L'evento clou della settimana è sicuramente stato l'intervento di ieri del presidente della FED Powell , intervento parecchio atteso in quanto eravamo tutti curiosi di sapere come avrebbe giustificato l'aumento dei rendimenti, che da diverse settimane, sta interessando la parte lunga della curva dei tassi sul dollaro (nel grafico: rendimento del Treasury a 10 anni).
Ma in sostanza cosa ha detto, ridotto all'essenziale, Powell? Nella sua testa due cose gli sono chiare:
a) La crescita economica americana (GDP) è stata rivista al rialzo per il 2021 e dal 4.2% è stata aggiornata al 6.5% che vista così sembra quasi che si stia parlando della Cina. Due punti percentuali in più non sono noccioline, soprattutto se stiamo parlando, per il momento ancora, della prima economia mondiale. E' vero che la medesima crescita nel 2022, esaurita la spinta degli incentivi statali, si dimezzerà, ma comunque stiamo parlando di numeri di una certa consistenza.
b) Inflazione (ancora lei!). Oggi la corre inflation è ferma all'1.4%-1.5%, ma la FED prevede un 2.2% fine 2021, 2% nel 2022 e 2.1% per il 2023. Insomma, un spintarella al rialzo dei prezzi la mette in linea di conto, ma tutto sommato nulla di trascendentale e soprattutto nel discorso di Powell non v'è preoccupazione alcuna per un aumento così modesto.
Insomma, come dicono gli economisti, un discorso molto dowish, quasi avesse paura di svegliare il can che dorme, condito da una retorica molto formale e attenta a leggere bene quello che il gobbo davanti a lui gli stava suggerendo. Purtroppo non ha fatto i conti con un altro tipo di linguaggio, quello del corpo, che ci stava trasmettendo tutt'altro. Apparentemente compassato e sicuro di sé, in realtà, se lo si è osservato per bene, traspariva una sospetta rigidità ed una salivazione praticamente azzerata che lo costringeva a deglutizioni frequenti che ne interrompevano l'eloquio. Insomma, è abbastanza probabile che fosse consapevole di non credere fino in fondo a quello che ci stava dicendo. Ciliegina sulla torta l'ha messa quando qualcuno gli ha chiesto cosa intende fare per tenere calmierata la salita repentina delle rese sul lungo termine. Bellissima domanda, forse l'unica che veramente interessava coloro che lo stavano ascoltando: peccato che l'abbia completamente elusa... non un bel segnale.
In effetti convincere chi ti ascolta che l'inflazione possa restarsene buona buona al suo posto non è un esercizio da poco e devi essere dotato di una retorica che pochi presidenti di banche centrali hanno. Nelle scorse settimane abbiamo sottolineato come il pericolo inflazione sia tutt'altro che marginale e il mercato questo lo ha capito da un po', mercato che fra parentesi nella maggior parte delle volte si è mostrato in grado di fare previsioni migliori della FED.
Stamani, digerito il discorso presidenziale, il tutto si è concretizzato in un bell'aumento delle rese che qualche minuto fa hanno raggiunto 1.75% e sono indirizzate verso un 2% , che di questo passo, vedremo a breve. Movimenti simili si stanno avverando anche in Europa.
Rammentiamo che quando le rese del Treasury a 10 anni sono passate da 1.20% a 1.60% il Nasdaq, notoriamente avverso a questo genere di aumenti, ha perso quasi un 10% in pochi giorni. Un aumento da 1.60% al 2% lasciamo a voi immaginare quali potrebbero essere le conseguenze. Magari non un -10% , ma comunque avremo a che fare con un po' di volatilità. Oggi l'apertura del mercato americano non sarà bellissima e anche l'Europa sta girando in negativo. I dati sulla disoccupazione USA di oggi non sono buoni, altra tegola da digerire...
Comunque un aumento delle rese non è una tragedia per tutti. Banche ed assicurazioni potrebbero avvantaggiarsi ed è quello che sta succedendo, basta vedere come si stanno comportando i due settori nel mercato svizzero che sono i migliori del nostro listino.
Comunque sia, un po' di prudenza, la vorremmo consigliare.
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