domenica 28 maggio 2023

Germania in recesione tecnica

"Frankfurt, we have a problem!"  Chissà dov’era la Lagarde quando a metà della settimana è stata raggiunta della notizia che la Germania è in recessione tecnica ( due trimestri consecutivi di crescita economica negativa). Ora chi avrà il coraggio di dire al più convinto dei falchi, quel Klaas Knot che tra le altre cose è presidente della Banca Centrale Olandese e del Financial Stability Board, che non si potranno alzare i tassi ad oltranza e soprattutto non potranno restare alti troppo  a lungo? Infatti  ad essere in recessione tecnica non sono le solite economie della periferia a sud dell'Europa, quelle che vengono sempre rimproverate di avere un buon potenziale, che non si impegnano come dovrebbero per realizzarlo ma che attualmente, bisogna ammetterlo,  non se la stanno cavando male! Qui stiamo parlando della prima della classe e della sua industria trainante, quella dell’auto, che per troppo tempo ha cincischiato attorno ai veicoli elettrici ed ora è in ritardo nei confronti della concorrenza internazionale. Pare che anche il commercio con la Cina, a sua volta parzialmente in crisi, non sta facendo faville ed i Tedeschi, a fare affari con la prima econonomia asiatica, ci contano molto, forse troppo.





Comunque sia, uno studio della Commissione europea (immagine tratta dal CdT del 22.05.23) prevede che in Europa saremo presto confrontati "solo" con un rallentamento e non una vera e propria recessione ed in teroria già il prossimo anno la crescita dovrebbe segnare un miglioramento. Ciò  non toglie che quest'anno vedere la Germania praticamente marciare sul posto fa un certo effetto e se fino a qualche giorno fa davamo per scontato che i tassi sarebbero saliti fino a quando non ci fosse un chiaro segnale di inversione della pressione inflazionistica, dobbiamo forse rivedere i nostri piani ed ammettere che un paio di aumenti dello 0.25%, già scontati dal mercato,  potrebbero bastare,  altrimenti si rischia d'imballare eccessivamemente il motore della crescita europea e magari di spedirla in recessione anche prima di quando ci entrerà l'America. Vedremo il 15 di giugno cosa ci dirà la BCE


Comunque anche le cose al di là dell'Atlantico non sono semplicissime ma qualche spiraglio di ottimismo lo possiamo intravvedere. 


Lo scontro sul debt ceiling tra Democratici e Repubblicani sembra essere in dirittura d'arrivo. Il D-Day, quello del possibile Default dell'economia americana, è stato spostato dalla Jellen al 5 giugno: sospirione di sollievo! Lunedì gli americani potranno godersi il Memorial Day in santa pace e nel frattempo ci sono ancora alcuni giorni per limare il compromesso che i due Partiti hanno raggiunto. Pare che sia un accordo di principio che non accontenterà tutti ma saranno comunque in molti a beneficiarne: Biden ha ottenuto due anni di aumento del tetto dell'indebitamento in cambio di alcuni tagli ai programmi federali. Mercoledì 31.5 si dovrebbe andare al voto e, come da copione, si metterà anche per questa volta la parola fine ad una vicenda che, per quanto abbia un finale più che scontato, non piace ai mercati.





Archiviato il problema del debito pubblico possiamo tornare a concentrarci sul rincaro americano.  Quello sì che è un problema! Il PCE pubblicato venerdì è lì a dimostrarcelo: gli americani continuano imperterriti a consumare. La crescita di questo indice era attesa al 4.3% (precedente: 4.2%) ma è in effetti al 4.4%. Eravamo convinti che la FED fosse pronta a rinunciare, almeno momentaneamente, ad un ulteriore aumento dei tassi dello 0.25% ma non ne siamo più così sicuri. Nemmeno il mercato lo è, considerato che stima al 71% la probabilità che il 14 di giugno i tassi saliranno di un quarto di punto...



... e nel frattempo i rendimenti sul dollaro continuano a salire ed il 2 anni (in nero nel grafico) sta puntando nuovamente al 5%.


Prossimamente dovremo occuparci più approfonditamente di Intelligenza Artificiale (AI),  un fenomeno che sta mettendo le ali al Nasdaq grazie alla sua concentrazione di società che della AI dovrebbero approfittarne a piene mani. Come al solito, non avendo ben capito chi sarà o saranno le società vincitrici di questa corsa, si sta comprando di tutto un po' ed il Nasdaq ride. Siamo comunque alle solite: lo stesso fenomeno lo avevamo visto con le dot com di inizio millennio e con le crypto currencies recentemente ma sappiamo che non saranno in molte a sopravvivere. Bill Gates ci mette sull'attenti che Google e Amazon potrebbero anche soffrire parecchio surclassate dai miracoli della AI ed il futuro sarà nelle mani di qualche start up che per il momento non ha ancora visto la luce o che sta facendo i primi passi (ne cita una: Inflection.ai) in direzione della creazione di un vero e proprio "assistente personale" che manderà in pensione gli scarsi Siri & compagni.
Purtroppo come ogni nuova tecnologia s'intravvedono arrivare problemi all'orizzonte: abbiamo partecipato venerdì in serata alla conferenza, organizzata dalla Fondazione Eranos, di Silvano Tagliagambe un noto fisico e filosofo che ci ha deliziato con una relazione affascinante sul futuro del metaverso e dell'intelligenza artificiale che per il momento ha dei grossi limiti da superare in quanto sembra, se ben abbiamo compreso,  che i processi che sottostanno al suo andamento si accontentano di rilevare e segliere delle "correlazioni che funzionano" secondo un punto di vista statistico SENZA star lì troppo a chiedersi il perché funzionano. Poi rincara la dose e sottolinea che non è ancora detto che una "correlazione che funziona" sia anche la migliore delle soluzioni che stiamo cercando per risolvere i nostri problemi o per migliorare la nostra vita quotidiana . In sostanza, si chiede il filosofo intuendo il pericolo, siamo forse all'inizio della fine della ricerca scientifica che non si accontenta di una semplice correlazione tra due variabili ma approfondisce e va oltre la semplice valenza statistica? Siamo certi di voler andare in questa direzione?  
Sulla presunta creatività della AI si è comunque espresso in termini positivi anche se allo stato attuale sembra che l'afflato creativo duri pochi minuti e poi tutto il resto è ripetitività e noia come comunque succede spesso anche a molti creativi nel modo reale. Per il momento estrosità e fantasia saranno fornite in dosi omeopatiche, mentre dovremmo fin da subito allenarci a capire il più presto possibile se quanto propinatoci dall'AI rientrerà nella catogoria del "fake", una categoria che porebbe essere già nel breve termine molto affollata: a tal proposito l'altro giorno circolava nel web una foto del Pentagono in fiamme, frutto appunto della creatività dell'AI, foto che è costata alle borse americane 500 miliardi di capitalizzazione subito recuperati una volta che la bufala è stata chiarita. Non bello e purtoppo siamo solo agli inizi...  Sul tema della AI ci ritorneremo di sicuro.

