domenica 27 aprile 2025

Un po' di calma dopo la tempesta

 Evidentemente qualcuno deve aver consigliato a Trump di moderare i termini e di limitare le sue esternazioni al minimo indispensabile... Ridurre al silenzio uno come l'attuale Presidente degli Stati Uniti d'America è un'impresa non da poco e pensiamo sia riuscita a Scott Bessent, attuale Segretario al tesoro, uno che a prima vista non sembra simpaticissimo ma è di certo qualcuno che i meccanismi della finanza li conosce molto bene. Infatti Scott, nel 1992, ha partecipato in prima persona all'elaborazione del quadro macroeconomico che ha convinto George Soros a buttarsi nell'impresa di attaccare la lira sterlina che risultava essere nettamente sopravvalutata. 

L'assalto alla moneta britannica fu ordito il 16 settembre 1992: con la complicità di alcune banche e di un gruppo di hedge funds furono vendute allo scoperto miliardi di sterline. Lo stillicidio continuò per diversi giorni e di fatto fecero affondare la quotazione della moneta britannica. Gli interventi della Banca d'Inghilterra, che rialzò i tassi dal 10% al 12% portandoli in pochi giorni  al 15% nel tentativo di difendere la valuta britannica, non produssero gli effetti sperati. La sterlina fu costretta ad abbandonare il meccanismo di cambio europeo, che di fatto la confinava entro una banda si oscillazione fissa, e fu lasciata fluttuare liberamente.  Potete immaginare quanto grande fu l'umiliazione per il governo britannico vedere la propria moneta sprofondare mentre Soros guadagnò in pochi giorni più di un miliardo di dollari ed entrò nell'Olimpo degli speculatori.

Scusateci per la digressione ma almeno capite che dietro a Soros non c'era uno sprovveduto.  Poi Bessent nel 2015 fondò un hedge fund (Key Square Group), anche grazie ad un investimento iniziale di 2 miliardi da parte di Soros, che attirò parecchi investitori tanto che nel 2017 il fondo arrivò a gestire assets per 5.1 miliardi di dollari. Peccato che nel 2023 si erano ridotti a 577 milioni a dimostrazione del fatto che Soros o Buffet si nasce, difficilmente si diventa. 

Comunque sia quello che a noi importa è che oggi Bessent deve aver capito come bisogna approcciare l'attuale inquilino della Casa Bianca. L'ammorbidimento dei toni utilizzati da Trump e la disponibilità a rivedere l'ammontare dei dazi per un certo numero di Paesi - tra i quali troviamo Svizzera ed UE - hanno avuto un effetto immediato.


 La temperatura dei mercati, come segnalato dal VIX, è subito scesa a dei livelli accettabili...


...mentre i rendimenti dei Treasury a 10 (in nero) e a 2 anni (in rosso) hanno iniziato a scendere.

Il vero problema di Trump, oramai tutti l'hanno capito, è la Cina:  nei confronti dei dazi americani  ha interposto un muro di gomma dove tutto rimbalza. Lo schemino qui sotto illustra bene la situazione:


In un'intervista apparsa sul TIME, Trump si è lasciato scappare che gli USA "sono un grande negozio dove tutti vogliono comprare. E sono io che fisso i prezzi". In tutta risposta i Cinesi, che evidentemente non hanno gradito i prezzi stabiliti dall'emporio di Trump, hanno rispedito tre Boeing 737 MAX 8 nuovi nuovi al mittente ed altri 50 non saranno nemmeno assemblati. Appare chiaro che, volenti o nolenti,  urgono colloqui con i Cinesi. Questo Bessent lo sa e speriamo che abbia convenientemente informato anche il suo capo. 

Come detto, un Trump più moderato è stato molto apprezzato dai mercati:


Le obbligazioni in dollari (nell'immagine l'indice total return di Bloomberg) sono al rialzo del 5.14% da inizio anno anche se la FED è in una fase attendista. Come ripetutamente sottolineato, Powell e compagni non hanno fretta di agire e i tagli ai tassi possono ancora aspettare. 

Lo schema seguente ci aiuta a capire il perché:


 A seguito della caotica politica dei dazi, i consumatori americani sono convinti che l'inflazione nel lungo termine (diciamo nei prossimi 5 anni...) salirà in pianta stabile sopra il 4%. Per i prossimi 12 mesi, sempre secondo le attese, l'inflazione dovrebbe raggiungere il 6.5% ovverosia un valore che non era più così alto dal 1981. E' probabile che l'inflazione fin lassù non la lasceranno andare ma nel frattempo queste aspettative hanno un'influenza sul comportamento del consumatore:


Infatti giovedì 24 aprile la statistica delle vendite di beni durevoli per marzo non è passata inosservata superando di gran lunga le previsioni! Non c'è troppo da stupirsi: se l'acquirente crede che in futuro quello che gli serve costerà di più, prende l'occasione al balzo per acquistarlo oggi ad un prezzo calmierato. Sarà interessante vedere se tutti questi acquisti preventivi avranno un influsso sulla misurazione dell'inflazione (CPI)  di aprile:  il dato verrà pubblicato il 13 maggio. Le aspettative sono per un leggero calo (!) al 2.5% ma ci sembra una previsione troppo ottimista.   

Altro dato che sarà seguitissimo da Trump e dalla FED  è quello riguardante il PIL del primo trimestre che è atteso per il 30 di aprile. Valore atteso: +0.4%;  il precedente indicava un +2.4%. 

In effetti, se queste sono le aspettative, forse Trump non ha tutti i torti a chiedere un po' più di flessibilità alla FED ma come sempre non è il tipo di richiesta che impensierisce i mercati ma è come questa richiesta viene posta: un conto è sperare che la FED abbassi i tassi un altro è imporre alla Banca Centrale di farlo. Se il mercato si convince che la FED stia per perdere la sua indipendenza le conseguenze sarebbero sconvolgenti.

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Prima  di essere tutti preda della FOMO ( Fear Of Missing Out), ovverosia quella paura di restar fuori da un mercato che sembra essere in forte recupero e tu ne vuoi assolutamente far parte, ci conviene dare un'occhiata al grafico qui sopra. Abbiano sempre detto che il carburante di tutti i mercati sono gli utili attesi che devono poi essere confermati da quelli effettivi: purtroppo non ci sono in tal senso buonissime notizie. Le continue revisioni degli utili al ribasso ci stanno suggerendo che dobbiamo porci la domanda se l'attuale rimbalzo è quello del gatto morto oppure se si tratta di un avvio di un nuovo trend che ci riporterà verso i massimi storici con l'ambizione magari di superarli. Il primo se ci sembra, per il momento, quello più probabile.

