Questa settimana abbiamo capito (forse) tre cose che vogliamo condividere con voi:
- Scordiamoci un taglio dei tassi americani per il mese di marzo!
- E' probabile che i tassi europei scenderanno prima degli omonimi americani.
- Non basta il potere dei super utili per spedire ogni volta le azioni nello spazio (ma a volte succede).
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Punto uno: no tagli ai tassi USA per il mese di marzo.
Per spiegarlo partiamo da quello che già sappiamo da un pezzo:
- L'inflazione americana, dopo aver superato abbondantemente il 10% nel corso del 2022, è stata ricondotta ad un livello più accettabile a suon di rialzi dei tassi. Stiamo parlando di quel 3.3% che risulta decisamente più tollerabile ma è pure molto appiccicoso e difficile da pilotare verso il 2% desiderato dalla FED.
- Il PIL americano del quarto trimestre 2023 è stato calcolato al 3.3% (precedente: 4.9%). Sarà anche in rallentamento ma a casa nostra una simile crescita ce la scordiamo e faremmo carte false per averla! Parlare di soft landing non ci sembra il termine più pertinente in quanto, come ci ha fatto giustamente osservare un carissimo amico, le manovre di atterraggio devono ancora iniziare. In America, per il momento, si vola!
- Si è visto una sola volta negli ultimi 44 anni un taglio aggressivo ai tassi USA quando non c'è una recessione in corso. A muoversi con anticipo ci aveva provato nel 1985-86 l'allora presidente della FED Paul Volcker. Nel 1984 aveva correttamente alzato aggressivamente i tassi fino all'11.6% nel tentativo, andato a buon fine, di combattere l'inflazione. Poi però decise di farli scendere, con il senno di poi troppo presto, troppo rapidamente ed in assenza di una grave recessione, nel 1986 rimettendo nuovamente in moto l'inflazione e provocando un'euforia tale in borsa che la stessa gli esplose tra le mani nel famoso lunedì nero del 19 ottobre 1987. Da allora, quella data funesta, è sempre stata ben stampata nella mente di tutti i successori di Volcker. Saremmo sorpresi se il dotto Powell se ne fosse dimenticato.
- Mercoledì scorso la FED ha lasciato i tassi invariati e la sua retorica è sempre la stessa: "un taglio ai tassi sarà appropriato ad un certo punto nel corso dell'anno" (molto vago) e aggiunge "se sarà il caso, saremo pronti a lasciarli ai livelli attuali più a lungo". Fra un attimo vedremo perché, a nostro giudizio, la seconda affermazione ci sembra quella più verosimile.
Venerdì scorso in America siamo stati resi partecipi di una serie di dati sullo stato di salute del mondo del lavoro che di certo non saranno piaciuti alla FED:
Martedì 30 gennaio:
- Posti di lavoro vacanti: 9 mio (atteso: 8.8 mio; precedente: 8.9 mio). L'offerta di posti di lavoro rimane parecchio elevata. Si fatica a trovare personale specializzato e per chi vuol lavorare trovare un'occupazione non è così difficile.
- Fiducia dei consumatori gennaio: 114.8 (atteso: 115; precedente: 108). L'ottimismo dei consumatori nei confronti di un futuro prossimo sta migliorando (è al massimo degli ultimi 2 anni) e potrebbe stimolare la domanda di beni e servizi che per esser soddisfatti richiedono spesso l'assunzione di nuovo personale.
Mercoledì 31 gennaio:
- ADP gennaio: 107k (atteso: 150k; precedente: 158k). Si tratta del dato che fotografa la creazione di posti di lavoro nel settore privato. Va sottolineato che si tratta di un dato stimato e va preso un po' con le pinze. Infatti quello di gennaio ci ha tratto un pochino in inganno facendoci credere che il ritmo delle assunzioni in generale (pubblico e privato) fosse al ribasso...
Venerdì 2 febbraio:
- Creazione posti di lavoro gennaio: 353k (atteso: 185k; precedente: 333k). Quasi il doppio delle attese...
- Salari orari gennaio: +0.6% (atteso: +0.3%; precedente: +0.4%) e
- Salari orari YoY: +4.55% (precedente: +4.3%). Insomma oltre che ad aver creato molti più posti di lavoro del previsto il salario del lavoratore americano è ancora al rialzo: non è difficile immaginare quale impatto possa avere sulla sua propensione al consumo...
Dopo aver preso nota di quanto pubblicato questa settimana, mettiamoci ora nei panni di Powell: ma a voi, confrontati con dei dati simili, verrebbe voglia di ridurre i tassi se il vostro obiettivo è quello di riportare l'inflazione al 2%? Come direbbe Marzullo: fatevi la domanda e datevi la risposta...
E' chiaro che anche il mercato qualche domanda se l'è posta e venerdì ha risposto subito con una certa coerenza:
I primi a reagire prontamente all'idea che i tassi potrebbero restare dove sono più a lungo sono stati i rendimenti dei Treasury americani a 2 anni (in rosso) e a 10 anni (in nero) che sono saliti immediatamente di una dozzina di basis points...