Abbiamo fatto accenno al Nasdaq, vediamo cosa è successo questa settimana:



La scorsa settimana avevamo segnalato che la direzione di questo indice puntava ai 13'000 punti e ci è arrivato anche prima del previsto aiutato dai risultati strepitosi di Nvidia e appunto da tutta la fantasia che si è scatenata attorno all'intelligenza artificiale. Siamo ovviamente sempre in presenza di una situazione di ipercomprato ed immaginare dove può ora spingersi questo indice non è facile. Più probabile che si assista ad una presa di profitti prima di tentare il superamento dei 13'000 oltre i quali non intrevvediamo grossi impedimenti fino ai 13'500 punti. Ma ripetiamo, non tutti i titoli di questo indice stanno salendo, putroppo... e non da ultimo i rendimenti che continuano a rafforzarsi  presto o tardi si faranno sentire. E' noto che il Nasdaq non ama le alte rese.


Anche lo S&P500 ha approfittato del clima positivo creatosi dopo la pubblicazione dei numeri di Nvidia che ha spinto l'indice nuovamente verso quota 4200 e lì si è fermato confermando la tenacità di questa resistenza. Lunedì la borsa americana è chiusa, martedì in attesa del voto (scontato) sul debt ceiling non si prendono rischi. Mercoledi finalmente si vota, il risultato è scontato,  e se è vero il detto che bisogna vendere sulle buone notizie (sell on good news) potremmo anche assistere a qualche presa di profitto. Nel frattempo la settimana è diventata corta e non molto succederà ancora.


In apertura del nostro intervento abbiamo parlato delle difficoltà della Germania che si sono riverberate anche sul suo indice principale, quel DAX che comunque da inizio anno ha fatto bene (+14.8%) ma che ovviamente non poteva restare impassibile davanti alla notiza di una recessione tecnica: la reazione c'è stata (cerchio nero). A 16'300 punti c'è comunque una resistenza non facile d superare. Per il momento la media mobile a 50 giorni sembra voler fare da supporto... vediamo domani se ci sarà un rimbalzo ma per il momento il potenziale ci sembra limitato.


Lo SMI ha avuto una settimana incolore e le prese di profitto hanno per lo meno avuto il pregio di riportare l'oscillatore RSI in zona neutra. Volumi sempre piuttosto inconsistenti e la performance settimanale è stata salvata venerdi in prossimità della chiusura. Vedremo se riuscirà ad issarsi nuovamente verso quota 11'600 ma,  con la chiusura di domani e la probabile poca vivacità dei mercati americani fino a mercoledì,  non succederà nulla... speriamo nella Roche che sembra esser sulla giusta via della ripresa (ma che fatica!)




Quando i rendimenti americani salgono il dollaro è sempre pronto a sfruttarli e così è stato anche questa settimana. Si parla molto di de-dollarizzazione ed anche noi affronteremo il tema  prossimamente, ma per il momento il dollaro è pure sempre il dollaro e sta puntando contro chf, nel breve,  a consolidare il superamento di quota 0.90 e non ci meraviglieremmo più di tanto se ce lo troviamo a 0.91 nei prossimi giorni soprattutto se la tendenza al rialzo dei rendimenti continuerà.



Anche contro euro il dollaro sta continuando a rafforzarsi: a brevissimo è adagiato su un debole supporto e con un RSI in chiaro ipervenduto (freccia verde)  non è escluso un rimbalzino dell'euro, ma la tendenza per il momento ci sembra chiara...


...è altrettanto chiara la tendenza dell'euro contro chf come confermato anche dalle medie mobili: non siamo molto lontani dal supporto sito a 0.9683,  valore sotto il quale iniziamo a preoccuparci seriamente e se serve saremo anche pronti ad un alleggerimento.... vogliamo però prima avere la conferma che non ci sarà un rimbalzo suggerito anche da un RSI in ipervenduto.

Godiamoci la domenica!


domenica 21 maggio 2023

Sell in may? Pare non sia il caso

 Da qualche settimana ci stiamo chiedendo il motivo di questa calma apparente che sta caratterizzando i mercati azionari ed inevitabilmente ci è venuto alla mente il buon vecchio detto "sell in may and go away". E' una espressione che circola da sempre nelle piazze finanziarie di mezzo mondo ed invita l'investitore a disfarsi delle proprie azioni durante il mese di maggio e, in attesa di tempi migliori, ad occuparsi d'altro... go away è senz'altro un invito a prendersi per lo meno una bella vacanza.  Sembra una butade da almanacco finanziario ed in effetti, come vedremo alla fine del nostro intervento, un po' lo è e quindi, tranquilli, non è un invito che prendiamo troppo sul serio...