Diciamo che con i profitti che diminuiscono dobbiamo stare attenti a non esagerare con il rientro e selezionare bene le società che devono far parte del nostro portafoglio. In questo momento non è un esercizio facile, quindi se non sapete come procedere potete sempre accontentarvi di acquistare un ETF su un indice o un gruppo di azioni oppure rivolgete la vostra attenzione verso società solide, che ben conoscete e che hanno corretto in modo eccessivo tanto da essere probabilmente sottoquotate.


Come detto l'ammorbidimento dell'eloquio di Trump ha fatto bene ai mercati. Anche lo S&P500 (-6.06% ytd) ha continuato la sua salita e finalmente è riuscito ad issarsi sopra la resistenza dinamica indicata dalla freccia rossa. Il colpo di reni del principale mercato americano ha creato un gap rialzista (cerchio rosso) che dobbiamo tenere ben presente nella mente; come ben sapere la maggior parte dei gap prima o poi vanno colmati... è solo una questione di tempo (per intenderci ci potrebbe essere un ribasso fino ai 5'300 punti...). Ma concentriamoci su un altro gap, quello ribassista (cerchio verde)  che si era creato a fine marzo che con un po' di buona volontà potrebbe essere chiuso la prossima settimana; non mancano molti punti (diciamo una settantina) che comunque porterebbe questo indice ben oltre il ritracciamento dai minimi  del 50% già messo a punto la scorsa settimana. 



Anche il Nasdaq (-9.98% ytd) ha superato di slancio la resistenza dinamica ed ora, oltrepassata quella statica a 17'100 sta cercando di raggiungere i 17'900 punti. Non sarà facile, molte società del tech sono entrate in una fase dove devono ancora, malgrado la forte correzione delle ultime settimane, digerire gli eccessi degli ultimi 2 anni. Non sono passati inosservati i numeri di Tesla che sono piuttosto deludenti con un calo del 70% degli utili... insomma l'avventura governativa di Musk è costata parecchio: Tesla valeva 1.5 trilioni di dollari il 17  dicembre 2024,  vale oggi poco meno di 880 miliardi con una perdita del 40%. 


Ammettiamo che oggi ci stiamo concentrando soprattuto sui gap, tanto per capire fino a dove i movimenti rialzisti ci possono portare. Anche lo SMI (+2.94% ytd) ne è ben fornito. Prima di tutto attenzione a quello rialzista (cerchio rosso) che si è formato all'inizio della settimana e che potrebbe dare adito a qualche correzione che lo riporterebbe verso gli 11'600 punti (freccia rossa). 

Ci interessano, eccome, quelli ribassisti (cerchio viola e arancione) che potrebbero fare da traino al movimento rialzista di questi giorni, sempre che il nostro indice riesca a superare quota 12'000;  per il momento sembra essere una (debole) resistenza. Insomma: rivedere il nostro indice tra i 12'225 e 12'550 punti non è impossibile. I volumi (come quelli degli altri mercati...) non sono eccezionali e tendono ad esser leggermente ribassisti: per coprire i gap avremmo bisogno di un maggior coinvolgimento degli investitori ma con i tempi che corrono comprendiamo benissimo che ci si muove con una certa prudenza.

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Per fortuna il dollaro è tornato ad apprezzarsi contro franco: non vi nascondiamo che eravamo preoccupati... le conseguenze di un eccessivo rafforzamento del franco le conosciamo bene e vedere di nuovo la BNS muoversi verso tassi negativi ci crea un insopportabile fastidio allo stomaco. Speriamo che il movimento in atto sia un classico ritracciamento del movimento ribassista avviatosi ad inizio aprile. Se così fosse, possiamo immaginare che recuperare il 50% di questo movimento non è impossibile e potrebbe portare il dollaro/franco attorno agli 84 centesimi nelle prossime settimane.



Anche contro euro il dollaro si è mostrato un pochino più solido: vediamo come si comporterà con i dati del PIL americano che saranno pubblicati mercoledì prossimo. E' chiaro che se il PIL dovesse essere ancor più basso delle già misere aspettative (+0.4%), allora per il dollaro son dolori: un ribasso dei tassi (anche se l'inflazione dovesse essere un pochino più robusta) non ce lo toglie nessuno. Ricordiamoci che il mercato si aspetta attualmente almeno 4 tagli.


Salutiamo con piacere anche il rimbalzo dell'euro che ha fatto contro franco una volta arrivato sul supporto a 0.9230. Stiamo incrociando tutte le medie mobili e questo potrebbe essere un buon segnale per il proseguo del rimbalzo... rivedere quota 0.96 non ci dispiacerebbe.


Avevamo detto che la rottura rialzista del piccolo triangolo (in verde) avrebbe portato il bitcoin almeno verso i 92'500 dollari che sono stati agevolmente superati nei giorni scorsi. Per il momento si trova già in ipercomprato e se non riesce a superare la resistenza (linea tratteggiata) è possibile che qualche presa di profitto si faccia vedere. Comunque ci sembra di capire che sta ancora puntando, nel medio periodo,   i 120'000 chf. Deboli di cuore astenersi.



Quest'anno, per il momento, oro batte S&P500 42.5% a zero....


Questa settimana con il rafforzamento del dollaro e le borse un pochino più toniche, l'oro si è preso una pausa di riflessione. 3'300 sembra essere un supporto sul quale adagiarsi e per conto nostro può starci anche fino alla fine dell'anno. Quello che doveva fare l'ha già fatto, tutto il resto è "grasso che cola".


Buona domenica!


domenica 20 aprile 2025

Prigionieri dei dazi

 Ci eravamo lasciati giovedì della scorsa settimana e da allora poche cose son cambiate. Come vedremo, malgrado un timidissimo tentativo di recupero, le borse rimangono sul depresso andante così come il dollaro americano che, scordatosi di essere la colonna portante del sistema finanziario globale,  attualmente si sta comportando come una qualsiasi moneta di uno dei tanti paesi in via di sviluppo. Sembra impossibile ma attualmente in America  "siamo in un territorio inesplorato in quanto non esiste un precedente storico dove il quadro economico pre-esistente è stato sconvolto dalla visione di un nuovo Presidente in un lasso di tempo così breve". E' quanto è stato scritto niente po' po' di meno che dalla banca d'investimento JP Morgan in un report indirizzato alla sua clientela dove, tra le altre cose, si sottolinea quanto sia difficile, in un contesto dove di chiarezza ce n'è poca, fare delle previsioni; il rischio è quindi quello del volo a vista in un cielo dominato dalla nebbia... 

