Rieccoci costretti nostro malgrado a parlare ancora d'inflazione, non tanto perché l'argomento ci appassiona, ma perché, facendo riferimento a quella americana, è stato il dato macro più importante della settimana e per tre giorni non si è parlato d'altro. Analisti ed economisti si stanno incaponendo attorno a questo tema nel tentativo d'intuire quanto tempo impiegherà l'inflazione a ritornare vicino a quel 2% che è la soglia di tolleranza stabilita dalle Banche Centrali di mezzo mondo.
A tal proposito, temiamo di dover esser parzialmente d'accordo con quel giornalista economico, del quale ahinoi ci siamo scordati il nome, che ha rammentato, non avendola vista arrivare, "quanto poco gli economisti comprendono l'inflazione, comprese le sue cause e la sua persistenza. E' probabile, quindi, che fatichino anche a prevedere quando l'inflazione si raffedderà. Gli ottimisti sperano che i prezzi tornino a sorprendere i cittadini, rallentando la loro crescita prima del previsto. Ma sembra più probabile che l'inflazione si dimostri ostinanta anche quando l'economia rallenterà. Ciò lascerà i responsabili politici di fronte a una triste scelta: stringere sempre di più l'economia o lasciare che i prezzi si impennino".
Che dire? In effetti secondo quanto afferma il nostro giornalista c'è poco da stare allegri e sembrerebbe che non abbiamo una via di scampo: o i prezzi s'infiammano ancora o l'economia è destinata a sprofondare; di vie di mezzo non ne esistono. Forse è un po' (troppo) drastico ma su di una cosa ha comunque ragione: prevedere quando l'inflazione raggiungerà il 2% non è possibile e quindi, consapevoli di ciò, non ci resta che fare nostro l'adagio dell'amico Ned Davis che recita "the trend is more important then level" (il trend è più importante del livello) e ci limitiamo a rilevare la direzione intrapresa dal rincaro (the trend) convinti che è la sola cosa che ci può aiutare a prevedere, anche se in modo sommario ma è quello che più ci importa, le mosse delle banche centrali. Se la direzione sarà quella di una convinta discesa, potremo sperare in un allentamento monetario piuttosto ravvicinato nel tempo; ma se lo spostamento prossimo venturo sarà anche solo laterale, dovremo abituarci ad un regime di tassi insolitamente alti fino a quando non si sà.
Ma qual'è l'attuale trend dell'inflazione nei principali poli economici? Diciamo che da questo punto di vista sembra che non siamo messi malissimo:
Il grafico ci fornisce una parziale immagine di come sta evolvendo l'inflazione in alcuni dei principali poli economici mondiali e per una volta vogliamo vedere il nostro bicchiere mezzo pieno: la direzione intrepresa dall'inflazione, sebbene vi siano dei decalage temporali, è quella del ribasso e crediamo che difficilmente, fatto salvo qualche cigno nero, il trend ricomincerà a puntare con decisione verso l'alto. Ma dobbiamo putroppo constatare che durante il mese di aprile il calo ha subito un rallentamento che speriamo sia solo temporaneo...
Se stringiamo sull'Europa, possiamo osservare che non solo c'è stato un rallentamento ma addirittura l'inflazione è un pochino risalita e questo indipendentemente dai livelli che, come possiamo notare, sono molto diversi da un paese all'altro.
Negli USA invece si aspettavano un'inflazione al 5% ed è uscito un 4.9% che fa bene al cuore ma non siamo molto lontani dal dato precedente (5%). Insomma sono quasi due mesi che l'inflazione americana è inchiodata attorno al 5% il che significa più del doppio di quanto auspicato dalla FED.
In America (ma non solo) abbiamo la conferma che materie prime (commodities in verde nel grafico) ed energia (in arancione) sono sempre meno responsabili del caro prezzi; in questo momento è tutto sulle spalle dei servizi (in blu) e del cibo (in giallo).
Fare la spesa negli USA, quando un uovo lo paghi 1.5$ o un'arancia costa 1$, sembra una piccola rapina quotidiana mentre uscire a cena al ristorante, soprattutto se ci si concede una bottiglia di vino, non sembra una rapina, lo è! Abbiamo le prove...