Ciò non toglie che quest'anno, in contomitanza con il mese di maggio, gli investitori si sono presi una bella pausa di riflessione. Non hanno venduto (pochi o quasi nessuno l'ha fatto) ma sono rimasti alla finestra ad osservare e qualcuno, a giudicare dai volumi,  in vacanza ci è andato veramente... poi venerdì, ma il motivo ci sfugge, son tornati a comprare con maggior decisione.



A ben guardare la vacanza se la sono presa soprattutto gli europei... I volumi in America sono in effetti piuttosto nella norma con una leggera tendenza alla salita verso la fine della settimana. Ancora una volta il livello dei 4200 punti dello S&P500 non sembra facile da superare: ci siamo riusciti un attimo lo scorso venerdì ma verso la chiusura siamo tornati leggermente sotto la resistenza a causa di una momentanea pausa di riflessione tra Biden e i Repubblicani a proposito del plafone del debito pubblico seguita da una dichiarazione della Jellen dove afferma che purtroppo le difficoltà del sistema bancario americano non sono finite e molti istituti dovranno pensare seriamente a fondersi con altri se vorranno sopravvivere. Ciò non toglie che la voglia di superare quota 4200 è intatta e con un po' di perseveranza e qualche buona notizia la prossima settimana potrebbe essere la volta buona...


Nel frattempo la precisione del modello di Ned Davis sta diventando sempre più piacevolmente sorprendente e se continua ad aver ragione abbiamo davanti a noi ancora diverse settimane prima di assistere allo spostamento laterale dello S&P500 che a partire da metà luglio ci dovrebbe accompagnare fino alla fine dell'anno. Se così fosse, ci mettiamo una firma. Vedremo nelle prossime settimane, tanto per cercare di passare un'estate tranquilla, se sarà il caso di alleggerire verso la fine di giugno.



Il Nasdaq, che da settimane cercava d'issarsi sopra i 12'500 punti, ce l'ha fatta malgrado i rendimenti sul dollaro stanno virando, come vedremo dopo, nuovamente verso l'alto. Next stop per questo indice: 13'000 punti ma attenzione, siamo in zona di ipercomprato (cerchio rosso); qualche presa di profitto è sempre in agguato. Siamo comunque in presenza di un comparto che si nutre delle enorme aspettative che girano attorno all'intelligenza artificiale: in merito non abbiano ancora le idee molto in chiaro e quindi per il momento preferiamo rivolgere la nostra attenzione alle società tecnologiche mature e che grazie a questo nuovo tipo di tecnologia (definirla intelligenza ci pare ancora un pochino presto) riusciranno ad aumentare ulteriormente i già grassi profitti. Puntare solo sulle startup che si occupano di sviluppare l'intelligenza artificiale ci sembra un po' avventato ed il rischio è quello di far la fine, come all'inizio del nuovo millennio, di centinaia se non migliaia di nascenti dot com che sono poi sparite nel nulla...



L'Eurostoxx50 ha vissuto venerdì una giornata decisamente positiva ed ha visto pure il ritorno degli investitori dopo un paio di settimane dove i volumi erano costantemente al ribasso: non stiamo parlando di un ritorno in massa ma comunque è stato sufficiente per spingere l'indice in prossimità della resistenza dei 4'400 punti e lì si è fermato. E' un livello che sta diventando sempre più significativo ed il suo superamento (che deve essere assolutamente confermato appunto dai volumi) può dare continuità al movimento rialzista avviatosi nel mese di settembre dello scorso anno. Vedremo la prossima settimana se ci saranno degli storni e prima di comprare aspettiamo la rottura della resistenza.


Anche lo SMI sta consolidando le sue posizioni e gli 11'600 punti sono la nuova soglia da superare prima di vedere ripartire il trend rialzista avviatosi nel mese di marzo. Venerdì i volumi sono tornati a crescere ed è fondamentale che questa tendenza perduri anche la prossima settimana altrimenti sospettiamo che continuermo a spostarci lateralmente. Ci scusiamo per non aver visto che l'RSI è illeggibile ma siamo sempre in zona ipercomprato... Prudenza.



In generale le performances dei principali mercati azionari sono soddisfacenti, con un'Europa (EMEA) che per una volta sta battendo quelli americani: lo SMI potrebbe fare di più ma avremmo bisogno di un settore farmaceutico più pimpante anche se piano piano il suo trend sta migliorando. Fanalini di coda sono l'Hang Seng e il CSI 300 schiacciati dall'attuale debolezza del ciclo economico cinese.

Cosa potrebbe rovinare la festa? A brevissimo possiamo solo pensare al dibattito, che nei prossimi giorni diventerà sempre più intenso,  e che riguarda il tetto al debito pubblico americano. Vi ricordiamo che potenzialmente gli Stati Uniti sono ad un passo dal fallimento ma è una storia che abbiamo già visto ed ha un finale più che scontato. Comunuque prima di ottenere l'autorizzazione per un ulteriore rialzo, che sopraggiungerà in zona Cesarini, il dibattito tra Biden e i Repubblicani diventerà caldissimo e saranno necessarie diverse concessioni prima di arrivare a mettere un punto su questa vicenda. Se ricordiamo bene,  nel 2013 i Repubblicani ottennero cospicue riduzioni fiscali  e se rammentiamo altrettanto bene i mercati, malgrado lo scontato happy ending,  erano comunque entrati in fibrillazione...