...sufficienti a trascinare al rialzo di oltre un centinaio di basis poins il dollaro/franco che da 0.8560 in un batter d'occhio si è ritrovato a 0.8680 per poi chiudere la settimana a 0.8668.
La stessa sorte è toccata alla parità euro/dollaro che chiude la settimana 1.0788 e rafforza la nostra idea che per il momento il dollaro lo si tiene tranquillamente nel deposito e lo si vende solo e qualora dovesse andare sopra 1.11.
Per il momento le obbligazioni in dollari non sembrano aver accusato il colpo... ma forse è un po' presto. Vedremo la prossima settimana se qualche cosa si muoverà (purtroppo al ribasso...)
... il mercato, fino a venerdì compreso, sembra non aver cambiato idea sul numero di tagli previsti per il 2024: almeno 5 per quelli americani ed europei e 3 per quelli svizzeri. Come già detto, a noi sembrano tanti... soprattutto quelli americani. Per l'economia europea, che necessita urgentemente di un aiuto, 5 tagli potrebbero essere appropriati... Al punto due chiariamo il perché.
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Punto due: in Europa i tassi potrebbero scendere prima di quelli americani
La scorsa settimana avevamo colto nelle parole della Lagarde toni e affermazioni che potevano anche lasciar pensare ad un suo ammorbidimento nei confronti di un taglio ai tassi, taglio che a suo dire sarebbe potuto avvenire solo e quando i dati in suo possesso avrebbero consigliato una tale mossa. Qualche dato che andrebbe in quella direzione questa settimana l'abbiamo visto.
Sembrerebbe che l'inflazione europea è sotto controllo e quel 2% a cui tutti anelano non è poi così lontano soprattuto ora che a condurre l'Europa verso la riduzione del rincaro ci pensa la crescita a zero, come certificano i numeri del PIL del quarto trimestre 2023 pubblicati questa settimana. Per un soffio non siamo quindi entrati in recessione tecnica (2 trimestri di crescita negativa) ma ci siamo andati vicinissimi soprattutto se pensiamo che la crescita complessiva europea nel 2023 è stata dello 0.08% e francamente parlar di crescita con questi numeri ci sembra un eufemismo.
Come al solito il quadro dello sviluppo economico europeo è piuttosto variopinto: si passa dalla recessione della Germania (-0.3%), alla crescita zero della Francia e ci lasciamo sorprendere dalla crescita della Spagna che, con un +2.5%, è al primo posto in questa classifica grazie alle spese pubbliche che lo stato iberico ha continuato a fare per tutto il 2023 (magari la Germania potrebbe prendere qualche spunto in merito...) condito anche da un afflusso di turisti che la sta mettendo in prima posizione anche nella speciale classifica dei paesi più visitati al mondo.
Ora già ci immaginiamo la battaglia in seno alla BCE con i falchi che consigliano vivamente di non commettere l'errore che fece Volcker che, tagliando troppo presto, riattizzò non solo le borse ma anche l'inflazione e le colombe che vedono nel rallentamento economico un conseguente contenimento del mercato del lavoro che condurrà la domanda di beni e servizi verso un naturale ridimensionamento. Se saremo confrontati con uno scenario simile e non si ammorbidirà un pochino la politica dei tassi una bella e verace recessione non ce la leverà nessuno.
Per conto nostro i tassi possono anche scendere e se scenderanno siamo convinti che lo faranno prima di quelli americani. Non che sia una questione di vita o di morte ma farebbe bene alle borse del nostro Continente e rafforzerebbe un po' il dollaro americano.
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Punto tre. Gli utili come condizione necessaria ma non sufficiente per far decollare le quotazioni.
La settimana che sta per finire è stata ricca di risultati aziendali e soprattutto le società maggiormente legate all'Intelligenza Artificiale hanno tenuto banco:
Per il momento tutte quelle che hanno pubblicato, tranne Tesla, hanno rispettato le attese e addirittura le hanno superate... Era abbastanza prevedibile ma quello che non abbiamo tenuto in debita considerazione è stata la reazione del mercato che nulla perdona:
Per Tesla il disappunto per aver mancato le aspettative non si è fatto attendere... Non è il momento delle auto elettriche, la concorrenza le obbliga (Tesla compresa) a ridurre i prezzi assottigliando in tal modo i margini di guadagno; anche le aspettative di crescita per il 2024 sono riviste al ribasso...
Microsoft, che ha pubblicato il 30 gennaio, è stata inizialmente "punita" per non aver espresso con chiarezza quanto, del risultato ottenuto, è stato realizzato grazie all'Intelligenza Artificiale... insomma un piccolo peccatuccio di comunicazione stava per costargli parecchio. Poi le cose si sono aggiustate nei giorni successivi ed ora, per un niente, è la società con la maggior capitalizzazione al mondo detronizzando la Apple.
