Dicesi "bomba di teatro non strategica" un ordigno (anche nucleare) che può essere utilizzato su di un campo di battaglia vicino (nel senso che non necessita di un missile intercontinentale per essere trasportato) e che una volta che ha fatto il suo dovere ci lascia alle prese con effetti di radioattività ridotti. Saranno anche ridotti, ma pur sempre di radioattività stiamo parlando.
Di queste pillole atomiche, negli arsenali russi pare ve ne siano un paio di migliaia e ad un certo punto (se ricordiamo bene, mercoledì) Putin ha minacciato che potrebbe anche utilizzarle... Ce n'è a sufficienza per creare un po' di scompiglio nelle borse di mezzo mondo, come in effetti è accaduto.
Poi la notizia di stamani: sembra che la prima parte dell'intervento armato russo sia terminata ed ora i combattimenti si concentreranno più a sud-est nell'intento di annettersi definitivamente il Donbass, la Crimea e garantirsi l'accesso al mare sottraendolo definitivamente all'Ucraina. Vedremo lunedì mattina come i mercati accoglieranno la notizia.
Nel frattempo abbiamo notato come il VIX, il famoso indice della paura, sta segnalando un ritorno alla calma, quasi a dare praticamente per scontata una prossima cessazione del conflitto...
In effetti questo cambio di strategia è forse dovuto al fatto che l'esercito russo si stava impantanando in una guerra che da lampo, come doveva essere, si stava trasformando in un conflitto dalle tempistiche incerte e dalla non facile risoluzione grazie soprattutto alla tenacia degli Ucraini che fino ad oggi hanno venduto cara la pelle. Meglio quindi annunciare la fine della fase A ed avviare quella B, quasi a volerci convincere che questa tragedia sta andando come Putin l'ha programma.
Proprio ieri ci stavamo chiedendo cosa il presidente russo ha ottenuto da questa guerra. Brevemente siamo giunti a queste parziali conclusioni:
1) Di certo ha avuto il merito di ricompattare la Nato, che ultimamente non stava proprio godendo di una salute di ferro. Se prima dell'invasione dell'Ucraina una delle maggiori preoccupazioni di Putin (almeno così ha dato ad intendere) era avere una Nato a mezzo servizio sulla porta di casa, da oggi a maggior ragione dovrà preoccuparsi di non ritrovarsela, rinvigorita e ben tonificata, nel salotto buono: dipende solo da lui non fare un passo falso.
2) Possiamo quasi certamente dire addio al processo di globalizzazione come l'abbiamo vissuto fino ad oggi. E' da più di un anno che abbiamo capito che l'attuale modello di sviluppo economico va rivisto e corretto. Ma se qualcuno aveva ancora la speranza (non noi...) di vederlo rinascere, si metta l'animo in pace e lo dia pure per morto e sepolto. E' abbastanza certo che nel nuovo modello che dovremo adottare non vi sarà grande spazio per la Russia e la sua economia (che già oggi conta per uno scarso 2-3% del Pil mondiale). E' vero, il paese di Putin ha ancora riserve energetiche impressionanti e materie prime quasi indispensabili, ma è anche vero che non è l'unico ad averle...
3) Finirà che Putin dovrà guardare ad oriente ed è abbastanza probabile che cascherà nelle mani dei cinesi. La Cina in questi giorni è sicuramente seduta sull'argine del fiume ad aspettare che scorra il cadavere di un pezzo dell'ex impero sovietico. Siamo certi che non aspetta altro. Poi a Mosca arriveranno le Birkin e i Rolex taroccati e qualcuno dovrà dare delle spiegazioni ai Russi.
Ma torniamo a parlar di finanza e non possiamo fare a meno di focalizzarci sul tema più caldo del momento, ovverosia quell'inflazione che non accenna a diminuire e che probabilmente avrà effetti a lungo termine, sicuramente più evidenti di quelli lasciati dalla guerra in Ucraina.