...ma per il momento non ci sembra che gli investitori siano preoccupati più di tanto,  come sta ad indicare il VIX sempre più vicino ai livelli mediani pre-pandemici (linea verde). Se è tranquillo il VIX per il momento lo siamo anche noi. (Se qualcuno vuole chiarisi le idee sull'indice di volatilità VIX, abbiamo trovato un video di un paio di minuti (in inglese ma più che comprensibile) che vi invitiamo a visionare: clicca qui)

Abbiamo gettato un'occhiata anche all'equity put-call ratio che con uno 0.56 è molto rassicurante (dobbiamo essere preoccupati quanto questo indicatore supera l'1; è neutro attorno allo 0.65: sotto questo valore significa che gli investitori sono rilassati e si stanno assicurando meno del solito contro gli imprevisti).

Vedremo nei prossimi giorni se questa calma è quella che precede una tempesta...


Se il comparto azionario ci sta dando delle soddisfazioni, non possiamo dire di essere particolarmente compiaciuti della performance obbligazionaria che risulta essere prigioniera dell'inflazione e di quanto si sta facendo per combatterla.



Putroppo i rendimenti dei Treasury americani stanno tornando a salire e temiamo che continueranno a farlo anche durante la prossima settimana quando il dibattito sul debito pubblico americano entrerà nella sua fase calda. Sicuramente a qualcuno verrà in mente di vendere ancora un po' di quel debito che potenzialmente rischia di non esser più ripagato...



Riproponiamo il Bloomberg US Corporate Total Return Value dove appare chiaro che nei giorni scorsi circa la metà della performance da inizio anno è andata momentaneamente persa: stiamo parlando del 2.5% e non è poco.  Per completezza d'informazione vi rammentiamo che un Total Return o Rendimento Totale comprende gli interessi, le plusvalenze, i dividendi e le distribuzioni realizzati in un determinato periodo di tempo ed è quindi un valido indicatore di performance;  nel caso specifico stiamo parlando dell'universo delle obbligazioni societarie in dollari americani (che è quello che finisce di norma nei nostri depositi oltre ai Treasury).



Lo stesso discorso vale per il Bloomberg EuroAgg Total Return Index  in euro dove la situazione non è migliore di quella in dollari, anzi, è pure peggio: il guadagno da inizio anno è dell'1.35% ed il trend non ci sembra dei migliori. In effetti abbiamo già sottolineato che la politica monetaria della BCE rimarrà ancora per un po' restrittiva ed in effetti il comportamento delle obbligazioni è coerente. 



Il dollaro, come avevamo previsto la scorsa settimana,  sta continuando a rafforzarsi: contro euro è in prossimità di un supporto (linea nera) non pariticolarmente significativo ma sufficiente per vederlo rimbalzare; se invece viene sfondato possiamo attenderci a breve un dollaro attorno all'1.06 soprattutto se i rendimenti continueranno a salire.



Anche contro chf il trend rialzista (canale tratteggiato) sta continuando: una prima media mobile (50 giorni in viola) è stata forata verso l'alto ed ora punta a fare lo stesso con quella a 100 giorni. Non siano ancora nell'ipercomprato e di spazio per salire ne abbiamo. In sostanza la perdita che il dollaro aveva accumulato da inizio anno contro franco è stata dimezzata. Bene così.

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Prima di terminare ci siamo voluti togliere una curiosità: "sell in may and go away" ha una precisa valenza statistica oppure è solo un modo di dire? Si da inoltre per acquisito che una volta venduto e andati chissà dove, viene comunemente indicato il mese di novembre come il momento migliore per rientrare nel mercato. Per la nostra piccola verifica abbiamo preso il valore dello S&P500 ad inizio maggio ed ad inizio novembre: se il "sell in may and go away" è veritiero, a novembre noi dovremmo poter ricomprare l'indice ad un valore inferiore  rispetto a quello ottenuto dalla vendita dello stesso al primo maggio:


La nostra verifica è statisticamente poco siginificativa e ne siamo consapevoli ma non abbiamo l'intenzione di scrivere un trattato di finanza applicata. E' comunque significativo che dal 2000 al 2022, 8 volte su 23 osservazioni (35%) possiamo dire che vendere a maggio e ricomprare a novembre sarebbe stata una mossa corretta.  Significa pure che quasi i due terzi del nostro campione ha dato un esito negativo e ce n'è abbastanza per considerare il sell in may and go away una simpatica rima piuttosto che un'indicazione operativa da seguire con scrupolo.  Se consideriamo poi gli anni 2001, 2002 e 2008, dove le minus valenze sono di un certo peso, le stesse si sono materializzate durante i mesi di settembre ed ottobre che francamente a noi paiono più pericolosi del mite mese di maggio. 

Ma forse l'osservazione da fare è un'altra: nel maggio del 2000 avevamo lo S&P500 a 1468 punti e ce lo siamo ritrovati nel novembre 2022 a 3856 e a maggio del 2023 a 4191 punti ovverosia 2723 punti in più! Il che corrisponde ad una performance del 185% (7.70% annualizzato) e questo malgrado la tradegia delle Torri Gemelle del 2001, il fallimento della Lehmann del 2008 e la pandemia del 2020... a dimostrazione che nel lungo termine la borsa, malgrado i mal di pancia che ci provoca, è sempre un bel posto dove investire un po' dei nostri risparmi (non tutti ovviamente... :-) ).

Buona domenica!


domenica 14 maggio 2023

Inflazione: la discesa rallenta?