... possiamo invece spiegare un certo rilassamento dei costi delle materie prime, come suggerisce Bloomberg, anche con il rallentamento dell'import cinese. In effetti da un po' di tempo i dati che provengono dalla Cina sono meno brillanti e potrebbero essere forrieri di un certo rallentamento gobale.
Riassumendo: l'inflazione sembra indirizzata nelle giusta direzione ed il trend ribassista è abbanstanza convincente anche se l'attuale livello del rincaro è in tutti i Paesi ancora ben lontano dall'obiettivo delle Banche Centrali (2%). In un tale contesto facciamo fatica a pensare che si possa assistere a breve, soprattutto in Europa, ad un rallentamento della politica monetaria anche se l'arrivo, oramai ampiamente telefonato, di una decelerazione economica rischia di complicare notevolmente la vita ai banchieri centrali che probabilmente dovranno decidere se abbattere il rincaro oppure se è meglio evitare una crisi troppo profonda.
Per combattere l'inflazione in America (ricordate quando era vicina al 10%?) si è dovuto rialzare il costo del denaro oltre il 5% e resteremo a questi livelli, secondo quanto il mercato percepisce, almeno fino alla fine dell'anno.In Europa abbiamo avuto un'inflazione in molti paesi anche superiore al 10%: a detta di molti economisti era diversa da quella americana in quanto influenzata soprattutto dai costi esorbitanti dell'energia e delle materie prime. Ci stiamo quindi chiedendo, ora che questi costi sono stati notevomente ridimensionati, come fa l'inflazione nel nostro continente ad essere ancora a livelli decisamente poco rassicuranti. Noi non siamo in grado di spiegarlo.
Possiamo però dedurre che, con un rincaro che ancora oggi si situa tra il 7% e l'8%, è difficile restare con le mani in mano. Ergo: dobbiamo purtroppo dare un certo peso specifico alle parole della Lagarde che si dice pronta a fare di tutto per sradicare il rincaro. Il mercato si aspetta da qui alla fine dell'anno ancora un rialzo di circa mezzo punto. Significa che ci ritroveremo con i tassi tra il 3.6% ed il 3.7%. Speriamo che basti. Soprattuto ora che la nostra inflazione inizia ad avere delle inquietanti similitudini con quella americana e che per combatterla hanno dovuto aumentare i tassi fino al 5%. Noi continuamo ad essere attendisti prima di comprare obbligazioni in euro a piene mani.
Ci sembra per contro più verosimile l'idea che in America i tassi siano oramai sufficientemente elevati per ottenere un rallentamento significativo del rincaro: la crisi del settore bancario americano, che è figlia di questi rialzi, malamente sopporterebbe ulteriori rialzi ed il credit crunch che ne sta derivando finirà il lavoro avviato dalla FED; maggiori dettagli li avremo il 14 di giugno. Anche i rendimenti dei Treasury si stanno adeguando e puntano al ribasso. Intuiamo che qualche obbligazione in dollari si possa continuare a comprarla...
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Quando avete bisogno di sicurezza di norma un gestore patrimoniale vi indirizza verso le obbligazioni sovrane nella convinzione, errata, che uno Stato non può fare fallimento. Chi aveva obbligazioni dello stato Argentino, ben si ricorda cosa è successo. Ma un conto è parlare di un paese in via di sviluppo come era quello sud ameriano ai tempi del suo default, è tutt'altra storia se a fallire potrebbero essere addirittura gli Stati Uniti d'America, prospettiva che fa drizzare i capelli in testa, ma che dal primo giugno 2023 potrebbe diventare una triste realtà.
E' noto che il debito pubblico americano può spingersi fino ad un livello prestabilito oltre il quale l'amministrazione americana non è autorizzata ad andare. Per farlo deve ottenere l'assenso del Congresso. Attualmente il tetto all'indebitamento è stabilito in 31.4 trilioni di dollari equivalenti suppergiù al 117% del PIL. A quanto pare la segretaria del tesoro Yellen, a partire dal primo di giugno di quest'anno, potrebbe aver esaurito le sue riserve di liquidità e non essere più in grado di far fronte alle necessità della macchina statale americana. Se la cosa vi inquieta e siete ansiosi di sapere quando esattamente potremmo essere vicini al fallimento della principale economia mondiale, potete consultare l'orologio che calcola in tempo reale la crescita dell'indebitamento americano cliccando qui.