Ecco allora che la priorità diventa la gestione del rischio piuttosto che la ricerca del rendimento a tutti i costi ed il sistema finanziario tende quindi a cercar rifugio facendo largo uso di asset sicuri: quello per eccellenza è di certo l'oro ed in effetti, con il suo prezzo ai massimi storici, lo sta dimostrando. In questa categoria troviamo anche i Bund tedeschi e le obbligazioni della Confederazione Svizzera. Di norma occupano un posto di primo piano anche i Titoli di Stato americani (Treasuries):  quando i tempi diventano grami si tende a comprarli senza troppi tentennamenti. 


Ma pensiamoci bene: ogni volta che prestiamo del denaro allo Stato Americano facciamo finta di non sapere che quest'ultimo è seduto su una montagna di debiti quantificabile in quasi 37 trilioni di dollari (ai quali ne aggiungiamo 5 di debito privato e 12 di debito ipotecario) che oltrepassano oramai del 120% il PIL nazionale e che è costretto a remunerare il decennale, il più ricercato,  con dei tassi tra il 4% e il 5% (linea rossa) altrimenti  non accontenta gli investitori che, per fortuna, fino ad oggi trova sempre. Giova pure ricordare che quasi  un quarto del debito pubblico americano è finanziato dall'estero: sono investitori fidati ma se inizi a trattarli a pesci in faccia potrebbero anche rivedere le loro posizioni e non farebbero un favore al Tesoro americano.

 La Svizzera invece può permettersi di offrire a 10 anni una cedola dello 0.40% (linea nera) tendente al ribasso mentre la Germania,  con un 2.47% anch'esso tendente al ribasso (linea verde), sborsa 200 basis points in meno rispetto agli americani per piazzare il decennale.

Tra i debiti accumulati e i costi di quest'ultimi, prestare soldi agli americani è sempre di più un atto di fiducia che, con tutto quello che sta accadendo negli USA,  può andare velocemente a ramengo.  Per fortuna esiste ancora la Federal Reserve (FED) ed anche se formalmente non è garante del debito pubblico americano, di fatto svolge un ruolo importantissimo per la sua sostenibilità e credibilità grazie anche alla sua indipendenza dal potere politico che speriamo resti tale. Purtroppo qualche dubbio iniziamo ad averlo...

Il 16 aprile 2025, durante un intervento all’Economic Club di Chicago, il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha espresso preoccupazioni riguardo all'incertezza economica derivante dalle recenti politiche tariffarie dell'amministrazione Trump. Ha sottolineato che "l'entità degli aumenti tariffari annunciati è significativamente superiore alle aspettative e che gli effetti economici potrebbero includere un'inflazione più elevata e una crescita più lenta". Ha inoltre affermato che "la Fed è in una posizione favorevole per attendere una maggiore chiarezza prima di considerare eventuali aggiustamenti alla politica monetaria." Insomma, per il momento, di dare un taglio ai tassi americani non se ne parla.

Ovviamente Trump non ha gradito l'intervento e, tra le altre cose,  ha espresso chiaramente la sua insoddisfazione per le decisioni di Powell in materia di tassi d'interesse arrivando persino a suggerire di rimuoverlo anticipatamente anche se, per i suoi gusti, ritiene che "Powell non se ne andrà mai abbastanza in fretta". Comunque sia prima o poi Powell le valige le farà - il suo mandato scade il 15 maggio 2026 - ma per il momento e per il bene non solo degli USA ma anche per la stabilità del sistema finanziario globale è molto meglio che rimanga al suo posto! Di problemi ne abbiamo già abbastanza.

 Purtroppo il rischio reputazionale degli USA sta crescendo e la volubilità del suo Presidente non facilita il lavoro degli analisti: per il momento non si riesce a fare una previsione degna di questo nome e diventa difficile pure per le aziende pianificare l'attività a breve figuriamoci quella a lungo termine. Per le società estere il dilemma si amplia e non sarà facile capire se sarà meglio subire i dazi previsti da Trump oppure se sarà cosa buona e giusta trasferire negli USA parte della produzione ... una sfera di cristallo in questo caso potrebbe essere di una certa utilità!

A proposito di dazi abbiamo ancora un'annotazione e poi per oggi non ne parliamo più: abbiamo visto Meloni andare alla Casa Bianca portando in dote una decina di miliardi d'investimenti che possono essere effettuati da società italiane in ambito soprattutto energetico. Si è fatta pure ambasciatrice per l'Europa (con l'avallo della Von der Leyen) che intenderebbe istituire una consistente zona di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea. Permetteteci di essere fortemente scettici su quest'ultima proposta: Trump non sta mirando all'abbattimento delle barriere doganali, a lui servono i soldi dei dazi per compensare il buco che verrà creato dalla riduzione delle imposte alle società americane che dovrebbe passare dal 21% al 15%...


...anche perché, come mostra il grafico del New York Times, il lavoro di Musk al DOGE, per il momento, non sembra essere così produttivo come era stato prospettato in campagna elettorale. Questo a dimostrazione del fatto che, benché le macchine governative di mezzo mondo necessitino di profonde ristrutturazioni, non le si può trattare alla stessa stregua di una fabbrica di automobili.

Dunque, per quanto affascinante sia la proposta di istituire una zona di libero scambio, è destinata a essere rispedita al mittente senza troppi complimenti. Meloni ha convinto Trump ad incontrare i vertici EU a Roma: una data non è ancora stata fissata, ma potrebbe già essere nel corso del mese di maggio.

Nel frattempo tutto ciò porta acqua al mulino di coloro che stanno teorizzando per l'economia americana l'arrivo di un periodo di stagflazione; per alcuni analisti la probabilità è del 65% il che non è poco!  Per curiosità abbiamo lanciato su Google una ricerca per capire quali sono i termini che appaiono maggiormente per descrivere l'attuale stato dell'economia made in USA. In cima alla lista, ma non ci meraviglia più di tanto, troviamo: recessione, inflazione persistente, aumento dei tassi, dazi,  guerre commerciali e soft landing. Gli ingredienti per immaginare un futuro in cui non possiamo escludere il rischio di una stagflazione ci sono tutti.  Tuttavia manca ancora un tassello: quello della disoccupazione crescente. Se quest'ultima dovesse iniziare a salire con decisione allora abbiamo veramente un problema da risolvere. 

