La narrativa dei mercati finanziari delle scorse settimane è stata dominata da una (eccessiva) attenzione per il grande pasticcio creato dai dazi trumpiani e solo la momentanea sospensione di quest'ultimi, per una novantina di giorni, ha contribuito a ridurre la tensione e si è ritornati a guardare con un certo interesse i dati macroeconomici e i risultati societari del primo trimestre 2025.
A dominare la scena sono, come spesso accade, i dati americani e quello che più di tutti ha sorpreso è stato il PIL che, per il Q1, si è presentato con un insolito segno negativo e addirittura un pochino peggio delle aspettative. Infatti ha fatto scalpore il - 0.3% (le ultime stime prima della pubblicazione segnavano un - 0.2%) che è stato annunciato mercoledì scorso e che potrebbe essere l'anticamera di un periodo di recessione che molti analisti hanno annunciato ma che deve comunque essere ancora confermato dai dati.
Infatti la teoria macroeconomica segnala l'entrata in recessione di una economia quando siamo in presenza di due trimestri consecutivi di PIL reale negativo. Il primo trimestre ce l'abbiamo ma non siamo ancora sicurissimi che anche il prossimo sarà negativo. Spieghiamo il perché.
Vi starete chiedendo come sia possibile che un'economia come quella americana, che fino a pochi mesi fa cresceva del 2.4% (Q4 2024), si è improvvisamente schiantata tanto da palesarsi con un PIL negativo. La risposta è piuttosto semplice e la colpa non è, come afferma Trump, di Sleepy Joe Biden.
Per capirlo dobbiamo dare un'occhiata alla formula con la quale si calcola il PIL di una nazione:
PIL = C + I + G + (X - M) dove
C= consumi delle famiglie
I = investimenti delle imprese
G = spesa pubblica
X= esportazioni
M = importazioni
La variabile impazzita che nel primo trimestre 2025 ha mandato in tilt l'economia americana è la M, quella delle importazioni. Nei primi 90 giorni del 2025 questa voce ha subito un incremento significativo del 41.3% facilmente spiegato dai massicci acquisti che molte aziende americane hanno fatto prima dei dazi che verranno imposti dall'amministrazione Trump. (Nota a margine: venerdì il governo cinese ha dichiarato che la sua "porta è aperta" per dei negoziati commerciali e visto quanto Apple ( ma non solo) sta soffrendo forse è meglio oltrepassarla questa porta...)
Tornando al PIL americano, la svalutazione di quasi un 10% del dollaro americano nei confronti delle più importanti monete non è bastata per incentivare significativamente le esportazioni e gli americani si sono trovati tra le mani il peggior deficit commerciale trimestrale della loro storia. La buona notizia è che il PIL del primo trimestre potrebbe anche essere l'unico con un segno negativo. Ora che i magazzini delle società americane sono pieni, i ritmi delle importazioni potrebbero anche diminuire vistosamente.
Già che ci siamo possiamo anche gettare un'occhiata alla variabile C, quella che riguarda i consumi delle famiglie americane, e quello che abbiamo visto non ci piace particolarmente:
Preoccupa la costante e vistosa erosione della confidenza al consumo che in sei mesi si è considerevolmente ridotta fino a raggiungere gli stessi valori riscontrati nel periodo del Covid. Sapendo quanto sia importante per il PIL americano (circa il 70%) il dato di martedì scorso non può lasciarci indifferenti...
Comunque sia GDPNow, l'algoritmo della FED di Atlanta che misura in tempo reale il PIL americano, si è già riportato in zona positiva segnalando una crescita dell'1.10%. Il dato comunque sarà piuttosto volatile e vedremo cosa succederà veramente fra tre mesi.
A questo punto vien da chiedersi se l'esubero d'importazioni, gravate dai dazi generalizzati al 10% e da un progressivo indebolimento del dollaro, hanno già avuto un qualche riflesso sull'inflazione: apparentemente fino ad oggi tutto è tranquillo come ha testimoniato mercoledì 30.4 il Personal Consumption Expenditures (PCE) che è il più importante indicatore dell'inflazione americana ed è pure quello preferito dalla FED:
- PCE yoy : 2.3% (atteso: 2.2%; precedente: 2.7%)
- Core PCE yoy : 2.6% (atteso: 2.6%; precedente: 3%)
- Posti di lavoro vacanti marzo: 7.2 mio (atteso: 7.5 mio; precedente: 7.5 mio) in diminuzione
- Posti di lavoro settore privato (ADP) apr. : 62k (atteso: 120 k; prec: 147k) in netta diminuzione
- Nuovi disoccupati aprile: 241k (atteso: 225k; precedente: 223k) in ascesa
- Nuovi posti di lavoro non agricoli apr.: 177k (atteso: 133k; prec.: 185k) meglio del previsto
- Disoccupazione aprile : 4.2% (atteso: 4.2%; precedente: 4.2%) stabile
A darci un colpo di mano hanno di certo contribuito i dati societari del primo trimestre che, per quanto riguarda quelli dello S&P500, stanno entrando nella fase finale della loro pubblicazione. Per questo indice il dato più importante è senz'altro l'earning surprise che è stato fino ad oggi dell'8.77% migliore delle aspettative. Non poco ed il mercato, una volta tolto di mezzo i tweet della Casa Bianca, ha ricominciato a comportarsi come deve fare il più importante indice del mondo, ovverosia da indicatore assennato e che bada al sodo.