Rieccoci costretti nostro malgrado a parlare ancora d'inflazione, non tanto perché l'argomento ci appassiona, ma perché, facendo riferimento a quella americana, è stato il dato macro più importante della settimana e per tre giorni non si è parlato d'altro.  Analisti ed economisti si stanno incaponendo attorno a questo tema nel tentativo d'intuire quanto tempo impiegherà l'inflazione a ritornare vicino a quel 2% che è la soglia di tolleranza stabilita dalle Banche Centrali di mezzo mondo.

A tal proposito, temiamo di dover esser parzialmente d'accordo con quel giornalista economico,  del quale ahinoi ci siamo scordati il nome, che ha rammentato, non avendola vista arrivare, "quanto poco gli economisti comprendono l'inflazione, comprese le sue cause e la sua persistenza. E' probabile, quindi, che fatichino anche a prevedere quando l'inflazione si raffedderà. Gli ottimisti sperano che i prezzi tornino a sorprendere i cittadini, rallentando la loro crescita prima del previsto. Ma sembra più probabile che l'inflazione si dimostri ostinanta anche quando l'economia rallenterà. Ciò lascerà i responsabili politici di fronte a una triste scelta: stringere sempre di più l'economia o lasciare che i prezzi si impennino".

Che dire? In effetti secondo quanto afferma il nostro giornalista c'è poco da stare allegri e sembrerebbe che non abbiamo una via di scampo: o i prezzi s'infiammano ancora o l'economia  è destinata a sprofondare; di vie di mezzo non ne esistono. Forse è un po' (troppo) drastico ma su di una cosa ha comunque ragione: prevedere quando l'inflazione raggiungerà il 2% non è possibile e quindi, consapevoli di ciò, non ci resta che fare nostro l'adagio dell'amico Ned Davis che recita "the trend is more important then level" (il trend è più importante del livello) e ci limitiamo a rilevare la direzione intrapresa dal rincaro (the trend) convinti che è la sola cosa che ci può aiutare a prevedere, anche se in modo sommario ma è quello che più ci importa,  le mosse delle banche centrali. Se la direzione sarà quella di una convinta discesa, potremo sperare in un allentamento monetario piuttosto ravvicinato nel tempo; ma se lo spostamento prossimo venturo sarà anche solo laterale, dovremo abituarci ad un regime di tassi insolitamente alti fino a quando non si sà.  

Ma qual'è l'attuale trend dell'inflazione nei principali poli economici? Diciamo che da questo punto di vista sembra che non siamo messi malissimo:



Il grafico ci fornisce una parziale immagine di come sta evolvendo l'inflazione in alcuni dei principali poli economici mondiali e per una volta vogliamo vedere il nostro bicchiere mezzo pieno: la direzione intrepresa dall'inflazione, sebbene vi siano dei decalage temporali, è quella del ribasso e crediamo che difficilmente, fatto salvo qualche cigno nero, il trend ricomincerà a puntare con decisione verso l'alto. Ma dobbiamo putroppo constatare che durante il mese di aprile il calo ha subito un rallentamento che speriamo sia solo temporaneo...


Se stringiamo sull'Europa, possiamo osservare che non solo c'è stato un rallentamento ma addirittura l'inflazione è un pochino risalita e questo indipendentemente dai livelli che, come possiamo notare, sono molto diversi da un paese all'altro.



Negli USA invece si aspettavano un'inflazione al 5% ed è uscito un 4.9% che fa bene al cuore ma non siamo molto lontani dal dato precedente (5%). Insomma sono quasi due mesi che l'inflazione americana è inchiodata attorno al 5% il che significa più del doppio di quanto auspicato dalla FED.

In America (ma non solo)  abbiamo la conferma che materie prime (commodities in verde nel grafico) ed energia (in arancione) sono sempre meno responsabili del caro prezzi;  in questo momento è tutto sulle spalle dei servizi (in blu) e del cibo (in giallo).



Fare la spesa negli USA, quando un uovo lo paghi 1.5$ o un'arancia costa 1$, sembra una piccola rapina quotidiana mentre uscire a cena al ristorante, soprattutto se ci si concede una bottiglia di vino, non sembra una rapina, lo è! Abbiamo le prove...



... possiamo invece spiegare un certo rilassamento dei costi delle materie prime, come suggerisce Bloomberg,  anche con il rallentamento dell'import cinese. In effetti da un po' di tempo i dati che provengono dalla Cina sono meno brillanti e potrebbero essere forrieri di un certo rallentamento gobale.

Riassumendo: l'inflazione sembra indirizzata nelle giusta direzione ed il trend ribassista è abbanstanza convincente anche se l'attuale livello del rincaro è in tutti i Paesi ancora ben lontano dall'obiettivo delle Banche Centrali (2%). In un tale contesto facciamo fatica a pensare che si possa assistere a breve, soprattutto in Europa,  ad un rallentamento della politica monetaria anche se l'arrivo, oramai ampiamente telefonato, di una decelerazione economica rischia di complicare notevolmente la vita ai banchieri centrali che probabilmente dovranno decidere se abbattere il rincaro oppure se è meglio evitare una crisi troppo profonda. 



Per combattere l'inflazione in America (ricordate quando era vicina al 10%?) si è dovuto rialzare il costo del denaro oltre il 5% e resteremo a questi livelli, secondo quanto il mercato percepisce, almeno fino alla fine dell'anno.

 In Europa abbiamo avuto un'inflazione in molti paesi anche superiore al 10%:  a detta di molti economisti era diversa da quella americana in quanto influenzata soprattutto dai costi esorbitanti dell'energia e delle materie prime. Ci stiamo quindi chiedendo, ora che questi costi sono stati notevomente ridimensionati,  come fa l'inflazione nel nostro continente ad essere ancora a livelli decisamente poco rassicuranti. Noi non siamo in grado di spiegarlo.

