domenica 12 gennaio 2025

Good news? Bad news!


 E' da un paio di settimane che non ci sentiamo più e nel frattempo un anno è finito ed un altro ha preso il suo avvio. Urge riallacciare i fili del discorso che, a dir la verità, a prima vista non pare molto diverso da quello che abbiamo lasciato nel vecchio anno. A tener banco sono sempre di più le provocazioni di un esuberante Trump e, purtroppo, una possibile ripartenza delle spinte inflazionistiche che potrebbero compromettere il buon avvio dei mercati finanziari di questo primo scorcio del 2025. 

Se della briosità del futuro presidente degli Stati Uniti d'America avremo tempo di parlarne in lungo e in largo fra una decina di giorni, oggi dobbiamo cercare di capire con una certa urgenza se un probabile aumento dell'inflazione sia, come speriamo,  solo un fenomeno di passaggio oppure dobbiamo iniziare a preoccuparci seriamente. Purtroppo ci sono troppi elementi che stanno contemporaneamente spingendo tutti nella medesima direzione  e che ci inducono a pensare che il problema dell'inflazione sia tutt'altro che risolto. In America queste spinte sono più che evidenti ma anche in Europa, con sfumature diverse, il problema è presente e non va sottovalutato.

Le  conseguenze sono già sotto i nostri occhi: come vedremo il mercato del reddito fisso si è già portato avanti con i lavori e la debolezza del settore è lì da vedere, mentre potrebbe essere solo una questione di tempo prima che anche quello azionario reagisca ad uno scenario che deve fare i conti con un rialzo dei rendimenti.

Da dove possiamo iniziare? Quando parliamo di inflazione la prima cosa che ci viene in mente sono i costi di produzione tra i quali spiccano quelli delle materie prime e quelli energetici. Partiamo quindi dando un'occhiata al valore dagli appositi indici creati da Bloomberg che già conosciamo:



 Per il momento segnaliamo, per quanto riguarda le materie prime,  un aumento del 3.11% da inizio anno che va tenuto sotto osservazione. Siamo ancora lontani dei massimi del giugno 2024 ma il risveglio di questo settore sembra essere in atto. Non pensiamo che a breve termine possa già avere un impatto significativo sui costi di produzione ma, come detto, questo movimento va tenuto in considerazione soprattutto se si dimostrerà tenace nel tempo.



Altro discorso per quel che concerne i costi dell'energia che da inizio anno sono ripartiti a spron battuto soprattutto a causa di un rincaro del costo del gas causato in parte dalla fine del trasporto del gas russo attraverso l'Ucraina e da fattori stagionali che ne hanno accentuato la volatilità; la speculazione ha fatto il resto. Un incremento del 7.22% da inizio anno non è da prendere sottogamba e purtroppo è la conseguenza di un cambio di tendenza che ha preso avvio agli inizi di dicembre e non sembra aver voglia di fermarsi tanto facilmente. E' probabile che sarà come al solito l'inflazione europea a subirne le principali conseguenze.

Già che abbiamo fatto accenno all'Europa, questa settimana sono stati pubblicati alcuni valori inerenti l'inflazione per il mese di dicembre 2024 in Francia (dall'1.7% è passata all'1.8%), Germania (dal 2.2% al 2.6%) mentre l'Eurozona in generale è bloccata al 2.7%: non sembrano ancora dati preoccupanti ma il minimo che possiamo dire è che l'inflazione NON scende più, soprattutto a causa di un costante aumento del costo dei servizi che nel 2024 è salito di oltre il 4%.  Questo creerà qualche grattacapo alla Lagarde che sempre più dovrà scegliere se privilegiare la lotta all'inflazione oppure tentare di dare ossigeno ad una economia che arranca sempre più. A nostro avviso la seconda dovrebbe  essere una scelta quasi obbligata...  lo vedremo il 30 gennaio quando è prevista la prima riunione della BCE per quest'anno: annotatevi questa data in agenda. Vi segnaliamo che il mercato per quest'anno si aspetta in Europa almeno 4 tagli ai tassi...

Nel frattempo sottoponiamo alla vostra attenzione questo grafico:


Trattasi della curva dei rendimenti dei prestiti statali tedeschi (si va dai 3 mesi ai 30 anni) e malgrado 4 tagli ai tassi effettuati dalla BCE lo scorso anno, i rendimenti dai 3 anni in su sono superiori ai rendimenti che avevamo un anno fa! Questo non è normale e potrebbe voler dire che gli investitori iniziano ad avere aspettative per un'inflazione più elevata (e chiedono quindi remunerazioni più alte)  oppure stanno spostando i loro averi verso investimenti con un appeal maggiore quali potrebbero essere le azioni soprattutto considerato il fatto che nel 2025 ci si aspetta anche in Europa un aumento degli utili aziendali che non sono ancora completamente scontati negli attuali corsi azionari.