***

In Europa, la Lagarde continua imperterrita a tagliare i tassi: giovedì lo ha fatto per la settima volta consecutiva, e di certo non avrà migliorato l’umore di Trump, che vorrebbe vedere la Fed fare altrettanto. Come abbiamo visto Powell sembra inflessibile favorendo in tal modo gli attacchi di bile del Presidente americano. 

Evidentemente accogliamo con grande piacere il taglio ai tassi europei ma il nostro entusiasmo deve restare entro i limiti del consentito: se ci pensate bene tagliare i tassi con costanza è quasi sempre un segnale di qualche cosa che non va per il verso giusto ed ha bisogno dell'aiuto della Banca Centrale per ritrovare un certo equilibrio. Infatti a giustificazione di quest'ultimo taglio la governatrice della BCE  ha evidenziato il "contesto di eccezionale incertezza" e un deterioramento delle prospettive di crescita dell'area euro. In particolare, ha sottolineato che le crescenti tensioni commerciali globali, innescate dall'aumento dei dazi statunitensi, stanno influenzando negativamente l'economia europea, riducendo la fiducia delle famiglie e delle imprese e al contempo le condizioni di finanziamento si stanno inasprendo (le banche stanno diventando sempre più prudenti e chiudono il rubinetto dei crediti). La recente e sorprendente forza dell'euro ha poi fatto il resto. Insomma come al solito, da questa parte dell'Atlantico, non ce la stiamo passando troppo bene e quindi non è il caso di stappare lo champagne.

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Mai come questa volta i dati trimestrali americani stanno passando sotto traccia e le previsioni  societarie, per mancanza di visibilità,  sono le grandi assenti di questa stagione degli utili. Fino a quando non ci sarà chiarezza sui dazi e quant'altro sarà difficile fidarsi dei numeri. Il caso di Nvidia fa scuola: i risultati sono stati solidi ma la società ha subito delle prese di profitto cospicue a causa di nuove restrizioni imposte dall'amministrazione Trump che ha notificato alla società che l'esportazione del chip H20, espressamente progettato per rispettare le precedenti restrizioni,  richiederà una licenza specifica a tempo indeterminato. I calcoli gli analisti li hanno fatti in fretta:  hanno subito messo in evidenza che lo scherzetto governativo costerà a Nvidia 5.5 miliardi di introiti che si sono subito materializzati con una correzione in borsa del 6%.  Le aziende concorrenti, ovviamente,  hanno seguito a ruota. Quindi scusateci se non ci soffermiamo troppo sui numeri ma rischiamo di buttare via il nostro e il vostro tempo.

Comunque sia questa settimana abbiamo visto la volatilità dei mercati azionari e obbligazionari diminuire:


ambedue si sono quasi dimezzate ma rimangono comunque su dei livelli parecchio elevati e sotto il 30 si fa fatica ad andare. Lato positivo: abbiamo approfittato dell'alta volatilità per realizzare qualche strutturato con cedole e barriere molto interessanti.

Gli analisti sono in preda allo sconforto ma che abbiano finito di far previsioni non è proprio vero. Diciamo che gli intervalli di confidenza si sono allargati parecchio e ci fanno capire quanto il rischio finanziario sia aumentato. Quello che in questo momento d'incertezza accomuna una gran parte di coloro che per mestiere fanno previsioni è la riduzione dei target fine 2025 di molti asset quali ad esempio lo S&p500:


Se vi ricordate bene ad inizio anno abbiamo intercettato un buon numero di analisti che si dicevano convinti che per fine 2025 lo S&P500 si sarebbe trovato in zona 6'600 punti. Alcuni hanno mantenuto il loro rating mentre una buona parte si è premurato di ridurre le aspettative mediamente di un 9.8%. Non sappiamo bene se un esercizio simile, nelle condizioni in cui ci troviamo,  può avere senso. Noi ci limitiamo ad osservare che molti analisti sono meno positivi rispetto a inizio anno.


Quello che non ci è dispiaciuto, per quanto riguarda lo S&P500 (-10.18% ytd) , è stato testare la solidità del supporto a 4'950 punti: il rimbalzo che ne è conseguito ha permesso all'indice di riguadagnare circa il 50% del movimento ribassista. Quello che non ci piace per il momento è l'incapacità di superare la resistenza dinamica (freccia rossa) ed il secondo e parecchio significativo death cross della media mobile a 50 giorni (linea viola) che sta incrociando la media mobile a 200 giorni (linea blu) avvalorando in tal modo il movimento ribassista in atto. Il disinteresse per i mercati è segnalato dai volumi in discesa e l'unica cosa che potrebbe a nostro giudizio riportare un po' di positività sarebbe fare in fretta chiarezza sulla questione dei dazi ma dovremo aspettare almeno qualche mese... che ci pare un'eternità!


Anche per quello che riguarda il Nasdaq le osservazioni fatte per lo S&P500 sono valide. A maggior ragione, considerato quanto il settore tecnologico può essere messo sotto pressione dall'amministrazione Trump, è imperativo arrivare ad una risoluzione in tempi rapidi del caos causato dai dazi. Per il momento l'unica cosa che ci pare evidente riguarda il suo trend: decisamente al ribasso! Considerata la volatilità di questo mercato siamo disposti a sopportare una discesa fino al supporto dei 14'500 punti ma non oltre...



Tutto sommato abbiamo trovato l'Eurostoxx50 (+0.80% ytd) in una forma non smagliante ma poteva essere molto peggio. Il taglio ai tassi da parte della BCE effettuato giovedì non ha ancora fatto sentire i suoi effetti e, forse, mai si vedranno. Quello che ci importa è che sta attaccando la resistenza dei 5020 punti... andare oltre sarebbe importante. Abbiamo una sensazione difficile da spiegare ma le borse europee in questo momento ci sembrano decisamente molto meno sotto pressione di quelle americane... Sembra strano ma così è!



Anche lo SMI (+0.52% ytd) sta cercando di portare a buon fine il ritracciamento del 50% del movimento ribassita avviatosi agli inizi di aprile. Questo movimento dovrebbe portare il nostro indice almeno in prossimità degli 11'800 punti. Molto dipenderà dai dazi sul settore farmaceutico che Trump vorrebbe introdurre: come abbiamo già sottolineato più volte non è che Novartis e Roche non siano già presenti come forza produttrice negli USA; bisognerà capire quanto dovranno ancora investire per evitare la mannaia trumpiana. Speriamo non somme spropositate ma comunque stiamo pensando a cifre miliardarie... se l'investimento sarà ben calibrato potrebbe anche essere qualche cosa di non così negativo.

