sabato 10 settembre 2022

Ancora due ma meno di cinque.


 

Giovedì pomeriggio al BCE ha provveduto al secondo aumento dei tassi guida e si è lanciata in una operazione da 75 punti base come non si è mai vista. Ne eravamo quasi certi,  ma un paio di giorni prima si stava facendo strada anche l'ipotesi di un intervento meno invasivo, onde evitare reazioni di panico (che poi non ci sono state...),  replicando quello di 50 punti della volta precedente.

75 punti base non sono pochi ma forse andavano meglio giustificati. La reazione degli addetti ai lavori non è tardata ed il giorno successivo non sono stati teneri con la Lagarde... Eccovi un piccolo assaggio di quanto si poteva leggere sui giornali:

"Sull'inflazione Lagarde brancola nel buio. Una decisione (quella dei 75 bis) ampiamente scontata condita da parole vuote sul futuro. Più che dare un messaggio credibile, l'obiettivo è sembrato quello di tirare a campare (...) I mercati, le famiglie e le imprese devono convincersi che la banca centrale non solo sa quello che fa, ma si impegna anche a farlo. Occorrono annunuci vincolanti che definiscono la strategia di normalizzazione monetaria (...) E invece no. Christine Lagarde ci dice candidamente che nessuno sa dove si vuole andare. Certo ci informa che i tassi si alzeranno; perché e come, però, nessuno lo sa. La formula magica è quella di dire che tutto dipende dai dati - senza specificare quali - e aggiungere che le scelte saranno prese di volta in volta." (Il sole24ore)

 Credo che basti. Avete sicuramente capito che aria tira. Magari noi saremmo stati un pochino meno severi in quanto è abbastanza facile provare che la cosiddetta "forward guidance", che è quanto richiesto dal severo articolista poc'anzi citato,  in passato non ha proprio dato prova di essere uno strumento facile da maneggiare e anche i risultati non sempre sono stati all'altezza delle aspettative. Forse è effettivamente meglio che la BCE possa mantenere una certa flessibilità, anche perché è confrontata ad uno scenario geo-politico che potrebbe scoinvolgere gli scenari, nel bene e nel male, molto rapidamente.

Ma cosa ha detto in definitiva Lagarde? Non molto ma abbiamo rilevato, oltre all'ammisione di essersi sbagliata in numerose occasioni,  quanto segue:

1) Altri aumenti sono in arrivo: "almeno altri due ma meno di cinque..." Come abbia fatto a stabilirlo non è dato sapere .

2) L'inflazione per  il 2022 sarà dell'8.1%. (non scenderà quindi molto velocemente...)

3) La crescita del PIL europeo per il 2023 è rivista al ribasso: dal +2.1% allo 0.9%. Di conseguenza peggiorerà anche l'occupazione.

4) Non prevede nessuna recessione: un rallentamento si , ma l'entrata in una sorta di stagflazione la esclude. Sarà come dice lei, ma noi non ce la sentiamo di escludere completamente uno scenario recessivo che rimane sempre parcheggiato nel retro della nostra testa.




Siamo tutti sufficientemente consapevoli che i guai europei sono innanzitutto generati dal prezzo del gas (nel grafico la quotazione del future ad 1 mese).  Sono settimane che andiamo ripetendo che per vedere un effettivo miglioramento dello stato di salute del rincaro europeo, più che un aumento importante dei tassi, sarebbe indispensabile un ritracciamento dei costi dell'energia dei quali il gas è il principale responsabile.

La riunione dei 27 ministri dell'energia di ieri ha partorito, ma non evevamo dubbi, un piccolo topolino che però è già un passo avanti verso quello che dovrebbe essere il price cap da applicare al prezzo del gas. Se ne parlerà ad ottobre (forse un pochino tardi) ma purtroppo i negoziati saranno complessi e non se ne verrà fuori tanto velocemente.  Ancora troppi paesi europei non possono fare a meno del gas russo (forniture che comunque si sono notevolmente ridotte: dal 40% all'attuale 9%) e questo Putin lo sa. Accogliamo comunque con piacere la  correzione di queste ultime settimane che ci da un po' di respiro. 

Ma anche in questo caso non abbassiamo la guardia: il prezzo del gas in questo periodo, dove tutti lo vogliono e pochi lo vendono, può subire, a causa della sottigliezza dei volumi, sbalzi di prezzo impressionanti che causano problemi a non finire a chi il gas lo vende a termine. Per chi ha voglia di leggere, abbiamo allegato alla fine del nostro intervento un articolo di Federerico Fubini che spiega bene cosa sta succedendo e perché, almeno per questa volta, non si può dare tutta la colpa ai soliti movimenti speculativi.