Al settore obbligazionario questa situazione non giova più di tanto:

 


Già lo scorso anno non è che il mondo obbligazionario in euro abbia brillato. La partenza di quest'anno qualche preoccupazione la sta già creando e se la Lagarde decidesse di continuare la sua battaglia contro l'inflazione abbiamo un problema. Per fortuna non deteniamo  in deposito obbligazioni troppo lunghe e se c'è della liquidità per il momento ce la teniamo.

Ben più importante, per l'effetto che ha sui mercati di tutto il mondo, è la situazione negli USA:

per il momento non vogliamo entrare nel merito di quanto possono essere potenzialmente una fonte di inflazione tutte le esternazioni che Trump ha fatto in campagna elettorale: evitiamo di mettere il carro davanti ai buoi prima del tempo ma è chiaro che se dovesse, ma non lo crediamo, procedere come da programma è abbastanza evidente che qualche spinta rialzista all'inflazione americana la darà. Vedremo.

Quello che invece preoccupa gli investitori, qui ed ora, sono i dati che arrivano dall'economia a stelle e strisce che evidentemente è ancora in uno stato di grazia. Guardate rapidamente alcuni numeri pubblicati questa settimana:

  • ISM servizi dic.                   : 54.1% (atteso: 53.4&; precedente: 52.1)
  • Posti di lavoro vacanti nov. : 8.1 mio (atteso: 7.7 mio; precedente: 7.8 mio)
  • Nuovi impieghi dic.            : 256k (atteso: 155k; precedente: 212k)
  • Disoccupazione dic.            : 4.1% (atteso: 4.2%; precedente: 4.2%)

Come al solito i dati riguardanti soprattutto lo stato di salute del mercato del lavoro ci forniscono un quadro piuttosto rassicurante e venerdì sono stati i nuovi impieghi che hanno tolto il sonno a qualche governatore della FED. Con dei numeri simili possiamo dire addio ad ogni speranza di taglio ai tassi non solo per il mese di gennaio ma, se non cambia qualche cosa, secondo le attuali aspettative si dovrà aspettare il mese di settembre per vederne uno. Per non parlare delle previsioni di Bank of America che ha già messo in conto addirittura la possibilità di vedere addirittura degli aumenti... Oggi il mercato prezza un solo taglio ai tassi per il 2025.

Anche per quanto riguarda la situazione americana vi sottoponiamo il grafico della curva dei rendimenti dei Treasury americani:

Pure in questo caso dai due anni in su ci troviamo confrontati con rendimenti più alti di un anno fa, e non di poco, malgrado l'inflazione sia da più di 12 mesi attorno al 3%!  Chi ha esagerato ad allungare le scadenze non sarà in questo momento molto contento... Come spieghiamo questa situazione?  Difficile dirlo con precisione: in America ci sono mille rivoli che attualmente  alimentano il rincaro e l'arrivo di Trump può complicare la situazione. Mercoledì 15 gennaio, altra data che dovete annotarvi,  ne sapremo qualche cosa di più per quanto riguarda CPI e Core CPI: le attese sono per un modesto rialzo ma sarà soprattutto interessante vedere quali sono gli elementi che tengono alta l'inflazione.



In queste condizioni anche per il settore obbligazionario in dollari l'anno non è iniziato sotto la miglior stella. Ci consoliamo con il dollaro che per il momento è in uno stato di grazia...

***

Prima di vedere qualche indice azionario permetteteci un'osservazione di una certa importanza: se in America non possiamo aspettarci un aiuto che arriva da una politica monetaria piuttosto generosa in fatto di tagli ai tassi (potremmo addirittura assistere a dei rialzi...) ne deduciamo che se vogliamo vedere  i 6'600 punti per lo S&P500 dobbiamo far affidamento unicamente agli utili societari che non solo devono essere in linea con le aspettative (+15%) ma possibilmente dovranno presentarci qualche bella sorpresa. Se la crescita dell'economia americana dovesse continuare ai ritmi attuali non vediamo grossi problemi ma faremo i conti solo dopo aver preso conoscenza di come Trump intenderà implementare il suo programma. Per il momento sospendiamo ogni giudizio. Annotatevi pure che alla fine della prossima settimana iniziano le pubblicazioni dei numeri societari del quarto trimestre 2024. 