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C'è da sperare che la debolezza del dollaro sia solo temporanea e non sia invece il sintomo di un cambiamento epocale dove potremmo assistere alla nascita di un nuovo ordinamento mondiale senza che la valuta americana eserciti un ruolo predominante. Non siamo pronti ad uno scenario simile anche perché nessun altro al mondo è in questo momento pronto a prendere il posto degli Americani. Ciò non toglie che da inizio anno qualche cosa sta cambiando molto velocemente: il dollaro ed il debito pubblico americano iniziano a non esser più percepiti come un porto sicuro nel quale rifugiarsi in caso di pericolo. La debolezza del dollaro è un campanello d'allarme che non dovrebbe essere sottovalutato...


E' da inizio d'anno che il dollaro si sta indebolendo ma l'accelerazione di questo movimento l'abbiamo vista a partire dal 2 di aprile. In questi frangenti è difficile che l'analisi tecnica ci possa dire qualche cosa di valido ma ci vogliamo provare: pare che attorno agli 81 centesimi e mezzo ci sia un buon supporto e da qualche giorno il dollaro contro franco si sta consolidando. E' in netto ipervenduto ma non siamo in grado di garantire se a questo livello, dove di solito un rimbalzo è quasi certo, si possa stare tranquilli. 

Una cosa è certa: difficile vedere una valuta della portata del dollaro svilirsi in tal modo!  Speriamo che qualcuno abbia comunicato all'amministrazione Trump che, per quanto volessero un dollaro debole, tutto ciò non è normale e francamente mette ansia. C'è da augurarsi che sappiano quello che stanno facendo...


Con tutti i problemi che ha, vedere l'euro rafforzarsi in tal maniera contro dollaro fa una certa impressione. Ha superato in scioltezza la resistenza a 1.12 ed ora sta consolidando attorno all'1.14. Andare oltre per il momento non sarà facilissimo: deve fare i conti con un periodo di consolidamento avviatosi verso dicembre del 2021 per concludersi alla fine di febbraio del 2022. Inoltre il taglio ai tassi dovrebbe permettere al dollaro di recuperare un pochino del valore perso da inizio anno ma, come detto, quanto sta accadendo ha mandato all'aria tutti gli automatismi.


Bene! Il supporto a 0.9250 è di quelli buoni. L'euro è rimbalzato e si è riportato in zona 0.93 senza troppi problemi. Ci stavamo chiedendo cosa avrebbe fatto la BNS in caso di sfondamento del supporto. Probabilmente, almeno fino a quando non si sarà chiarita la questione dazi svizzeri, non avrebbe fatto nulla. Stiamo tenendo d'occhio le medie mobili che come vedete  stanno tutte ripiegando verso il basso. Non è un segnale di forza da parte dell'euro e un eventuale death cross potrebbe evidenziare, se ve ne fosse ancora bisogno, il momento di difficoltà della finanza mondiale. E' in questi frangenti che il franco svizzero da il meglio di sé.


Prendetelo con beneficio d'inventario ma questa volta sembra che il bitcoin sia riuscito a sfondare la resistenza dinamica ribassista ed ora, dopo una piccola fase di consolidamento (vedi piccolo triangolo verde) potrebbe essere pronto a fare un salto in direzione dei 92'500 $ . 



Domanda: ma a voi una simile evoluzione dell'oro non fa paura? Come abbiamo detto in apertura l'oro, forse più di ogni altro tipo di investimento, è il bene rifugio per eccellenza ed è dal settembre 2022 che sembra avere una sola direzione: verso l'alto! Quasi tutto è spiegabile: le banche centrali che accumulano (ma perché?); l'inflazione elevata (ma siamo al 3% non al 10%);  le crisi geopolitiche (ma oramai siamo tutti assuefatti...);  la debolezza del dollaro ( scatenata dall'amministrazione Trump). Insomma molti fattori negativi sono oramai scontati nel prezzo e allora che cosa ci sta sfuggendo? Non lo sappiamo e questo è un altro motivo per essere ansiosi!

Ovviamente il trend dell'oro continua a rimanere rialzista: i 3'300 $ per oncia, che dovevano essere il target per fine anno, sono già stati superati ed ora Goldmann Sachs ha spostato il target per fine anno a 4'000 $. Per il momento non c'è nessun buon motivo per vendere oro.  

Buona Pasqua !!

ps: ci siamo accorti, forse complice il tempo uggioso, di essere andati lunghi... chiediamo venia!

giovedì 10 aprile 2025

Rimbalzo benefico ma non basta...

 "Non avrei mai pensato che la situazione (a riguardo dei dazi, ndr) potesse sfuggire di mano in questo modo!" E' quanto ha affermato Ermotti,  CEO di UBS,  un paio di giorni fa e probabilmente non era il solo a pensarlo. E' abbastanza evidente che qualche peso massimo di Wall Street  e d'intorni in questi giorni deve aver bussato alla porta della Casa Bianca cercando di riportare un Trump poco controllato (anche nel linguaggio...) con i piedi per terra; in effetti qualche cosa hanno ottenuto:

  • Rinvio dei dazi reciproci di 90 giorni.
  • Mantenimento dei dazi di base al "10%".
  • Aumento dei dazi al 125% solo per la Cina.
Reazione dei mercati:


La volatilità dell'indice della paura VIX si è dimezzata (da 60 a 33, freccia rossa)...


...e le borse americane si sono impennate (nell'immagine lo S&P500 che ieri, dopo l'annuncio,  ha guadagnato il 9.52%).

Che cosa devono aver detto al presidente degli Stati Uniti d'America non è dato a sapere ma sicuramente qualcuno gli avrà mostrato il grafico seguente:


In un batter d'occhio, i rendimenti  del Treasury a 10 anni, dopo aver ritoccato a più riprese i dazi ai cinesi fino a portarli  al 125%, sono schizzati dal 3.8% fino a lambire il 4.5%.  Di norma, quando il caos regna sui mercati finanziari il rendimento dei Treasury tende a scendere non a salire... Evidentemente un campanello d'allarme deve essere suonato... 