Nel grafico viene riprodotta quelle che sono le aspettative di inflazione media per i prossimi 10 anni negli Stati Uniti (US Breakeven 10y infl. rates). Sappiamo che ad oggi l'inflazione americana è vicina all'8% e la FED farà di tutto per cercare di riportarla a livelli maggiormente sostenibili: malgrado tutto il suo impegno il mercato si aspetta che il valore medio dell'inflazione per il prossimo decennio sarà quasi del 3% ovverosia un punto percentuale superiore a quella programmata dalla banca centrale americana che sappiamo punta ad un rincaro di un paio di punti percentuali al massimo.

Come abbiamo già sottolineato più di una volta, questa situazione sta mettendo sotto forte pressione il comparto del reddito fisso che recentemente ha subito una delle correzioni più marcate degli ultimi 20 anni prevedendo che per ricaccciare il genio dell'inflazione nella sua lampada bisognerà alzare i tassi con un certo vigore.
I rendimenti del Treasury a 10 anni (2.47%) continuano a salire e probabilmente non si fermeranno prima di aver raggiunto il 3%. Chi sale comunque di gran carriera è il rendimento del Treasury a 2 anni che venerdi ha chiuso con una resa del 2.28% e se pensiamo che un anno fa rendeva lo 0.18% è evidente che di questo passo tenderà a rendere di più del decennale.
Quando le rese a corto sono più alte di quelle a lungo termine siamo in presenza di una curva inversa dei tassi: la statistica ci avvisa che ogni volta che questo fenomeno si presenta, lo stesso funge da anticipatore di svariati mesi di una recessione economica. La FED riconosce che l'economia americana è già in rallentamento: a dicembre stimava che l'economia USA nel 2022 sarebbe salita di un buon 4% ma ha già corretto la previsione riducendola ad un più realistico 2.8%. Vedremo più avanti se saremo, come le statistiche ci dicono, confrontati con una recessione.
Vogliamo comunque pensare positivo: come abbiamo detto uno simile scenario mette il comparto del reddito fisso parecchio sotto pressione ed infatti sta obbligando i grandi ed influenti investitori istituzionali ad una revione delle loro asset allocation alle quali hanno dato un taglio alle obbligazioni di circa un 10%. Tale liquidità rimane in conto corrente e verrà verosimilmente utilizzata per riequilibrare la posizione azionaria: sono centinaia di miliardi che con ogni probabilità sosterranno le borse azionarie. In questo senso ne stiamo già percependo i primi effetti in quanto da parecchi giorni tutto sommato i mercati non si stanno comportando malissimo.
Il Nasdaq, pieno di tecnologia che soffre quando i rendimenti salgono, si è tolto questa settimana dai minimi dell'anno...
...lo S&P500 sta addirittura incrociando tutte le medie mobili al rialzo e sembra aver voglia di invertire il trend ribassista (se incrocia la 100 giorni (verde) e si issa sopra i 4530 tutto è possibile).
La Svizzera non è da meno e lo SMI venerdi ha chiuso a 12'121 punti ben al di sopra del supporto dei 12'080. A dir la verità ci fa un po' paura il gap (segnalato dalla freccia rossa) che sappiamo che presto o tardi dovrà essere colmato: quindi se vedremo il nostro indice attorno agli 11'700 punti non ci spaventeremo più di tanto...
Già che ci siamo, per terminare, diamo un'occhiata ai cambi dove risalta la tonicità del franco svizzero:
Euro/chf punta sempre verso la parità. Non è escluso che se effetivamente i venti di guerra dovessero affievolirsi potremmo anche annotare un recupero dell'euro; lo vedremo la prossima settimana.
Dollaro/chf: venerdi ha chiuso a 0.93 la seduta regolare. Francamente , considerata la dinamica dei tassi americani, ci saremmo aspettati dal dollaro un movimento di apprezzamento verso lo 0.94. Evidentemente ci siamo sbagliati...
Euro/usd: siamo a 1.10. Tecnicamente ci sembra di aver visto la formazione di un triangolo (rosso) che verrà sicuramente bucato la prossima settimana: se verso l'alto potremmo avere un target attorno all'1.13 mentre se la rottura sarà ribassista lo potremmo rivedere a 1.07.
Godetevi il week end!
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