo annotare un leggero aumento della volatilità (cerchio rosso). Nulla di veramente preoccupante, siamo ancora sotto il 20, ma se non rientra nei prossimi giorni dovremo non sottovalutare lo stato d'animo del mercato. E' un primo indizio che si potrebbe uscire dalla comfort zone.
Venerdì abbiamo chiuso lo S&P500 (+16.63% ytd) sotto i 4'500 punti. Potrebbe essere un altro campanello d'allarme ma in questo momento non siamo in grado di dire molto di più. C'è un labile supporto a 4450 che potrebbe già essere raggiunto lunedì: se fosse il caso sarebbe importante osservare a quel livello un rimbalzo altrimenti temiamo che una correzione, che copre il 50% del movimento rialzista avviatosi a maggio con target a 4250 punti, non ce la toglie nessuno.
Anche Ned Davis sembra essere in sintonia con la nostra visione. Oramai non abbiamo più aggettivi per descrivere la nostra ammirazione per la precisione dell'algoritmo che ha catturato con precisione anche la correzione prevista per il mese di luglio. Se ha ancora ragione nei prossimi mesi
ci dobbiamo aspettare solo lateralità con una leggera tendenza ribassista. Quindi se qualcuno intende scaricare qualche posizione e soprattutto reinvestire i dollari sfruttando i tassi a corto termine attorno al 5-5.5%, noi non ci opponiamo.
Un discorso simile vale anche per il Nasdaq (+32.89% ytd): oramai la stagione degli utili è in piena evoluzione e mancano poco meno di un terzo dei risultati societari per concludere l'esercizio. Le società che hanno guidato la sostanziosa crescita dell'indice tecnologico hanno svelato i numeri e quindi non ci aspettiamo molto di più. Numeri che, come abbiamo visto, sono decenti ma non trascendentali (forse Amazon ha sorpreso...) e quindi ci stiamo chiedendo da dove potrebbe arrivare una ulteriore spinta soprattutto ora che le rese del fisso, con quel 5-5.5% , sono piuttoso appetitose. 13'850 è il supporto; per vedere un ritorno sopra i 14'000 è necessario urgentemente un rimbalzo.

Temiamo che la rottura dei 4'400 punti dell'Eurostoxx50 (+14.22% ytd) sia stato un classico falso segnale. Infatti una settimana dopo ci ritroviamo a 4332 punti e quel che è peggio è che stiamo incontrando due medie mobili (la 50 in viola e la 100 in verde) che stanno per essere forate dall'alto verso il basso... non un bel segnale.... speriamo che facciano da supporto. Anche i volumi di questa correzione sono stati un pochino più alti del solito e pur non essendo stratosferici è comunque un segnale che gli invetitori, quando c'è da vendere, ci sono. Ovviamente se guardiamo i numeri delle economie europe (PMI in primis ma non solo) non c'è da restare sorpresi più di tanto da questa giravolta. Assolutamente necessario che si resti nel canale trasversale tra i 4'220 e i 4'440 punti. Se andiamo sotto sono guai.
Una cosa è chiara: lo SMI (+3.44% ytd) per il momento non interessa a nessuno! I volumi sono inesistenti (si fa persino fatica a vederli tanto sono bassi) e bastano pochi ordini di vendita per deprimere l'indice. Anche in questo caso la correzione settimanale corrisponde più o meno al 50% del movimento avviatosi a fine giugno... in prossimità del punto rosso ci aspettiamo un rimbalzo altrimenti... "Non ci resta che piangere" (copyright Benigni/Troisi).
Buona domenica!
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Dal momento che siete in tanti ad averci chiesto cosa ne pensiamo del declassamento del debito pubblico americano da parte di Fitch, cerchiamo di dare una risposta un pochettino più articolata del semplicistico "prima o poi doveva succedere".
Magari rinfreschiamoci brevemente le idee sul concetto di rating e a che cosa servono. Per curiosità, più che per pigrizia, abbiamo voluto provare a girare la domanda a ChatGPT. Ecco la risposta:
" In ambito finanziario, un rating è una valutazione dell'affidabilità creditizia di un'entità, come un'azienda o un governo, o di un particolare strumento finanziario, come un'obbligazione o un titolo azionario. Le agenzie di rating, come Standard & Poor's, Moody's o Fitch Ratings, sono incaricate di assegnare queste valutazioni.