I fattori che possono spingere i rendimenti al rialzo possono essere molteplici e tra i più probabili segnaliamo:
  • Il mercato si sta convincendo che un periodo di stagflazione (inflazione al rialzo ed economia al ribasso) sta per arrivare ed il rincaro avrà un occhio di riguardo da parte della FED che aumenterà i tassi:  gli investitori si stanno già liberando di una parte delle obbligazioni a 10 anni.
  • La banca centrale americana non interviene in quanto sta cercando da mesi di ridurre il suo bilancio.
  • I forti ribassi delle quotazioni azionari hanno attivato i margin call obbligando chi ne è colpito a vendere ciò che ha in attivo (Treasury, oro, posizioni azionarie ancora in guadagno, apporto di liquidità ecc, ecc,..) al fine di rientrare nei margini. Questa opzione è molto probabile...
  • E' la risposta del governo cinese ai dazi americani? E' seduto su 760 miliardi di debito pubblico americano e quale ritorsione al 125% ha iniziato a vendere? Per il momento non ne abbiamo la certezza ma è anche in questo caso abbastanza probabile...
  • Altra arma micidiale in mano ai cinesi: la svalutazione dello yuan, non solo ci stanno pensando... la stanno già mettendo in atto! 
Insomma qualcuno ha convinto Trump che era cosa buona e giusta tirare un pochino il freno a mano e così è stato... Ovviamente la reazione positiva c'è stata pure il giorno dopo e le borse asiatiche ed europee hanno aperto con dei forti rialzi che hanno fatto bene al cuore ma che non ci devono indurre in comportamenti troppo spensierati:



Prendiamo lo SMI (ma qualsiasi altro indice europeo ha fatto lo stesso movimento): ha chiuso mercoledì in zona 10'900 punti, in apertura giovedì si è issato fino agli 11'800 e a metà seduta aveva già perso la metà dei 900 punti accumulati. Mentre stiamo scrivendo il ribasso si è accentuato e alle 16 l'indice segnava 11'300 punti. 
Insomma il messaggio è chiaro: per coloro che durante questa correzione non sono più riusciti a farsi una dormita decente, il rimbalzo di oggi può essere utilizzato per alleggerire le posizioni. Per i più sportivi,  se hanno un orizzonte a lungo termine,  si può invece pensare di iniziare, cum grano salis, ad accumulare qualche azione ma senza lasciarsi prendere la mano.

Conoscendo Trump, 90 giorni di tregua ci sembrano un'eternità e di certo la bocca chiusa non la terrà per un pezzo... Ci pare anche impensabile che in un lasso di tempo così corto tutte le nazioni che intendono trovare un compromesso con le autorità americano, e sono tante, abbiano il tempo di farlo. Quindi è probabile che avremo di certo una volatilità accentuata che rende la borsa (ma anche il mercato obbligazionario) un posto che non è fatto per i deboli di cuore.

Gettiamo una veloce occhiata agli indici:



Lo S&P500 ha rischiato, con una correzione di oltre il 20% dai massimi, di entrare in un mercato orso. Con la reazione di ieri ha recuperato la metà della perdita ma due punti e mezzo li sta già perdendo oggi dalla sua apertura. Come detto, saranno in molti che approfittano di questo rimbalzone per alleggerire le posizioni. Ci vuole prudenza.



Discorso valido anche per il Nasdaq che ieri ha visto i M7 mettere a segno recuperi importanti (anche del 20%) ma oggi sono già venduti...



L'Eurostoxx50 ha un supporto a 4'500 e dovrebbe tenerlo. Saremmo molto contenti di vederlo fluttuare tra i 4660 e i 5020... Sappiamo che l'Europa ha pronta una risposta adeguata ai dazi di Trump ma, giustamente, la via negoziale sembra anche a noi quella giusta... 



La mazzata lo SMI l'ha presa l'altro ieri con Roche e Novartis... è bastato accennare ai dazi sui farmaci per mandare in tilt le due società e di conseguenza anche il nostro indice. Stamani rimbalzo molto gradito ma, come detto, necessitiamo di prudenza... metà della ripresa si è già volatilizzata...

Cercheremo di tenervi aggiornati pure nei prossimi giorni sperando di capire per bene cosa sta succedendo... Non facile.

Buona serata!

domenica 6 aprile 2025

I dazi affondano le borse






 

Scrivere questi Appunti non sarà facie in quanto anche noi, tanto quanto la Meloni di Giannelli, di questa storia fatti di dazi e gabelle varie non ci capiamo molto ma, proprio per questo,  un tentativo di mettere un po' di ordine nelle nostre confuse idee bisogna provare a farlo. Quello che seguirà non vuole essere un giudizio di parte sull'operato di Trump - ciascuno di voi, ne siamo certi,  si è già fatto un'opinione personale - ma cercheremo di ragionare ad alta voce e di commentare quelle che sono state le reazioni, violentissime,  dei mercati. 


Per quanto la politica dei dazi trumpiani è stata dallo stesso Presidente degli USA ampiamente preannunciata,  gli investitori sono stati presi in contropiede dalla severità del provvedimento per nulla atteso in queste proporzioni: ne consegue che le ripercussioni sul sistema finanziario mondiale non sono ancora completamente scontate. Se non si riuscirà a trovare qualche compromesso, difficilmente si potrà sfuggire ad una inflazione più accentuata e ad una crescita economica rallentata.  Sappiamo tutti che la velocità di crociera della crescita economica mondiale non è di quelle al fulmicotone. Molti Paesi sono fragili e basta poco per spedirli in recessione. 


La preoccupazione per una guerra commerciale scatenata da cotanti dazi, molti dei quali difficili da comprendere e digerire come ad esempio il 31% della Svizzera,  è balzata in primo piano ed è normale che gli investitori si siano spaventati: 


L'indice della paura VIX in due giorni è più che raddoppiato e fortuna vuole che di mezzo c'è un week end dove, a mercati chiusi, si può ragionare altrimenti chissà dove sarebbe andato... Non è escluso che lunedì si possa andare ancora più sù e non sarebbe ovviamente un bel segnale... come vedremo dopo il pericolo, serio, è di vedere gli indici azionari entrare in un bear market...


Non per nulla in America la sessione di borsa di venerdì ha fatto segnare un record storico: mai così tante azioni sono passate di mano in una singola giornata...