Prima di dare un'occhiata ai grafici delle borse, vorremmo mettere in evidenza la buona performance delle borse europee di venerdì (%chg) che le ha viste fare un balzo di oltre il 2% ed anche i guadagni da inizio anno (%ytd) ritornano ad essere interessanti. Va inoltre osservato che spazio per una salita dovrebbe ancora essercene: i P/E europei sono ancora sotto la media decennale. Non possiamo dire lo stesso per quanto riguarda le due borse americane che seguiamo con maggior attenzione: la performance ytd è per il momento ancora negativa ma sono soprattutto i P/E ad esser tornati a dei livelli ai quali dobbiamo prestare attenzione: non stiamo più comprando a buon mercato come qualche settimana fa...
La buona notizia per lo S&P500 (-3.31% ytd) è che siamo ritornati sopra il livello del 2 di aprile giorno del famoso "Liberation day" inaugurato da Trump (freccia blu). La prossima settimana possiamo togliere il cerchio verde che segnalava il gap che immaginavamo sarebbe stato chiuso durante la settimana che si sta per chiudere. Ora spazio per arrivare fino ai 5'770 ci sarebbe, poi saremo di nuovo in ipercomprato e vedremo che aria tirerà. Lasciamo per prudenza e a futura memoria il cerchietto rosso che segnala il gap rialzista di una decina di giorni fa: in caso di correzione improvvisa quello potrebbe essere il target (circa 5'300 punti). Non scordiamocelo. Adesso il clima sembra rasserenarsi ma facciamo tesoro di quanto ci ha illustrato il trader Tuchman: basta un tweet della Casa Bianca e ti ritrovi in rosso.
Anche il Nasdaq (-6.90% ytd) si è riportato sopra il livello del 2 di aprile ed ha addirittura superato la resistenza dei 17'900 punti; comunque vale lo stesso discorso dello S&P500: ci son stati degli strappi rialzisti che hanno creato dei gap (cerchio rosso e blu) che in caso di correzione possono essere sicuramente presi come dei target da raggiungere. Non siamo certi di trovarci confrontati a dei gap di rottura che segnalano di solito l'inizio di un nuovo trend, mancano i volumi in deciso rialzo. Siamo probabilmente confrontati con dei gap comuni che potrebbero anche essere colmati in tempi piuttosto brevi. Godiamoci il rialzo ma non esageriamo nel voler imbottire il nostro deposito di tecnologia a tutti i costi.
Siamo piacevolmente meravigliati delle performance dei mercati europei che probabilmente beneficiano di una serie di notizie positive tra le quali evidenziamo:
- I primi segnali di distensione tra USA e Cina.
- Risultati societari buoni e in alcuni casi ben al di sopra delle aspettative (Shell; ING group).
- Dati macro decenti.
- La politica monetaria della BCE che continuerà ad essere espansiva.
- Tecnicamente stiamo ancora rimbalzando anche se siamo già andati ben oltre il classico recupero del 50% del movimento ribassista avviatosi il 2 di aprile.
- La crescita della nostra economia è stata rivista al ribasso (PIL atteso ad un modesto +1.4%).
- La forza eccessiva del franco preme sull'export.
- Spazi per ulteriori tagli ai tassi, pochi: forse ne vedremo ancora uno ma non pensiamo che rivedremo nuovamente i tassi negativi (mai dire mai ma sarebbero accuratamente da evitare...).
- Il nostro è un mercato tipicamente difensivo. Quando gli investitori sono in modalità risk on si preferiscono mercati dove la tecnologia e l'industria sono maggiormente presenti in quanto trainano più velocemente il recupero.
Anche se questa settimana non ve li abbiamo mostrati, i rendimenti sul dollaro hanno avuto una tendenza ribassista che ovviamente non ha giovato moltissimo al dollaro. Contro franco sta cercando di recuperare almeno il 50% del movimento ribassista avviatosi il 2 di aprile... sembra essere effettivamente entrato in un canale ascendente ma ci vorrà tempo e tanta, tanta pazienza...
Contro euro il dollaro ha smesso di indebolirsi e sembra volersi consolidare attorno agli attuali livelli come era già successo nel 2021... Mercoledì sentiremo dalla viva voce di Powell cosa vorrà fare a proposito dei tassi americani. SE li lascia invariati forse assisteremo ad un leggero rafforzamento delle moneta americana ma nulla di trascendentale. Il discorso sui dazi ed un loro ammorbidimento potrebbe invece avere maggior influsso, per lo meno sul corto termine, e lo vedremo sicuramente recuperare qualche punto percentuale contro le monete più importanti. Poi a lungo dipenderà dalle solite dinamiche macroeconomiche.
La possibile distensione tra USA e Cina sta giovando al bitcoin che questa settimana è riuscito a superare la resistenza (linea tratteggiata) ed ora potrebbe iniziare una fase di consolidamento in quanto agi attuali livelli tra il novembre 2024 e il febbraio 2025 in molti l'hanno comprato (ovale blu) . Bisognerà capire quanti approfitteranno di questo recupero per cedere la posizione che hanno accumulato mesi fa... Bisogna comunque ammettere che i fans delle crypto sono piuttosto ostinati e non è detto che si comportino come dei normali boomers che a questi livelli, magari dopo aver visto i 75'000$, stanno mollando il bitcoin in quanto fonte di eccessivo stress...
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