Possiamo però dedurre che, con un rincaro che ancora oggi si situa tra il 7% e l'8%,  è difficile restare con le mani in mano. Ergo: dobbiamo purtroppo dare un certo peso specifico alle parole della Lagarde che si dice pronta a fare di tutto per sradicare il rincaro. Il mercato si aspetta da qui alla fine dell'anno ancora un rialzo di circa mezzo punto. Significa che ci ritroveremo con i tassi tra il 3.6% ed il 3.7%.  Speriamo che basti. Soprattuto ora che la nostra inflazione inizia ad avere delle inquietanti similitudini con quella americana e che per combatterla hanno dovuto aumentare i tassi fino al 5%. Noi continuamo ad essere attendisti prima di comprare obbligazioni in euro a piene mani.


Ci sembra per contro più verosimile l'idea che in America i tassi siano oramai sufficientemente elevati per ottenere un rallentamento significativo del rincaro: la crisi del settore bancario americano, che è figlia di questi rialzi, malamente sopporterebbe ulteriori rialzi ed il credit crunch che ne sta derivando finirà il lavoro avviato dalla FED; maggiori dettagli li avremo il 14 di giugno. Anche i rendimenti dei Treasury si stanno adeguando e puntano al ribasso. Intuiamo che qualche obbligazione in dollari si possa continuare a comprarla...

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Quando avete bisogno di sicurezza di norma un gestore patrimoniale vi indirizza verso le obbligazioni sovrane nella convinzione, errata, che uno Stato non può fare fallimento. Chi aveva obbligazioni dello stato Argentino, ben si ricorda cosa è successo. Ma un conto è parlare di un paese in via di sviluppo come era quello sud ameriano ai tempi del suo default, è tutt'altra storia se a fallire potrebbero essere addirittura gli Stati Uniti d'America, prospettiva che fa drizzare i capelli in testa, ma che dal primo giugno 2023 potrebbe diventare una triste realtà.

E' noto che il debito pubblico americano può spingersi fino ad un livello prestabilito oltre il quale l'amministrazione americana non è autorizzata ad andare. Per farlo deve ottenere l'assenso del Congresso. Attualmente il tetto all'indebitamento è stabilito in 31.4 trilioni di dollari equivalenti suppergiù al 117% del PIL. A quanto pare la segretaria del tesoro Yellen, a partire dal primo di giugno di quest'anno,  potrebbe aver esaurito le sue riserve di liquidità e non essere più in grado di far fronte alle necessità della macchina statale americana. Se la cosa vi inquieta e siete ansiosi di sapere quando esattamente potremmo essere vicini al fallimento della principale economia mondiale, potete consultare l'orologio che calcola in tempo reale la crescita dell'indebitamento americano cliccando qui.

Quella del tetto all'indebitamento è una strana particolarità del sistema americano che, una volta raggiunto, impone all'amministrazione americana draconiani tagli alla spesa dello stato quasi sempre impossibili da attuare oppure la rinegoziazione di un nuovo tetto al debito trasformando, come è facile immaginare, un problema squisitamente economico in uno politico. Sappiamo già come andrà a finire: un accordo lo si troverà, ma nel frattempo si rischia lo stallo della macchina statale americana come era già successo nel 2011 e nel 2013. Le conseguenze negative per dollaro e borse potrebbero essere non solo teoriche.


Ci sono degli investitori che stanno spendendo del denaro per assicurarsi contro un default dello Stato americano. Per essere un evento che ha probabilità zero di avverarsi è già una cosa strana... Altrettanto sorprendente è l'aumento considerevole del costo assicurativo, che forse può essere spiegato con una mancanza di liquidità del mercato, ma è comunque una cosa bizzarra e contribuisce a dare un certo peso all'evento.

Un articolo dell'Economist di qualche giorno fa ci ha messo sull'attenti. Riportiamo fedelmente: "Gli analisti di Pimco fanno notare che negli ultimi 12 anni l'indice S&P500 è sceso in media del 6.5% nel mese precedente la scadenza del tetto del debito, anche se è sempre stato rispettato. In caso di default la situazione sarebbe molto peggiore. Nel 2013 (...) i fuzionari della FED hanno simulato gli effetti di un default di un mese. Hanno stimato che i prezzi delle azioni sarebbero scesi del 30% e il dollaro del 10%".

Mancano 2 settimane alla fine del mese e non ci sembra che lo S&P500 sia entrato in fibrillazione ed il dollaro appare addirittura in lento recupero. Ciò non toglie che la semplice ipotesi che lo Stato americano possa tecnicamente entrate in una situazione di stallo non deve essere presa completamente sottogamba ed abbiamo la sensazione che, ad un anno dalle elezioni presidenziali, risolvere questo problema non sarà una passeggiata di salute. Vi terremo informati.

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La settimana borsistica è passata senza lode ne infamia e per quanto concerne lo S&P500 temiamo che stia entrando in un movimento laterale che non ci porta da nessuna parte. I 4200 punti sono per il momento una soglia insuperabile ma ci piace il fatto che riesce a stare sopra le tre medie mobili a 50, 100 e 200 giorni. Volumi in leggera fase calante; RSI sta puntando alla neutralità. Insomma un po' noioso, lo dobbiamo ammettere.


Per il momento il picco del mese di maggio segnalato da Ned Davis non è stato raggiunto. Speriamo di non doverci confrontare fra qualche giorno con la piccola correzione che avrebbe dovuto prendere il via in questi giorni...



