venerdì 26 marzo 2021

Bilancio trimestrale


 

Manca poco alla fine del primo trimestre e vogliamo approfittarne per portarci un po'a vanti con i lavori e fare con voi un piccolo punto della situazione e provare ad immaginare cosa ci aspetta per il secondo trimestre di questo 2021.

Per quanto riguarda le borse, salta all'occhio la modesta performance del Nasdaq (+0.69% ytd) che ci aveva abituati a ben altri numeri. Modesta la performance della borsa svizzera (+3.81%) che, nota per il suo carattere difensivo, è la peggior a livello europeo;  persino sotto il FTSE 100 (+4.09%) che non ha ancora finito di scontare la Brexit. Sul fronte asiatico è la Cina che paga pegno: dopo un inizio d'anno al fulmicotone e relativo rilassamento dopo il capodanno cinese,  pare stia trovando un supporto in questi giorni (per chi è rimasto fuori da questo mercato e ci vuol entrare potrebbe essere il momento giusto...).

Insomma, l'aria che si respira in borsa, salve eccezioni, non è poi così male e a contribuire a renderla respirabile ci hanno pensato da una parte l'arrivo dei vaccini e dall'altra la garanzia di aiuti molto consistenti,  sia da questa parte dell'Atlantico che dall'altra. E' vero che non è tutto oro quello che luccica: la campagna vaccinale in europa poteva essere gestita meglio, me è altrettanto vero che si doveva tenere in linea di conto che i vaccini prima di distribuirli bisogna produrli e per le quantità necessarie ci vogliono mesi: abbiamo fatto finta di non saperlo ed ora abbiamo l'impressione di essere terribilmente in ritardo sulla tabella di marcia. Se poi parliamo degli aiuti finanziari sappiamo tutti che una volta deciso il da farsi, l'iter,  prima di passare alla cassa, è ancora molto lungo ed anche in questo caso i tempi ci appaiono biblici. Ma gli aiuti arriveranno e da qui deriva pure il cauto ottimismo delle borse.

Da un punto di vista tecnico ci sono una buona serie di dati macro che hanno virato sul verde partendo dai PMI di mezzo mondo che certificano una ripresa imminente, alla disoccupazione che per quanto ancora elevata migliora, alla revisione al rialzo dei PIL con in testa quello americano che quest'anno, FED dixit, potrebbe raggiungere il 6.3% e per una volta, dopo tanto tempo, anche gli americani potranno sentirsi un po' cinesi con buona pace per il loro ego.



Quello che ci ha un po' sorpreso e che potrebbe creare qualche problema agli amanti del reddito fisso, sono i movimenti rialzisti che coinvolgono le rese a medio e lungo termine. Una su tutte quella del Treasury americano a 10 anni che a partire da inizio febbraio si è impennata e con ogni probabilità raggiungerà il valore che aveva pre-pandemia dove si navigava attorno al 1.8%-2% . Le aspettative di una crescita robusta in america hanno rilanciato i timori inflazionistici e per quanto la FED si è prodigata a gettare acqua sul fuoco non è evidentemente riuscita a convincere gli investitori che riuscirà a mantenere i tassi invariati fino alla fine del 2023. Questo è bastato ad alimentare il rialzo e a dar fastidio al Nasdaq ed alle sue sovente iper-indebitate società (ecco spiegata la debole performance dell'indice ytd).


Se ad inizio anno erano in molti a perpetuare la debolezza del dollaro, il rialzo delle rese ha scompaginato le previsione e per il momento abbiamo un dollaro che si è rafforzato a 0.94 centesimi (1.1785 contro euro) ben lontano da quel 0.87 centesimi previsto da UBS per fine 2021 (ma con UBS faremo i conti a fine anno...). Dicasi lo stesso per euro/chf che attorno agli 1.11 non lo si vedeva da tempo...

Ma cosa dobbiamo aspettarci per il secondo trimestre? Vi ricordate il nostro post del 9 gennaio? Vi avevamo proposto quanto Ned Devid (NDR) aveva elaborato per quest'anno. Siamo a fine trimestre e diremmo che è arrivato il momento di vedere se il suo algoritmo funziona.


 NDR ammonisce:  "Trend is More Important Than Level" ed in effetti non possiamo pretendere che alla linea scura, che rappresenta il movimento previsto dello S&P 500,  si sovrapponga alla linea arancione che è l'evoluzione effettiva dell'indice americano fino al 25 marzo; ma lo spostamento (il trend) delle due linee è sorprendentemente simile.

Se NDR ha ragione, il mese di aprile sarà positivo,  pausa di riflessione ai primi di maggio e seguirà una decisa fase rialzista che si concluderà in piena estate.