Il rating è espresso attraverso una scala di valori, generalmente costituita da lettere o numeri, che indica il grado di rischio associato all'entità o al prodotto finanziario. Ad esempio, nel caso delle obbligazioni, un rating AAA indica il più alto grado di affidabilità creditizia e indica che l'emittente ha una probabilità molto bassa di default (cioè di non riuscire a restituire il capitale e gli interessi)."
Abbiamo preso in "prestito" dal sito teleborsa.it la scala delle principali agenzie di rating:
...ma ricediamo la parola a ChatGPT:
"I rating servono a diversi scopi nel mondo finanziario:
Valutazione del rischio: Gli investitori utilizzano i rating per valutare il rischio di credito associato a un'entità o a un prodotto finanziario. Un rating più elevato suggerisce un minore rischio di default e potrebbe attirare più investitori.
Guida agli investimenti: I rating aiutano gli investitori a prendere decisioni informate sugli strumenti finanziari in cui desiderano investire. Investire in strumenti con rating più elevati può significare una maggiore sicurezza, ma potrebbe comportare anche un rendimento più basso rispetto a strumenti con rating più bassi ma con maggiori opportunità di guadagno.
Prestiti e finanziamenti: Le aziende e i governi possono utilizzare i rating per ottenere prestiti o finanziamenti a tassi di interesse più favorevoli. Un rating più alto può tradursi in condizioni di finanziamento migliori, poiché indica una maggiore capacità di rimborso.
Regolamentazione: Le istituzioni finanziarie e le società potrebbero essere soggette a requisiti normativi basati sui rating. Ad esempio, alcune normative richiedono che le banche detengano solo strumenti finanziari con rating minimi per garantire una maggiore stabilità finanziaria. Aggiungiamo noi: sotto un certo rating oppure quando non sono più considerate "investment grade", investitori istituzionali o fondi di investimento sono obbligati per statuto a vendere le posizioni a volte con ripercussioni importanti sulle quotazioni.
Tuttavia, è importante notare che i rating non sono infallibili, e sono stati criticati in passato per presunte valutazioni errate o ritardi nell'aggiornarli in risposta a cambiamenti significativi nelle condizioni finanziarie di un'entità. Gli investitori e gli attori del mercato finanziario dovrebbero considerare i rating come uno strumento di valutazione, ma dovrebbero anche condurre analisi approfondite e prendere in considerazione altre fonti di informazione prima di prendere decisioni finanziarie importanti."
Dobbiamo ammettere che la risposta di ChatGPT non fa una grinza, magari lo stile è un po' scolastico ma il contenuto è assolutamente corretto. C'è una sola cosa veramente sorprendente: per rispondere alla nostra domanda gli sono serviti 3.5 secondi netti; noi per scrivere tutta la pappardella avremmo impiegato almeno una mezz'oretta se non di più!
Ma torniano a noi. Già che ci siamo una precisazione va fatta: di norma si ritiene "investment grade" tutti quegli investimenti che vanno dalla BBB in sù. Strumenti finanziari con rating inferiori non è detto che non possano essere presi in considerazione ma l'investitore deve assolutamente essere consapevole del rischio al quale va incontro. La nostra idea è che se vuol prendersi dei rischi, è meglio che lo faccia sfruttando i mercati azionari; siamo meno propensi ad assumere dei rischi nell'ambito del reddito fisso e se lo facciamo cerchiamo di diversificare il più possibile. Infatti quando nel reddito fisso le cose vanno male, spesso si rischia di perdere tutto l'investimento senza possibilità alcuna di recupero (Argentina, ma non solo insegna). Scusate la digressione...
A cosa serve un rating ci sembra chiaro. A questo punto bisogna chiedersi quali sono le conseguenze di una riduzione del rating? Le magagne che derivano da un downgrading sono molteplici. Le principali possono essere riassunte in 3 punti:
- Aumento del costo del debito: Un declassamento comporta generalmente un aumento dei tassi di interesse sui prestiti o sulle obbligazioni emesse dall'ente declassato. Ciò rende più costoso per l'ente indebitarsi ed inoltre le quotazioni di mercato del debito già emesso tendono a perdere di valore.
