venerdì 5 marzo 2021

Il non detto di Powell...


 A tenere banco questa settimana, così come la scorsa, sono ancora una volta i rendimenti del Treasury americano a 10 anni: ieri Powell è stato invitato a parlare ad un web seminar organizzato dal Wall Street Journal e le aspettative per quello che avrebbe detto erano parecchio alte. In realtà il mercato si è mosso sul "non detto" del presidente della FED che al posto di annunciare il twist che avrebbe visto la banca centrale americana occupata a vendere le posizioni corte per comprare quelle tra i 7 e i 10 anni nel tentativo di calmierare l'aumento delle rese, si è semplicemente accontentato di sottolineare che "sarei preoccupato qualora il persistente inasprimento delle condizioni  finanziarie minacciassero il raggiungimento dei nostri obiettivi". Ergo, si capisce che per il momento tollera un aumento delle rese senza strapparsi tutti i capelli. Dovesse il quadro peggiorare, farà il suo dovere. L'immediata reazione dei mercati è ben segnalata dalla freccia rossa e le borse non hanno gradito.

Domanda: dobbiamo effettivamente preoccuparci di questo aumento delle rese che stanno interessando più o meno non solo i buoni del tesoro americano ma anche i buoni degli stati europei? Siamo in procinto di vedere un reale e duraturo cambiamento del trend sulle rese obbligazionarie di mezzo mondo?

Probabilmente è ancora troppo presto per avallare un simile scenario. Un po' d'inflazione per il momento non fa così paura da giustificare l'adozione di una politica monetaria restrittiva al punto di mettere in pericolo la  prospettata crescita economica post covid 19. Il piano di Biden di 1.9 trilioni sarà anche generoso ma non è ancora dato per scontato che automaticamente questa pioggia di miliardi si tramuterà in breve tempo in una inflazione fuori controllo. Prima di tutto vediamo  se il Senato americano sarà così generoso come il Congresso e se del caso vedremo quanto del denaro effettivamente sganciato finirà nel circuito economico e quanto verrà invece assorbito dalla finanza (che come abbiamo imparato dal 2008 in poi, non sono proprio la stessa cosa...).


Comunque un aumento delle rese potrebbe disturbare un certo numero di aziende fortemente indebitate: Alfonso Tuor , nel suo articolo di ieri sul Corriere del Ticino, indicava correttamente che il 20% delle aziende dello S&P 500 non arriva neppure a creare la cassa sufficiente a pagare gli interessi negativi generati dalla propria situazione debitoria. Non conosciamo cifre esatte delle aziende tecnologiche (nel grafico l'indice Nasdaq) ma  sappiamo che molte navigano in acque non  tranquillissime e la reazione dell'indice che le rappresenta in questi giorni la dice lunga. 


Per il momento la borsa svizzera non sembra essere troppo preoccupata: anzi, l'aumento delle rese fa un buon servizio a banche e assicurazioni che in effetti non si stanno comportando male quest'anno, contribuendo a mantenere l'indice all'interno delle banda di oscillazione tra i 10'5000 11'0000 punti.


A beneficiare del rialzo dei rendimenti è il dollaro che si è riportato a ridosso dei 0.93 cts. A questo livello è un po "arrivato" ma se i rendimenti del Treasury dovessero riagguantare quelli pre-pandemia (1.80%) potremmo vederlo superare agevolmente l'attuale resistenza per riportarsi a quota 0.94/0.95... diciamo che non era proprio nelle aspettative d'inizio anno.


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