Come abbiamo detto, grazie ai vaccine e alle generose iniezioni di liquidità, lo scenario disegnato da NDR non è assolutamente da escludere e quindi noi, nel mercato azionario,  ci restiamo ancora per un po' o per lo meno fino a quando la ragione e/o qualche evento inaspettato ci diranno che è meglio portare a casa gli utili.

Scommettiamo che vi piacerebbe sapere come NDR vede il Nasdaq.... eccovi serviti:


Nel caso del listino tecnologico americano il modelle di NDR funziona ancora meglio e la sovrapposizione delle due linee è quasi perfetta... come si dice sempre in questi casi "le performaces passate non sono una garanzia per le performances future" ma se il modello previsionale è valido,  e quello di NDR sembra esserlo, perché no? Con questo non vogliamo assolutamente farvi fare il passo più lungo della gamba e quindi NON  snaturate la vostra propensione al rischio. 

giovedì 18 marzo 2021

Reazioni al discorso di Powell


 L'evento clou della settimana è sicuramente stato l'intervento di ieri del presidente della FED Powell , intervento parecchio atteso in quanto eravamo tutti curiosi di sapere come avrebbe giustificato l'aumento dei rendimenti,  che da diverse settimane,  sta interessando la parte lunga della curva dei tassi sul dollaro (nel grafico: rendimento del Treasury a 10 anni).

Ma in sostanza cosa ha detto, ridotto all'essenziale, Powell?  Nella sua testa due cose gli sono chiare:

a) La crescita economica americana (GDP) è stata rivista al rialzo per il 2021 e dal 4.2% è stata aggiornata al 6.5% che vista così sembra quasi che si stia parlando della Cina. Due punti percentuali in più non sono noccioline, soprattutto se stiamo parlando, per il momento ancora, della prima economia mondiale. E' vero che la medesima crescita nel 2022, esaurita la spinta degli incentivi statali, si dimezzerà,  ma comunque stiamo parlando di numeri di una certa consistenza.

b) Inflazione (ancora lei!). Oggi la corre inflation è ferma all'1.4%-1.5%, ma la FED prevede un 2.2% fine 2021, 2% nel 2022 e 2.1% per il 2023. Insomma, un spintarella al rialzo dei prezzi la mette in linea di conto, ma tutto sommato nulla di trascendentale e soprattutto nel discorso di Powell non v'è preoccupazione alcuna per un aumento così modesto.

Insomma, come dicono gli economisti, un discorso molto dowish, quasi avesse paura di svegliare il can che dorme, condito da una retorica molto formale e attenta a leggere bene quello che il gobbo davanti a lui gli stava suggerendo. Purtroppo non ha fatto i conti con un altro tipo di linguaggio, quello del corpo, che ci stava trasmettendo tutt'altro. Apparentemente compassato e sicuro di sé, in realtà, se lo si è osservato per bene,  traspariva una sospetta rigidità ed una salivazione praticamente azzerata che lo costringeva a deglutizioni frequenti che ne interrompevano l'eloquio. Insomma, è abbastanza probabile che fosse consapevole di non credere fino in fondo a quello che ci stava dicendo. Ciliegina sulla torta  l'ha messa quando qualcuno gli ha chiesto cosa intende fare per tenere calmierata la salita repentina delle rese sul lungo termine. Bellissima domanda, forse l'unica che veramente interessava coloro che lo stavano ascoltando:  peccato che l'abbia completamente elusa... non un bel segnale.

In effetti convincere chi ti ascolta che l'inflazione possa restarsene buona buona al suo posto non è un esercizio da poco e devi essere dotato di una retorica che pochi presidenti di banche centrali hanno. Nelle scorse settimane abbiamo sottolineato come il pericolo inflazione sia tutt'altro che marginale e il mercato questo lo ha capito da un po', mercato che fra parentesi nella maggior parte delle volte si è mostrato in grado di fare previsioni migliori della FED.

Stamani, digerito il discorso presidenziale,  il tutto si è concretizzato in un bell'aumento delle rese che qualche minuto fa hanno raggiunto 1.75% e sono indirizzate verso un 2% , che di questo passo,  vedremo a breve. Movimenti simili si stanno avverando anche in Europa.

Rammentiamo che quando le rese del Treasury a 10 anni sono passate da 1.20% a 1.60% il Nasdaq, notoriamente avverso a questo genere di aumenti, ha perso quasi un 10% in pochi giorni. Un aumento da 1.60% al 2% lasciamo a voi immaginare quali potrebbero essere le conseguenze. Magari non un -10% , ma comunque avremo a che fare con un po' di volatilità. Oggi l'apertura del mercato americano non sarà bellissima e anche l'Europa sta girando in negativo. I dati sulla disoccupazione USA di oggi non sono buoni, altra tegola da digerire...