Ma torniamo al rialzo dei tassi in europa: le conseguenze sono state due e una delle due non rientrava nelle nostre aspettative...


Il dollaro ha perso qualche posizione: normale. Con la diminuzione dello spread tra i rendimenti americani e quelli europei, un minimo di ritorno sull'euro ce l'aspettavamo. Quanto potrà durare? Dipenderà dalla prossima mossa della FED ma sospettiamo non troppo. Le rese sul dollaro sono ben altra cose di quelle espresse in euro e lo stato di salute di salute dell'economia americana, tutto sommato  discreta,  torneranno a calamitare il dollaro verso l'altro. Un dollaro eccessivamente forte può generare qualche problema soprattutto ai paesi in via di sviluppo che hanno contratto debiti (pesanti) in valuta americana: nessuno, america compresa, ha voglia di capire cosa può succedere se questa parte del mondo dovesse andare in profonda crisi anche a causa del dollaro forte... quindi benvenga un po' di correzione e potrebbe già essere utile se il dollaro continua nel suo spostamento laterale tra lo 0.99 e 1.01.



Chi ieri ha festeggiato l'aumento dei tassi (ammettiamo che facciamo fatica a capire...) sono le borse: è probabile che stiano già scontando la riduzione del prezzo del gas e il relativo ridimensionamento dell'inflazione ma ci pare una reazione un po' affrettata... Ovviamente non ci lamentiamo più di tanto ma  comunque questo comportamento, un po' fuori dalle righe, ci fa pensare.



Lo S&P500 si è mangiato in un sol boccone la media mobile a 50 e 100 giorni. Addirittura quella a 50 (viola) sta incrociando al rialzo quella dei 100 ( verde) e potrebbe essere un buon segnale per una ripartenza in grande stile. I volumi sono buoni e leggermente sopra la media cosa che potrebbe facilitare il movimento verso l'alto. Vi invitiamo comunque a riflettere sul fatto che l'economia made in USA è in una situazione ben diversa da quella europea e giustifica in parte i movimenti appena descritti.



La borsa svizzera per contro, pare più orientata verso un movimento laterale. Non sembra avere per il momento la forza di ergersi oltre e le rotazioni settoriali sono quasi giornaliere vanificando un deciso movimento rialzista, movimento che potrebbe diventare tale sopra gli 11'000 punti: non siamo lontanissimi,  ma prima di togliere eventuali protezioni vorremmo vedere un superamento di tale livello tecnico. RSI neutrale e non lascia troppo spazio all'immaginazione,  mentre la media mobile dei 50 giorni (viola, sorry poco visibile nel grafico) sembra voler fare da resistenza.



Anche il DAX (non necessariamente in questo momento la borsa più rappresentativa a livello europeo...) sembra volersi scostare dai minimi dei 12'500/600 punti. L'aumento dei tassi può dare un certo slancio soprattutto al settore bancario e in parte assicurativo;  come a dire che non tutti i mali vengono per nuocere. In effetti stiamo rimettendo sotto la lente di ingrandimento questi settori e non escludiamo che potebbero anche venir comprati...


Ok, basta così. Godetevi il week end!

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Crisi energetica, perché si rischia un altro caso Lehman

di Federico Fubini, Corriere della Sera, 06 set 2022

Il grande crash di Lehman fu il processo di scoperta — prima lento, poi precipitoso — delle falle nascoste che Wall Street non sapeva di avere. Ne impediva la vista la certezza ideologica di avere un mercato efficiente. Così perfetto che avrebbe aggiustato da sé eventuali guasti. E almeno in questo le conseguenze economiche della guerra in Ucraina rischiano di diventare una replica di quel punto di rottura del 2008, ma stavolta per il sistema europeo dell’energia.

Così almeno pensa il ministro finlandese dell’Economia Mika Lintilä, che domenica ha varato un soccorso pubblico da dieci miliardi di euro per le imprese elettriche del Paese mentre il governo svedese ne annunciava uno da 23 miliardi per le proprie. Questa situazione «ha gli ingredienti per diventare una Lehman Brothers del settore dell’energia», ha detto Lintilä. E davvero oggi l’Europa del gas e dell’elettricità vive una dinamica che ricorda il modo in cui quel crollo del 2008 partì da un angolo opaco del mercato — i subprime — per svelare falle sistemiche ovunque.