La scorsa settimana avevamo già osservato che, in tema di dazi, non si possono dare tutti i torti a Trump: quelli americani sono spesso meno pesanti di quelli di altri Paesi, quindi un certo ribilanciamento può starci ma l'iniziativa di Donald,  come mostra il grafico pubblicato nella versione online dell'Economist, a nostro giudizio doveva essere calibrata diversamente. Tutto e subito spaventa chiunque... Purtroppo Trump l'hanno disegnato così e dovremo farci l'abitudine.

Ciò non toglie che ci stiamo chiedendo cosa veramente vuol ottenere con una politica dei dazi così aggressiva e qui entriamo nell'ambito delle ipotesi in quanto chi ci capisce qualche cosa è veramente bravo!

In questi giorni abbiamo sentito un po’ di tutto, ma un paio di ipotesi su dove voglia andare a parare Donald ci sembrano condivisibili anche se ovviamente andranno verificate.

La prima:

È abbastanza probabile che anche lui sia consapevole del fatto che dazi di questo tipo creano seri problemi a molte economie e le sta aspettando al varco. Sedersi rapidamente attorno al tavolo delle trattative è il primo obiettivo da raggiungere. Il secondo obiettivo è, ovviamente, trovare per ogni Paese un giusto compromesso, in modo da evitare che i flussi economici — da una parte e dall’altra — si blocchino completamente. Siamo anche ragionevolmente certi che non esiterà a mettere sul tavolo della negoziazione pure un azzeramento dei dazi

Se non erriamo, Israele vorrebbe togliere completamente i dazi ai prodotti americani nella speranza di non venir "sanzionati" dagli USA ed ottenere un trattamento simile da parte americana. Anche il Vietnam, principale fornitore di Nike, pare voglia togliere completamente i balzelli. Insomma, questa ipotesi di azzeramento dei dazi non è così campata in aria come potrebbe sembrare. E' chiaro che se si va in questa direzione saremo confrontati con dei cambiamenti epocali e potremmo iniziare a parlare di libero scambio dove beni e servizi possono circolare tra paesi senza ostacoli quali dazi doganali, sussidi o regolamenti discriminatori. Bello ma l'ipotesi ci pare vagamente utopica.

La seconda:

Se vi ricordate bene, in piena campagna elettorale, Trump aveva promesso un taglio alle tasse per le società che sarebbero passate dal 21% al 15%. E' chiaro che una simile proposta non passa inosservata ma deve fare i conti con uno dei più grandi problemi che l'attuale Presidente deve cercare di provare a risolvere,  ovverosia l'enorme e oramai fuori controllo debito pubblico americano che si sta avviando verso i 37 trilioni di dollari (vedi debito USA cliccando qui). E' chiaro a tutti che con un simile debito un taglio alle tasse non è cosa da poco e in un qualche modo deve trovare delle fonti di finanziamento  che rendano per lo meno l'operazione di abbassamento delle imposte un affare neutro.

Abbiamo provato a fare spannometricamente alcune valutazioni: le entrate fiscali medie per gli anni che vanno dal 2021 al 2024 sono state di 4.58 trilioni di $, la metà sono generate dalla tassazione delle persone fisiche mentre circa 500 miliardi arrivano dalla tassazione delle società, il resto da tasse indirette. I dazi nel 2023 ammontavano a "solo" 80 miliardi e nel 2024 erano pochi miliardi in più. 

Se prendiamo in considerazione l'idea di abbassare le tasse societarie dal 21% al 15% otteniamo una riduzione relativa delle entrate di circa un 28.6% che su 500 miliardi corrispondono a 143 miliardi . Gli attuali dazi (80 mia) non sono sufficienti a coprire questo ammanco di entrate cosa che invece risulta piuttosto agevole con l'applicazione dei nuovi dazi che, calcoli prospettici, indicano che potrebbero fruttare dai 300 ai 500 miliardi. Trump potrebbe senza troppi problemi abbassare le tasse alle società e, se tutto va per il verso giusto, rimarrebbero anche dei soldini per ridurre il debito pubblico.

Ovviamente bisogna fare i conti con alcune variabili non facili da stimare e che rendono l'operazione aumento dei dazi piuttosto rischiosa. Infatti :

  • Le entrate da dazi sono altamente incerte. E' facile pensare che importare diventerà più costoso e si andrà verso una riduzione quasi certa dei quantitativi e della frequenza delle importazioni.

  • Il rischio di effetti macroeconomici negativi sono evidenti a partire dall'aumento dell'inflazione e da una probabile minor crescita economica che farebbe diminuire le importazioni e i relativi dazi.

  • Il deficit potrebbe comunque aumentare indirettamente per effetto di una base fiscale erosa e/o di un PIL in rallentamento.

    Insomma, se l'idea di riequilibrare i dazi ci sta, esagerare potrebbe comunque costar caro non solo agli importatori ma a tutto il sistema economico americano,  consumatori compresi (che non dimentichiamo fanno con le loro spese quasi l'80% del PIL).

    E' probabile che la seconda ipotesi sia la più realistica e quindi anche l'Europa che, come ha sottolineato l'Economist  "non riesce a capire cosa dovrebbe fare per sistemare il suo rapporto già compromesso con la nuova amministrazione",  dovrà piuttosto velocemente trovare il tempo di sedersi attorno al tavolo delle trattative prima che sia - forse già lo è - troppo tardi. 

    Per una volta accogliamo con piacere la reazione della Lagarde a proposito della questione dazi. Ascoltate cosa ha detto.  L'abbiamo fatto riassumere da chatGPT:

    La presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha recentemente espresso preoccupazione riguardo ai dazi imposti dagli Stati Uniti, sottolineando che avranno un impatto negativo sull'economia globale. Ha evidenziato che l'entità di questo impatto dipenderà dalla portata, dalla durata e dai prodotti coinvolti nei dazi. 

    Inoltre, Lagarde ha sottolineato la necessità che l'Europa rafforzi la propria capacità decisionale per affrontare efficacemente tali sfide. Ha proposto una riforma del processo decisionale dell'Unione Europea, suggerendo l'adozione di un sistema di voto a maggioranza qualificata per rendere il blocco più competitivo e reattivo. Secondo Lagarde, il mantenimento del potere di veto da parte dei singoli Stati membri può ostacolare l'azione collettiva dell'UE, mentre un sistema di voto a maggioranza permetterebbe decisioni più rapide ed efficaci in risposta a situazioni come l'imposizione di dazi da parte di paesi terzi. ​

    Forse Draghi non ha strigliato l'Europa a vuoto e l'iniziativa di Trump ha fatto il resto... c'è da sperare che effettivamente l'UE colga l'occasione al balzo non solo per rispondere ai dazi americani ma ne approfitti anche per uscire dall'impasse provocato del suo sistema di voto che è una vera e propria condanna all'immobilismo.  (Ci vogliamo illudere che sia la volta buona...  se non si danno una mossa adesso forse non se la daranno mai più).