- Perdita di fiducia degli investitori: Un downgrade può essere interpretato come un segnale di rischio finanziario e può far perdere fiducia agli investitori e ai creditori. Ciò potrebbe portare a una diminuzione del prezzo dei titoli di debito, riducendo il suo valore di mercato. Sovente il danno è più reputazionale che finanziario ed è quello che in effetti è successo agli USA con il declassamento di Mody's e Fitch.
- Riduzione degli investimenti: Paesi declassati possono affrontare una diminuzione degli investimenti stranieri diretti o di altre forme di investimenti finanziari. Gli investitori internazionali possono essere riluttanti a impegnarsi con entità considerate più rischiose.
L'America ha appena subito un downgrading. E' il momento di chiedersi come siamo messi negli USA? Purtroppo dal punto di vista debitorio, non benissimo:
Il debito pubblico americano raggiungerà molto presto i 33 trilioni di dollari e quasi un terzo deve essere rinnovato a breve. Una parte di questi debiti (8T) è una eredità del periodo Covid e temiamo che vi saranno degli strascichi che dovranno farsi carico le generazioni future. E' stato calcolato che il costo del debito pubblico supererà abbondantemente il trilione di dollari. Bisogna comunque sottolineare che solo una minima parte di questi aumentati costi è la diretta conseguenza del declassamento di Fitch... il grosso della spesa deriva dall'aumento del costo del denaro voluto dalla FED che come sappiamo è impegnata a combattere l'inflazione e del debito pubblico non sembra per il momento preoccuparsi più di tanto. La Jellen a questo punto ha un problema molto grosso da risolvere e non sarà serenissima soprattuto pensando che, a fronte di un costo del debito in netta crescita, può contare solo su entrate fiscali che non aumentano di pari passo. Anzi, negli ultimi 12 mesi gli introiti fiscali sono diminuiti di quasi il 10%. Se poi dovesse effettivamente arrivare un perido di rallentamento economico, il problema non può che aggravarsi...
La fiducia degli investitori è stata testata ripetutamente negli ultimi anni soprattutto a causa del tetto al debito, un problema che si ripresenta con una certa frequenza, l'ultima volta alla fine del mese di maggio 2023. Senza un intervento delle parti politiche, che devono accordarsi per un aumento del debito, la possibilità di un fallimento degli USA sarebbe tutt'altro che teorica. Comunque non crediamo assolutamente che la riduzione del rating da parte di Fitch possa in un qualche modo aver intaccato la fiducia sulla solidità del debito pubblico americano. In effetti non scordiamoci che quello dei Treasury è il più grande e il più liquido mercato al mondo che lo rende virtualmente privo di rischio. Insomma è ancora uno ed è uno dei principali beni rifugio e di sostituti in vista non se ne vedono ancora. L'unico vero rischio, al quale anche i Treasury non sono immuni, è il rialzo dei tassi ma questa è un'altra storia.
La riduzione degli investimenti esteri verso l'America è già in atto da tempo e non ha nulla a che fare con il recente downgrading.
Alla fine del 2022 gli investitori esteri detenevano 7.3 trilioni di dollari del debito pubblico americano Una decisione riguardante una riduzione della partecipazione a questo debito è spesso legata a problemi politici e/o di leadership (vedi Cina). Piuttosto non sottovalutiamo l'impatto della svalutazione del dollaro che in effetti potrebbe avere un effetto deterrente ben più importante della riduzione del rating.
In conclusione vorremmo considerare il declassamento del debito pubblico americano da parte di Fitch una sorta di warning che vuol avviare una riflessione sul crescente indebitamento, che sembra non aver fine, ed il deterioramento delle condizioni fiscali che aggravano il problema. La reazione di Yellen al downgrading è stata compresibilmente di stizza ma quel che importa è registrare l'assenza di una reazione negativa da parte dei mercati che continuano e continueranno ad acquistare debito pubblico made in USA. Anche perché, come dice Warrent Buffett, "il dollaro americano rimane la valuta di riserva mondiale e tutti lo sanno". Possiamo estendere il Buffett pensiero anche al mondo dei Treasury.