Ned Davis ci aveva messo sull'attenti che l'inizio dell'anno per lo S&P500 (-0.93% ytd) non sarebbe stato brillantissimo e questo durerà almeno fino all'insediamento di Trump. Quindi la prossima settimana potrebbe essere piuttosto complicata e se i dati sull'inflazione di mercoledì dovessero essere non bellissimi un po' si ballerà. Tecnicamente dobbiamo ammettere che il mercato non ci piace più di tanto: è dal mese di dicembre che, pur restando all'interno del canale ascendente di medio periodo, sta puntando al ribasso (vedi le due linee rosse tratteggiate) e purtroppo venerdì, a causa dei brillanti dati sui nuovi impieghi,  ha chiuso a ridosso della media mobile dei 100 giorni forando appunto il supporto del canale di medio periodo (vedi freccia blu). Purtroppo questo movimento è pure sostenuto da volumi crescenti e quindi la tentazione di alleggerire almeno un terzo degli etf sul mercato americano è grande. Vedremo lunedì che aria tira.



Discorso analogo per il Nasdaq (-0.77% ytd). La configurazione grafica assomiglia a quella dello S&P500 con l'unica variante che il canale ascendente di medio periodo (due linee verdi) è ancora integro. La luna di miele con i Magnifici 7 sembra per il momento essersi presa una pausa... troppo presto per dire se è definitivamente terminata (non lo pensiamo). Non ci piace quel canale rappresentato dalle due linee tratteggiate in rosso: non può che sfociare in una rottura del supporto del canale a medio termine che ci indurrebbe a prendere qualche profitto...



Tutto sommato siamo contenti di vedere per una volta l'Europa andare meglio dei cugini americani. L'Eurostoxx50 (+1.66% ytd) è riuscito a riportarsi con una certa convinzione all'interno del canale di scorrimento orizzontale e questo è di per sé già un bel segnale. Se continua la politica accomodante della Lagarde è probabile che quest'anno si possa fare bene anche in virtù del fatto che le aspettative di utili per azione dello Stoxx 600 (il fratello maggiore dell'Eurostoxx50) sono pronosticate mediamente al rialzo del 9%. Non sono il 15% dello S&P500 ma neppure lo zero o quasi che si è materializzato nel 2024. Considerato che rispetto ai mercati americani quelli europei sono piuttosto a buon mercato non facciamo fatica a pensare che ci sia spazio per crescere.



Anche lo SMI (+1.65% ytd) per una volta è partito bene, anzi fin troppo bene. In poche sedute è riuscito a superare la resistenza degli 11'450 punti per poi addirittura sfondare la resistenza del canale discendete (quello che vede tratteggiato). Quello che non ci piace è vedere che questi movimenti  sono accompagnati da volumi discendenti (freccia rossa) a significare che probabilmente non tutti gli investitori sono convinti di questi movimenti... Peccato che il dato americano di venerdì pomeriggio ha un po' rotto le uova nel paniere ma comunque sia è importante che anche il nostro mercato dia segnali che è ancora vivo e vegeto.

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E' chiaro che il movimento al rialzo dei rendimenti sul dollaro sta favorendo la moneta americana. E' probabile che andrà avanti a farlo fino al giorno dell'insediamento di Trump. Poi temiamo che vi saranno tante e tali pressioni sulla FED da far saltare i nervi anche al più scafato dei governatori. Powell a noi sembra un tipo serafico... Sarà comunque interessante vedere come reagirà alle pressioni della nuova amministrazione. Ciò non toglie che per il momento il dollaro sta sfiorando i 0.92 centesimi. Andare oltre non sarà facile, se ce la farà lo sapremo solo dopo il 20 di gennaio.



Ora possiamo tranquillamente confermare che la valuta americana sta puntando con decisione verso l'1.01 per poi magari agganciare la parità, ma non sarà facilissimo. Ovviamente per il momento di vendere dollari non se ne parla.



Per il momento le aspettative di tagli ai tassi svizzeri sono un numero vicino al 3. La  qualcosa riporterebbe i tassi in zona negativa e spiega in parte la forza dell'euro nei confronti della nostra moneta. 0.94 centesimi per il momento è una bella resistenza ma non disperiamo che la si potrebbe anche superare: le medie mobili a 50 (viola) e 100 (verde) giorni sono state forate dal basso verso l'alto ed è un bel segnale di forza relativa... se si riuscisse poi a fare altrettanto con quella a 200 giorni (blu) forse riusciremmo a riportare la parità euro/chf verso i 0.95/96 centesimi.



Proviamo ad abbordare il bitcoin utilizzando la classica analisi tecnica: non abbiamo ancora le idee in chiaro se il metodo funziona ma  tentiamo comunque di fare l'esercizio. Ci sembra di aver individuato un triangolo discendente che si forma quanto l'equilibrio tra domanda e offerta si sta spostando a favore dei venditori. Da diversi giorni fa fatica a confermare le quotazioni oltre i 100'000 $ e se dovesse sfondare il supporto del triangolo rosso il suo target più probabile è qualche cosa attorno ai 73'000 $. Come detto, il bitcoin sfugge a qualsiasi regola, quindi prendete questa predizione per quel che vale... quasi nulla.

Buona domenica!

In allegato il calendario delle riunioni delle Banche Centrali che seguiamo più da vicino:




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