Con i rendimenti americani che stanno diminuendo ad approfittarne è stoto il Nasdaq che sta cercando di confermare il superamento dei 12'250 punti. Sarebbe importante in quanto durante la fase di consolidamento ha accumulato un potenziale aumento di circa 700 punti il che significherebbe nelle prossime settimane un possibile raggiungimento di quota 13'000 o su da quelle parti.



Per il mercato europeo quota 4'400 è una barriera che proprio non si riesce a sfondare ma è difficile farlo soprattutto se i volumi sono calanti come durante tutta la settimana. Non c'è grinta e il risultato è uno spostamento laterale. La media mobile a 50 giorni fa da supporto e speriamo in un rimbalzo la prossima settimana...



 E' sempre lodevole lo sforzo che lo SMI sta compiendo per recuperare il gap di performace accumulato nei confronti delle principali borse europee. Sta cercando con tutte le forze di confermare la rottura del triangolo verde che potrebbe spingerlo a guadagnare ancora qualche centinaio di punti ma i modesti volumi e l'RSI in zona ipercomprato rendono l'impresa difficile (ma non impossibile) da realizzare.




Il dollaro sia contro euro che contro chf ha, soprattutto nel fine settimana, guadagnato terreno... un trend che potrebbe continuare anche la prossima settimana...



L'euro si è dimostrato debole anche contro chf: siamo curiosi di vedere se andrà ancora a fare una visitina a quota 0.97... se non ci sarà il rimbalzo dovremo inizare a preoccuparci in quanto uno sfondamento di quota 0.9690 potrebbe mettere fine allo spostamento laterale...

Buona domenica!

venerdì 5 maggio 2023

Siamo ad un bivio

 Un paio di giornaliste della rivista economica Barron's che ieri, fortunate loro, erano presenti alla conferenza stampa della FED, hanno scommesso su quante volte Powell,  durante il suo discorso, avrebbe utilizzato il termine "dipende dai dati! ". E' un modo per preavvisare gli astanti che sarebbe stato inutile fare troppe domande sulle future mosse della banca centrale americana in quanto queste ultime..."dipenderanno (futuro) dai dati!" A quanto pare, durante lo speech,  di questa espressione Powell ne ha fatto un vero e proprio abuso e dopo essere arrivate almeno a 12,  le due giornaliste hanno iniziato a perdere il filo della conta... Più attendista di così non poteva essere e per un bel pezzo della sua conferenza Jerome è stato fedele al canovaccio che si era portato con sè. Poi ad un certo punto ha dovuto ammettere, considerato quanto sta accadendo nel suo Paese,  che non può completamente escludere che in effetti i tassi potrebbero subire un taglio prima del previsto...  A questo punto il mercato è entrato in fibrillazione.

Come abbiamo visto in un precedente post, il lasso di tempo che intercorre tra l'ultimo aumento e il primo taglio ai tassi, è generalmente di 6 mesi e se così fosse, considerato che quello di mercoledì di 25 basis points aveva tutta l'aria di essere l'ultimo ritocco rialzista,  non possiamo aspettarci una riduzione prima della fine dell'anno in corso. L'obiettivo di una inflazione al 2% (più probabile che alla fine sarà qualche cosa vicino al 3%) è ancora lontano e alcuni dati non aiutano. In effetti gli ADP pubblicati mercoledì (attesi 150k; effettivi 296k) dimostrano come il mercato del lavoro sia ancora bello vivace. I nuovi disoccupati sono saliti ma in misura nettamente minore (da 230k a 242k per fine aprile) ed il colpo di grazia è arrivato venerdì pomeriggio con il tasso di disoccupazione e gli NFP:



In aprile sono stati creati 253k nuovi posti di lavoro non agricoli (precedente rivisto: 165k; atteso 185k) un numero che non sarà di certo piaciuto a Powell e che complica maledettamente il suo compito; cigliegina sulla torta: la disoccupazione ad aprile è scesa al 3.4% (attesa 3.6%; precedente: 3.5%).  Insomma ci sono troppe persone che lavorano e, paradossalmente, non va bene in quanto è come versare benzina sull'inflazione.

Inoltre l'ISM dei servizi, pubblicato mercoledì, conferma che gli americani hanno una gran voglia di godersi un po' la vita e non lesinano sui viaggi, sui soggiorni in albergo e non disdegnano  le cene nei ristoranti. Insomma ci sarebbero dei buoni e validi motivi per non abbassare troppo velocemente la guardia per quanto riguarda la lotta alla crescita esagerata dei prezzi. 

Ma all'orizzonte c'è un problema che non va sottovalutato,  anche se Powell ha fatto di tutto per sottolineare quanto sia resiliente il settore bancario americano. Sulla tenuta contabile di diverse banche regionali qualche dubbio gli investitori ce l'hanno:

Oramai sono già 4 gli istituti che in poco tempo hanno alzato bandiera bianca e non siamo sicurissimi che non ve ne siano della altre che a breve saranno costrette a chiedere aiuto. Il fenomeno va seguito da molto vicino e soprattutto non va banalizzato... chi ha vissuto il fallimento della Lehmann si ricorda bene cosa è successo dopo. Non siamo a quei livelli ma restiamo vigili.


Stiamo inoltre cercando di capire se l'oro, a 2039$ e anche più, sta tentando di dirci qualche cosa... non pensiamo che siano solo le banche centrali dei BRIC che lo stanno comprando.



Ma c'è dell'altro. E' da diverse settimane che l'analisi delle variabili macro economiche ci suggerisce che l'economia americana difficilmente riuscirà a sfuggire ad una recessione. Detto ciò non ci sorprende più di tanto osservare quanto il mercato sia convinto che un taglio ci sarà anche prima dei 6 mesi.  Insomma, ritiene che Powell non può restare indifferente ad un eventuale rallentamento che sarebbe da molti punti di vista più pericoloso e dannoso dell'inflazione stessa. 