Il taglio delle forniture

Il punto di partenza oggi è il taglio delle forniture messo in atto dalla Russia per far esplodere i prezzi del metano. Se Vladimir Putin ricorre alla ritorsione, è perché le sanzioni evidentemente mordono e il dittatore di Mosca cerca di spingere l’Europa a rimangiarsele. Spera che la sua strategia propaghi un’onda d’urto a cerchi concentrici, che sveli una dopo l’altro le vulnerabilità e gli angoli oscuri dell’architettura europea dell’energia. Uno di essi si trova a Lipsia, in Sassonia. Si chiama European Energy Exchange (Eex) e ha come azionisti Deutsche Börse al 75%, ma anche Enel all’1,59%, Edison allo 0,5% e Électricité de France allo 0,45%: è la principale piattaforma del continente per lo scambio di contratti future dell’elettricità. Ogni mese circa cinquecento produttori elettrici dell’Unione europea vi vendono i loro megawattora attraverso contratti che li impegnano alla consegna di quantità ben precise tra uno, due o tre anni a prezzi prefissati fin da subito.

Sembra un mercato perfettamente efficiente o, come lo ha definito il suo direttore generale Steffen Köhler giorni fa, «essenziale per la sicurezza e la trasparenza dei prezzi». In tempi normali, forse. In questi tempi di guerra economica con Putin invece i suoi meccanismi finanziari minacciano di innescare una catena di default per molte decine di miliardi di euro e di obbligare i governi a salvataggi delle imprese elettriche a spese di contribuenti prima ignari, poi furibondi. Il governo finlandese con dieci miliardi di garanzie pubbliche, la Svezia con 23 e la Germania con almeno undici miliardi impegnati per il gruppo dell’energia Uniper stanno già aprendo la strada. La Francia sta nazionalizzando Edf. In fondo, ripetono tutti ciò che fecero molti governi occidentali per le banche oltre dieci anni fa.

Le richiesta di garanzie

Oggi l’esposizione finanziaria delle imprese elettriche a causa dei meccanismi della piattaforma Eex di Lipsia, del resto, è colossale: circa duecento miliardi di euro accumulati quasi tutti negli ultimi mesi — secondo stime dell’industria — di cui circa trenta o quaranta in più solo nella giornata di ieri con il balzo dei prezzi dell’energia. È bastato che Gazprom prolungasse la chiusura del gasdotto Nord Stream 1, innescando rialzi violenti degli indici sulle piattaforme del gas e dell’elettricità, perché centinaia di imprese dovessero attingere alle loro linee di credito con le banche per versare nuove garanzie all’Eex. Ogni strappo all’insù dei prezzi costringe i produttori elettrici partecipanti al mercato di Lipsia a nuovi pagamenti: anche se le quotazioni sono già salite di dieci volte e più; anche se esse sono il frutto teorico — prodotto da un algoritmo — di scambi che non avvengono neanche più su questa piattaforma di Lipsia, perché ormai è molto povera di liquidità. Anche se domanda e offerta non s’incontrano e lo scambio non avviene, l’intelligenza artificiale fissa il prezzi al rialzo.

Le regole

L’innesco è tecnico. Come fossero puri trader, i produttori elettrici che vendono con contratti a termine (per esempio: consegna di una certa quantità nel settembre 2024 a 200 euro a megawattora) sono costretti a versare garanzie alla borsa di Lipsia ogni volta che il prezzo sale oltre quello previsto dai loro contratti. Il presupposto è che il venditore in teoria potrebbe dover comprare le quantità che poi si è impegnato a fornire, quindi la borsa vuole essere certa che l’operatore abbia i soldi per farlo. È il metodo che si applica ai trader sui future, ma queste aziende non hanno bisogno di acquistare materia prima perché la producono in proprio. Ormai lo stress finanziario di alcune di esse è tale che alcune banche ne hanno già liquidato le posizioni per recuperare parte dei crediti, facendo saltare le forniture di energia.

Di recente le compagnie elettriche hanno chiesto all’Eex di cambiare le regole, ma il vertice di Lipsia ha risposto loro di farsi aiutare dai governi — ha detto — come ha già fatto la Germania. Ora il sistema cammina su ghiaccio sottile. Di recente la liquidità degli scambi è stata di meno di centomila euro al giorno sui future a un anno e praticamente zero su scadenze più lunghe. Basterebbero spiccioli a Gazprom per manipolare il sistema al rialzo tramite un trader corrotto: gli algoritmi di Lipsia fanno impazzire le quotazioni elettriche d’Europa verso l’alto anche sulla base di offerte minuscole, su scambi che non si concludono. Così i produttori s’indebitano sempre più per versare altre garanzie. E la falla nel sistema del mercato perfetto, ai tempi di Putin, diventa voragine.


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