Quella del tetto all'indebitamento è una strana particolarità del sistema americano che, una volta raggiunto, impone all'amministrazione americana draconiani tagli alla spesa dello stato quasi sempre impossibili da attuare oppure la rinegoziazione di un nuovo tetto al debito trasformando, come è facile immaginare, un problema squisitamente economico in uno politico. Sappiamo già come andrà a finire: un accordo lo si troverà, ma nel frattempo si rischia lo stallo della macchina statale americana come era già successo nel 2011 e nel 2013. Le conseguenze negative per dollaro e borse potrebbero essere non solo teoriche.
Ci sono degli investitori che stanno spendendo del denaro per assicurarsi contro un default dello Stato americano. Per essere un evento che ha probabilità zero di avverarsi è già una cosa strana... Altrettanto sorprendente è l'aumento considerevole del costo assicurativo, che forse può essere spiegato con una mancanza di liquidità del mercato, ma è comunque una cosa bizzarra e contribuisce a dare un certo peso all'evento.
Un articolo dell'Economist di qualche giorno fa ci ha messo sull'attenti. Riportiamo fedelmente: "Gli analisti di Pimco fanno notare che negli ultimi 12 anni l'indice S&P500 è sceso in media del 6.5% nel mese precedente la scadenza del tetto del debito, anche se è sempre stato rispettato. In caso di default la situazione sarebbe molto peggiore. Nel 2013 (...) i fuzionari della FED hanno simulato gli effetti di un default di un mese. Hanno stimato che i prezzi delle azioni sarebbero scesi del 30% e il dollaro del 10%".
Mancano 2 settimane alla fine del mese e non ci sembra che lo S&P500 sia entrato in fibrillazione ed il dollaro appare addirittura in lento recupero. Ciò non toglie che la semplice ipotesi che lo Stato americano possa tecnicamente entrate in una situazione di stallo non deve essere presa completamente sottogamba ed abbiamo la sensazione che, ad un anno dalle elezioni presidenziali, risolvere questo problema non sarà una passeggiata di salute. Vi terremo informati.
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La settimana borsistica è passata senza lode ne infamia e per quanto concerne lo S&P500 temiamo che stia entrando in un movimento laterale che non ci porta da nessuna parte. I 4200 punti sono per il momento una soglia insuperabile ma ci piace il fatto che riesce a stare sopra le tre medie mobili a 50, 100 e 200 giorni. Volumi in leggera fase calante; RSI sta puntando alla neutralità. Insomma un po' noioso, lo dobbiamo ammettere.
Per il momento il picco del mese di maggio segnalato da Ned Davis non è stato raggiunto. Speriamo di non doverci confrontare fra qualche giorno con la piccola correzione che avrebbe dovuto prendere il via in questi giorni...
Con i rendimenti americani che stanno diminuendo ad approfittarne è stoto il Nasdaq che sta cercando di confermare il superamento dei 12'250 punti. Sarebbe importante in quanto durante la fase di consolidamento ha accumulato un potenziale aumento di circa 700 punti il che significherebbe nelle prossime settimane un possibile raggiungimento di quota 13'000 o su da quelle parti.
Per il mercato europeo quota 4'400 è una barriera che proprio non si riesce a sfondare ma è difficile farlo soprattutto se i volumi sono calanti come durante tutta la settimana. Non c'è grinta e il risultato è uno spostamento laterale. La media mobile a 50 giorni fa da supporto e speriamo in un rimbalzo la prossima settimana...
E' sempre lodevole lo sforzo che lo SMI sta compiendo per recuperare il gap di performace accumulato nei confronti delle principali borse europee. Sta cercando con tutte le forze di confermare la rottura del triangolo verde che potrebbe spingerlo a guadagnare ancora qualche centinaio di punti ma i modesti volumi e l'RSI in zona ipercomprato rendono l'impresa difficile (ma non impossibile) da realizzare.
Il dollaro sia contro euro che contro chf ha, soprattutto nel fine settimana, guadagnato terreno... un trend che potrebbe continuare anche la prossima settimana...
L'euro si è dimostrato debole anche contro chf: siamo curiosi di vedere se andrà ancora a fare una visitina a quota 0.97... se non ci sarà il rimbalzo dovremo inizare a preoccuparci in quanto uno sfondamento di quota 0.9690 potrebbe mettere fine allo spostamento laterale...
Buona domenica!
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