Il taglio sembra essere scontato anche dai titoli del Tesoro americano che da qualche settimana segnalano rendimenti al ribasso. Da ieri questo movimento sembra essere in accelerazione anche se con i dati degli NFP di oggi potrebbe momentaneamente subire un rallentamento. Comunque ignorare il movimento ribassista potrebbe essere un errore e qualche obbligazione in dollari la compriamo  soprattutto dove abbiamo, per motivi di diversificazione, sempre un po' di dollari nei depositi.

Se fino alla scorsa settimana il clima era quello tipico della calma piatta in assenza di vento, da qualche giorno il mercato sembra essere un po' meno tranquillo e il vix, che ieri è tornato sopra il 20, lo sta a testimoniare. Siamo ancora a livelli di volatilità bassa ma basta un niente per farla schizzare in zona 30.


Per il momento lo S&P500 non ci fa impazzire, siamo andati a vedere un piccolo supporto appena sopra i 4000 punti e non ci aspettiamo nulla di particolare nei prossimi giorni. La stagione degli utili è in fase avanzata e le sorprese che potrebbero arrivare dai bilanci trimestrali sono sempre più rarefatte e obbligano gli investitori ad orientare l'attenzione sugli aspetti macro economici che sappiamo non essere molto incoraggianti. Per il momento non ci vien voglia di comprare nulla: se l'attuale piccolo supporto (linea tratteggiata) non viene confermato nei prossimi giorni temiamo che andremo a fare una visita alla media mobile dei 200 giorni (linea blu) e forse giù di lì qualche cosa si potrebbe anche acquistare. Se comunque nei prossimi giorni prevarrà la tesi di un taglio anticipato ai tassi diremmo che è quel fattore che ci mancava per vedere l'indice tentare di evolvere in direzione dei 4200 punti: sopra questo livello torneremo ad essere compratori.


 E' probabile che lo S&P500 abbia anticipato l'algoritmo di Ned Devis di una decina di giorni e quindi sta compiendo la correzione che era prevista per la metà di questo mese. E' importante che questo alleggerimento non duri più di un paio di settimane altrimenti non sarà facile compiere il movimento rialzista che dovrebbe arrivare al suo culmine tra la metà e la fine di luglio.

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Ieri è pure stato il turno della BCE che al termine della sua riunione ha comunicato un rialzo dei tassi di un quarto di punto. Martedì scorso sono stati pubblicati alcuni dati riguardanti l'inflazione europea che è tornata leggermente a salire. Nulla di eclatante: quella francese è passata dal 6.9% al 7% , l'italiana dall'8% ce la siamo ritrovata all'8.8%,  mentre quella europea passa dal 6.9% al 7%. E' comunque da diversi mesi che non assistevamo ad un aumento del rincaro e non saremmo stati sorpresi se la Lagarde, come suggerito da alcuni falchi in seno alla BCE, avesse optato per un altro aumento di mezzo punto. Si riserverà di farlo, se i dati lo richiederanno, alla prossima riunione prevista per il 15 di giugno. Rispetto al suo omologo americano la Lagarde non ha molte altre alternative ad un ulteriore rialzo e l'ha fatto capire piuttosto chiaramente. E' altrettanto consapevole che altri aumenti dei tassi metteranno sotto pressione i possessori di ipoteche e prestiti vari ma un po' (troppo) candidamente si è affrettata a sottolineare che se le ipoteche salgono non è per colpa sua...francamente su questo avremmo qualche cosa da dire ma siamo dei signori...

Quello che possiamo osservare è che anche il mercato del reddito fisso europoeo si sta distanziando un pochino dalle parole della Lagarde:


Anche i rendimenti del Bund tedesco a due anni (linea rossa) e quello a dieci (linea nera) stanno ripiegando da qualche settimana e non sembrano affatto spaventati dalla risolutezza della Lagarde.


Ciò nonostante l'Eurostoxx50 non riesce a forare i 4400 punti; forse l'incontro con la media mobile a 50 giorni (linea viola) può dargli una spintarella verso l'alto ma ci vorrebbero ben altri impulsi che non sappiamo bene da dove possono arrivare.



Il nostro indice ha ancora un po' di strada da recuperare e bisogna ammettere che ce la sta mettendo tutta per non lasciarsi trascinare verso il basso. Ci sembra di aver individuato un piccolo triangolo (in verde) che se forato al rialzo potrebbe dare una modesta spinta rialzista  che lo porterebbe sopra gli 11'500 punti. Potrebbe essere quel che ci vuole per andare oltre ma anche in questo caso i numeri trimestrali sono quasi tutti pubblicati e non vediamo, se non per motivi tecnici, da dove possono arrivare altri stimoli per gli acquisti.

A dir la verità uno stimolo, come ci ha fatto osservare il nostro cambista, potrebbe arrivare dalla BNS che seguendo l'esempio delle altre banche centrali non si dovrebbe più sentire in obbligo di aumentare i tassi svizzeri a livelli che a noi sembravano non necessari. Infatti, ancora fino a qualche giorno fa, il mercato era convinto che Jordan volesse aumentare i tassi di almeno altri tre quarti di punto. Oggi siamo confrontati con una anticipazione che non va oltre lo 0.25%. Se così fosse sarebbe un bell'aiuto per lo SMI.

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Per gli amanti del genere, domani segnaliamo l'incoronazione di Carlo III. Non crediamo che avrà un influsso particolare sulla sterlina ma è pur sempre un rito che non si vede tutti i giorni. Se comunque avete di melgio da fare non saremo certo noi a trattenervi.


Buon week end!