A costo di essere ripetitivi e un poco stucchevoli, siamo costretti un'altra volta a parlare d'inflazione, non tanto perché l'argomento ci è particolarmente caro, ma perché la grande assente di questi anni sembra stia preparandosi per un rientro, forse non in grande stile, ma comunque si farà vedere.
Segnali premonitori ne abbiamo in abbondanza, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Ieri ad esempio gli Initial Jobless Claims americani erano attessi a 725k, ma nella realtà i nuovi disoccupati sono scesi a 712k, un po' meno del previsto, segno di un'economia che ancora si deve riprendre dalla batosta dell'epidemia ma lo sta facendo un pochino più rapidamente del previsto. Meno disoccupati significa più gente attiva e che percepisce un salario (magari scarso ma pur sempre un salario) e quindi in grado di spendere. Sta poi arrivando nelle tasche degli americani l'assengno di 1'400$ promesso da Biden: una boccata d'ossigeno per l'americano in difficoltà e un aumento probabile dei consumi che farà del bene al settore retail e compagni.
Sul fronte della produzione invece segnaliamo un continuo aumento del costo delle materie prime con il rame che sembra non volersi più fermare, il petrolio che pare abbia ritrovato una seconda giovinezza (malgrado abbia gli anni contati...) ed il costo dei containers per trasporto delle merci che è quasi triplicato. Fatte queste premesse non c'è da meravigliarsi che l'indice dei prezzi alla produzione (Y/Y) pubblicato oggi pomeriggio sia salito oltre le aspettative al 2.8% (atteso 2.7%).
Vi rimandiamo ad un articolo di Bloomberg News alla fine del nostro intervento per un piccolo approfondimento sull'inflazione.
Quello che a noi ora interessa, è vedere come le aspettative di un aumento dell'inflazione agiscono sulla resa del Treasury americano a 10 anni che sta salendo piuttosto rapidamente e che al momento che stiamo scrivendo è di 1,6350%. Sia Powell la scorsa settimana quanto la Lagarde ieri, sebbene facendo capo ad una retorica un pochino diversa l'uno dall'altra, nella sostanza sono d'accordo che in un qualche modo bisognerà controllare questo aumento prima che diventi eccessivo e combini guai seri. Certo che schiacciare la curva a 10 anni non sarà facilissimo, costerà parecchio e non vi è una garanzia di successo certo. A nostro avviso è abbastanza probabile che le rese del decennale USA saliranno all'1.8%/2% (cerchio rosso) raggiungendo il rendimendo pre covid. Forse fino a quel livello i danni saranno ancora gestibili, oltre non si sa...
Ma di quali danni stiamo parlando? Beh, la correzione di un 10% del Nasdaq che abbiamo visto la scorsa settiama è figlia dell'impennata delle rese: pensiamo alla natura delle società tecnologiche (le cosiddette growth companies) che tendono a reinvestire gli utili piuttosto che a distribuirli e al fatto che il valore di un'azione è la somma dei flussi di cassa futuri scontati ad un tasso x; se questo tasso tende a salire il valore dell'azione scende ed è quello che è successo. Ecco pure spiegato perché, in uno scenario di questo genere, le value companies, che tendono ad essere spesso generose con i propri azionisti e staccano dividendi interessanti, si comportano meglio delle cugine growth.
Vogliamo poi parlare dell'effetto dell'aumento delle rese e della corrispettiva perdita di valore delle obbligazioni? Anche in questo caso più è lunga l'obbligazione e maggiormente è sensibile all'aumento o alla diminuzione delle rese. Ben sapendo che per acchiappare un minimo di resa, in questi ultimi anni si è dovuto aumentare di parecchio le scadenze obbligazionarie, è ovvio che un po' di valore nei depositi con questo aumento è andato perso. Ripetiamo, nulla di grave per il momento ma ce n'è abbastanza per non sottovalutare il problema.
Un'altra conseguenza dell'aumento delle rese è l'influsso che questo movimento ha sulle valute: ovviamente il dollaro ne ha beneficiato magari ben oltre le aspettative. Se vi ricordate all'inizio dell'anno non erano in molti a credere nel suo rafforzamento e siamo certi che parecchi operatori hanno venduto allo scoperto, per poi dover prender atto che la scommessa l'hanno persa e si sono ricomprati il dollaro loro malgrado. Comunque tre giorni fa, uno degli strategist di UBS ci mette sull'attenti che, a loro giudizio, per fine anno il dollaro sarà quotato 1.27 contro euro e 0.87 cts contro franco: una piccola annotazione sul calendario l'abbiamo fatta, siamo proprio curiosi di vedere, se le rese saranno quelle attuali, come ci si arriverà a quei valori.
Dal momento che l'indice SMI è il paradiso della società value, non abbiamo infatti subito grossi scossoni. Tutto sommato sta egregiamente tenendo la sua posizione e non disperiamo che potrà anche sorpenderci e con un colpo di reni issarsi sopra gli 11'000 punti.
Da Bloomberg News (clicca sulla foto per una migliore lettura):
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