    ***

    Purtroppo la reazione dei mercati è stata violentissima: in due giorni sono andati in fumo diversi miliardi di capitalizzazione e ci potrebbe essere spazio la prossima settimana per ulteriori ribassi. Sono soprattutto i mercati americani a preoccupare in quanto dall'investitura di Trump, era il 20 di gennaio, sono 11 i trilioni di dollari che sono stati bruciati dalle borse e temiamo che una simile perdita di valore, che non mancherà di influenzare la propensione al consumo degli americani, possa accelerare l'indebolimento dell'economia. 

    E' vero che per il momento le statistiche dicono che gli ameriani hanno pur sempre un lavoro ma certe spese, se sono finanziate dai guadagni facili degli investimenti in borsa , si fanno più volentieri e soprattutto a cuor leggero. 

    Ma vediamo a che livello sono i  guadagni in borsa da inizio anno:


    Sfortunatamente si sono volatilizzati! Se una perdita dai massimi del 10% è convenzionalmente considerata una correzione, una perdita che va oltre il 20% segnala l'entrata del mercato in una fase orso (bear market)  caratterizzata da un calo prolungato e profondo. Spesso è pure accompagnato da un pessimismo difficile da sradicare che, come detto, incide negativamente sulla propensione al consumo.

    Il Nasdaq non è molto lontano dall'entrare in questa fase,  mentre lo S&P500  ed i mercati europei sembrano, per il momento,  ancora in una fase di correzione. 

    Se volete vedere il bicchiere mezzo pieno, date uno sguardo ai P/E che effettivamente, soprattutto in Europa, sono molto attraenti. Non significa che bisogna subito approfittarne: diciamo che molte azioni di società a larga capitalizzazione  sono diventate molto  più a buon mercato e se si riuscisse a sbrogliare la matassa dei dazi con una certa celerità ci sarebbe senz'altro la possibilità di fare dei buoni acquisti. 

    Non dimentichiamoci che, per quanto la situazione sia ingarbugliata, non stiamo parlando della fine del mondo. Per il momento comunque rimaniamo prudenti anche se tutti i mercati si trovano in nettissimo ipervenduto e tecnicamente sono pronti a rimbalzare. Purtroppo  un rimbalzo non sempre spazza via tutti i problemi e spesso ci trae in inganno facendoci (ri)entrare troppo presto. La questione dazi è appena partita e per un po' si comporterà come il classico invitato di pietra alla nostra tavola. Ci vuole pazienza. 



    Va comunque sottolineato che anche lo S&P500 (-13.73% ytd) dai massimi ha comunque fatto un -17% e non si trova lontanissimo dall'entrare in un bear market. Fondamentale che non vada sotto i 4'950 punti. I volumi sono eccezionalmente elevati (vale anche per gli altri mercati) e avvalora più che mai il movimento ribassista.



    Per il momento possiamo sperare che il movimento ribassista del Nasdaq (-19.28% ytd) si fermi sul supporto segnalato dalla linea rossa a 15'580 (praticamente venerdì ha chiuso sul supporto...). Intravvediamo un pericolo:  se non si trova una soluzione, quale ritorsione ai dazi, si potrebbe pensare di regolamentare in modo molto pesante l'attività internazionale  delle le Big Tech americane: per Google, Meta, Amazon, ecc. potrebbero esserci sorprese poco gradite. Ovviamente la speranza è che non si debba arrivare a questi estremi...



    Correzione pesante anche per l'Eurostoxx50 (-0.36% ytd) che ha portato a zero la performance da inizio anno. Un vero peccato ma per il momento la situazione tecnica sembra meno pesante di quella americana. I 4'660 punti sono il prossimo supporto e siamo ancora piuttosto lontani (... lo ammettiamo, è una magra consolazione!)



    Non ci ricordiamo di aver mai visto l'RSI dello SMI (+0.41% ytd) così in ipervenduto (19.56). I dazi al 31% - a dire di Trump siamo degli astuti manipolatori di valuta -  hanno lasciato il segno. Con un RSI così basso potremmo anche assistere ad un rimbalzo poderoso la prossima settimana. Va però tenuto conto di una cosa che assolutamente non ci piace: pare che Trump non abbia  ancor messo mani ai dazi riguardanti il settore farmaceutico ma lo farà a breve... Sia Roche che Novartis producono, e non poco, negli USA ma considerando  che alla sanità c'è un certo Robert Kennedy non siamo per nulla tranquilli... Siamo sull'attenti, anzi, di più!! La prudenza in questo caso non è mai troppa.

    ***


    I rendimenti sul dollaro continuano a scendere (in nero il treasury a 10 anni e in rosso il 2 anni) e la direzione punta verso il 3%-3.5%. E' chiaro che questo non aiuta la valuta americana anche se venerdì pomeriggio ha avuto una reazione d'orgoglio. Evidentemente lo stato di ipervenduto ha favorito il rimbalzo.


    In ambito forex una perdita del 2.5% in due giorni è difficile da osservare ma è quello che è successo. Ci stiamo muovendo verso lo 0.84 e con l'aria che tira non è un obiettivo impossibile...



    La debolezza del dollaro è palese anche contro euro ed è tutto dire. Se non ci fosse stata la reazione di venerdì avremmo con ogni probabilità chiuso in prossimità dell'1.12. Non siamo lontani...


    In effetti il franco svizzero, quando c'è maretta nell'aria, si dimostra sempre degno del suo ruolo di valuta rifugio. Se l'Europa troverà  in fretta una soluzione al problema dei dazi probabilmente l'euro potrà rientrare nel canale ascendente... altrimenti speriamo che la sua caduta si fermi a 0.9330 e non vada oltre.


    Per il momento la musica per il bitcoin non cambia: se lo si vuol comprare bisogna aspettare che rompa la resistenza della linea rossa. Siamo invece meno propensi a credere che possa andare a 73'000 come invece abbiamo sottolineato spesso nelle scorse settimane. 80'000 sembra essere un buon supporto.


    Buona domenica!


    PS: il prossimo fine settimana Appunti Finanziari si prende un week end di riposo... se vi sono cose importantissime che dovete sapere vedremo di comunicarle in settimana o al più tardi lunedì 14 aprile.


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