Comunque un aumento delle rese non è una tragedia per tutti. Banche ed assicurazioni potrebbero avvantaggiarsi ed è quello che sta succedendo,  basta vedere come si stanno comportando i due settori nel mercato svizzero che sono i migliori del nostro listino.

Comunque sia, un po' di prudenza, la vorremmo consigliare.



 

venerdì 12 marzo 2021

Inflazione: segnali premonitori


 

A costo di essere ripetitivi e un poco stucchevoli, siamo costretti un'altra volta a parlare d'inflazione, non tanto perché l'argomento ci è particolarmente caro, ma perché la grande assente di questi anni sembra stia preparandosi per un rientro, forse non in grande stile, ma comunque si farà vedere.

Segnali premonitori ne abbiamo in abbondanza, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Ieri ad esempio gli Initial Jobless Claims americani erano attessi a 725k, ma nella realtà i nuovi disoccupati sono scesi a 712k, un po' meno del previsto, segno di un'economia che ancora si deve riprendre dalla batosta dell'epidemia ma lo sta facendo un pochino più rapidamente del previsto. Meno disoccupati significa più gente attiva e che percepisce un salario (magari scarso ma pur sempre un salario) e quindi in grado di spendere. Sta poi arrivando nelle tasche degli americani l'assengno di 1'400$ promesso da Biden: una boccata d'ossigeno per l'americano in difficoltà e un aumento probabile dei consumi che farà del bene al settore retail e compagni.

Sul fronte della produzione invece segnaliamo un continuo aumento del costo delle materie prime con il rame che sembra non volersi più fermare, il petrolio che pare abbia ritrovato una seconda giovinezza (malgrado abbia gli anni contati...) ed il costo dei containers per  trasporto delle merci che è quasi triplicato.  Fatte queste premesse non c'è da meravigliarsi che l'indice dei prezzi alla produzione (Y/Y) pubblicato oggi pomeriggio sia salito oltre le  aspettative al 2.8% (atteso 2.7%).

Vi rimandiamo ad un articolo di Bloomberg News alla fine del nostro intervento per un piccolo approfondimento sull'inflazione.





Quello che a noi ora interessa, è vedere come le aspettative di un aumento dell'inflazione agiscono  sulla resa del Treasury americano a 10 anni che sta salendo piuttosto rapidamente e che al momento che stiamo scrivendo è di 1,6350%.  Sia Powell la scorsa settimana quanto la Lagarde ieri, sebbene facendo capo ad una retorica un pochino diversa l'uno dall'altra, nella sostanza sono d'accordo che in un qualche modo bisognerà controllare questo aumento prima che diventi eccessivo e combini guai seri. Certo che schiacciare la curva a 10 anni non sarà facilissimo, costerà parecchio e non vi è una garanzia di successo certo. A nostro avviso è abbastanza probabile che le rese del decennale USA saliranno all'1.8%/2% (cerchio rosso)  raggiungendo il rendimendo pre covid. Forse fino a quel livello i danni saranno ancora gestibili, oltre non si sa...

Ma di quali danni stiamo parlando? Beh, la correzione di un 10% del Nasdaq che abbiamo visto la scorsa settiama è figlia dell'impennata delle rese: pensiamo alla natura delle società tecnologiche (le cosiddette growth companies) che tendono a reinvestire gli utili piuttosto che a distribuirli e al fatto che il valore di un'azione è la somma dei flussi di cassa futuri scontati ad un tasso x;  se questo tasso tende a salire il valore dell'azione scende ed è quello che è successo. Ecco pure spiegato perché, in uno scenario di questo genere, le value companies, che tendono ad essere spesso generose con i propri azionisti e staccano dividendi interessanti, si comportano meglio delle cugine growth. 

Vogliamo poi parlare dell'effetto dell'aumento delle rese e della corrispettiva perdita di valore delle obbligazioni? Anche in questo caso più è lunga l'obbligazione e maggiormente è sensibile all'aumento o alla diminuzione delle rese. Ben sapendo che per acchiappare un minimo di resa, in questi ultimi anni si è dovuto aumentare di parecchio le scadenze obbligazionarie, è ovvio che un po' di valore nei depositi con questo aumento è andato perso. Ripetiamo, nulla di grave per il momento ma ce n'è abbastanza per non sottovalutare il problema.


Un'altra conseguenza dell'aumento delle rese è l'influsso che questo movimento ha sulle valute: ovviamente il dollaro ne ha beneficiato magari ben oltre le aspettative. Se vi ricordate all'inizio dell'anno non erano in molti a credere nel suo rafforzamento e siamo certi che parecchi operatori hanno venduto allo scoperto,  per poi dover prender atto che la scommessa l'hanno persa e si sono ricomprati il dollaro loro malgrado. Comunque tre giorni fa, uno degli strategist di UBS ci mette sull'attenti che, a loro giudizio,  per fine anno il dollaro sarà quotato 1.27 contro euro e 0.87 cts contro franco: una piccola annotazione sul calendario l'abbiamo fatta, siamo proprio curiosi di vedere, se le rese saranno quelle attuali,  come ci si arriverà a quei valori.




Dal momento che l'indice SMI è il paradiso della società value, non abbiamo infatti subito grossi scossoni. Tutto sommato sta egregiamente tenendo la sua posizione e non disperiamo che potrà anche sorpenderci e con un colpo di reni issarsi sopra gli 11'000 punti.  


Da  Bloomberg News (clicca sulla foto per una migliore lettura):











venerdì 5 marzo 2021

Il non detto di Powell...


 A tenere banco questa settimana, così come la scorsa, sono ancora una volta i rendimenti del Treasury americano a 10 anni: ieri Powell è stato invitato a parlare ad un web seminar organizzato dal Wall Street Journal e le aspettative per quello che avrebbe detto erano parecchio alte. In realtà il mercato si è mosso sul "non detto" del presidente della FED che al posto di annunciare il twist che avrebbe visto la banca centrale americana occupata a vendere le posizioni corte per comprare quelle tra i 7 e i 10 anni nel tentativo di calmierare l'aumento delle rese, si è semplicemente accontentato di sottolineare che "sarei preoccupato qualora il persistente inasprimento delle condizioni  finanziarie minacciassero il raggiungimento dei nostri obiettivi". Ergo, si capisce che per il momento tollera un aumento delle rese senza strapparsi tutti i capelli. Dovesse il quadro peggiorare, farà il suo dovere. L'immediata reazione dei mercati è ben segnalata dalla freccia rossa e le borse non hanno gradito.

Domanda: dobbiamo effettivamente preoccuparci di questo aumento delle rese che stanno interessando più o meno non solo i buoni del tesoro americano ma anche i buoni degli stati europei? Siamo in procinto di vedere un reale e duraturo cambiamento del trend sulle rese obbligazionarie di mezzo mondo?

Probabilmente è ancora troppo presto per avallare un simile scenario. Un po' d'inflazione per il momento non fa così paura da giustificare l'adozione di una politica monetaria restrittiva al punto di mettere in pericolo la  prospettata crescita economica post covid 19. Il piano di Biden di 1.9 trilioni sarà anche generoso ma non è ancora dato per scontato che automaticamente questa pioggia di miliardi si tramuterà in breve tempo in una inflazione fuori controllo. Prima di tutto vediamo  se il Senato americano sarà così generoso come il Congresso e se del caso vedremo quanto del denaro effettivamente sganciato finirà nel circuito economico e quanto verrà invece assorbito dalla finanza (che come abbiamo imparato dal 2008 in poi, non sono proprio la stessa cosa...).


Comunque un aumento delle rese potrebbe disturbare un certo numero di aziende fortemente indebitate: Alfonso Tuor , nel suo articolo di ieri sul Corriere del Ticino, indicava correttamente che il 20% delle aziende dello S&P 500 non arriva neppure a creare la cassa sufficiente a pagare gli interessi negativi generati dalla propria situazione debitoria. Non conosciamo cifre esatte delle aziende tecnologiche (nel grafico l'indice Nasdaq) ma  sappiamo che molte navigano in acque non  tranquillissime e la reazione dell'indice che le rappresenta in questi giorni la dice lunga. 


Per il momento la borsa svizzera non sembra essere troppo preoccupata: anzi, l'aumento delle rese fa un buon servizio a banche e assicurazioni che in effetti non si stanno comportando male quest'anno, contribuendo a mantenere l'indice all'interno delle banda di oscillazione tra i 10'5000 11'0000 punti.


A beneficiare del rialzo dei rendimenti è il dollaro che si è riportato a ridosso dei 0.93 cts. A questo livello è un po "arrivato" ma se i rendimenti del Treasury dovessero riagguantare quelli pre-pandemia (1.80%) potremmo vederlo superare agevolmente l'attuale resistenza per riportarsi a quota 0.94/0.95... diciamo che non era proprio nelle aspettative d'inizio anno.