...Alphabet: gli introiti pubblicitari presenti e futuri, sotto le aspettative, non sono piaciuti al mercato...
Apple è da qualche settimana che è in crisi con gli azionisti... Preoccupa la situazione cinese che è uno dei principali mercati per il melafonino. Fra parentesi, tecnicamente parlando, il gap rialzista che si era creato il 18 gennaio è stato coperto... un rischio in meno per gli amanti del titolo.
Amazon: sicuramente una delle società che per il momento trae grandi benefici dall'applicazione dell'Intelligenza Artificiale. Il mercato, visto gli utili sorprendenti, l'ha giustamente premiata e avrebbe addirittura meritato di più...
Chi esce veramente da vincitore, in questa tornata di risultati trimestrali, è indubbiamente Zuckerberg (Facebook) che è stato premiato con un aumento del 20% della propria azione ma non senza aver dato in cambio agli azionisti qualche cosa che non si vedeva da tempo, ovverosia:
- ha battuto le aspettative trimestrali del 25%
- ha ridotto nel 2023 l'organico del 22%
- annuncia un piano di riacquisto di azioni proprie dal valore di 50 miliardi
- ha proposto agli investitori il suo primo dividendo trimestrale... ci son soldi per farlo...
insomma con questi numeri è vincere facile! Ciò non toglie che, dopo essere stata la società che un paio di anni fa aveva subito la più grande distruzione in un sol giorno del suo valore di mercato, venerdì si è ampiamente rifatta mettendo a segno il più grande guadagno giornaliero della storia che le ha permesso di aggiungere quasi 197 miliardi alla sua capitalizzazione, 28 dei quali sono finiti nelle tasche di Zuckerberg. Neppure Apple era riuscita a fare tanto!
Insomma, con la Magnifiche 7 il mercato è particolarmente e comprensibilmente reattivo: se sbagliano qualcosa le bastonano ma se le promesse sono più che mantenute è ancora pronto a spedire le loro quotazioni a livelli spaziali. Con Meta ne abbiamo la prova!
Solo un'ultima curiosità messa in evidenza dal Corriere della Sera online:
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Sarete stufi, ma per finire diamo velocissimamente un'occhiata alle solite 4 borse:
Cosa dire dello S&P500 (+3.96% ytd)? L'AI e tutta la retorica che l'attornia sta facendo il suo lavoro e ci vien da dire che lo sta facendo fin troppo bene! Il trend rialzista di breve termine (le due linee verdi) è lì da vedere e per il momento non dà segnali di cedimento... siamo in ipercomprato dal mese di dicembre e per il momento ci restiamo... è chiaro che i Magnifici 7 stanno scompaginando le statistiche ma ciò non toglie che nel suo insieme questo indice è da considerarsi costoso:
...con un P/E medio degli ultimi13 anni di 18, oggi siamo attorno ai 22... non vuol dire che è pronto per una correzione ma è giusto sapere che non è a buon mercato...
... ma siamo confortati dall'amico Ned Davis. Una correzione seria la vede per il mese di maggio (ma restiamo comunque attenti...)
...anche il Nasdaq (+4.11% ytd) a maggior ragione ha voglia di rivedere il suo massimo storico... insomma ci sta provando ed il suo trend va giusto in quella direzione.
L'Eurostoxx50 (+2.94% ytd) sta entrando in una fase di consolidamento attorno ai 4600 punti... è ritornato ad essere in ipercomprato e l'incrocio della media mobile dei 100 giorni (linea verde) con quella dei 200 giorni (vedi freccia blu) sta dando significanza al movimento rialzista...
Per par conditio, se abbiamo visto il P/E dello S&P500, non possiamo non vedere quello europeo:
...è il P/E del suo fratello maggiore Eurostoxx600 ma va bene comunque: la media a 13 anni si situa attorno alle 15 volte gli utili e quindi ancora oggi questo indice è trattato con un leggero sconto che ci lascia maggiormente tranquilli rispetto al suo omonimo americano.
Ci eravamo illusi che lo SMI (+0.91% ytd) fosse pronto a regalarci qualche soddisfazione e gli 11'600 punti sembravano a portata di mano. Poi ci ha pensato la solita Roche a rompere le uova nel paniere ed ora saremmo già soddisfatti se riprendesse almeno il suo spostamento laterale (freccia verde)...
...purtroppo i risultati dell'ultimo trimestre sono stati disattesi e soprattutto le vendite di quasi tutti i farmaci più importanti sono state sotto le aspettative... Parlando con un amico che ha vaste competenze in ambito farmacologico ci ha messo sull'attenti: Roche è una delle società più serie che conosce in quest'ambito e non è sua abitudine far credere di essere sulla buona strada per risolvere i problemi del mondo. Con l'Alzheimer ad esempio ha fallito i suoi test più importanti ma potrebbe essere in buona compagnia: in generale la ricerca non è ancora dove vorrebbe essere e bisogna avere il coraggio, e Roche ce l'ha, di ammetterlo anche a costo di non risultare simpatici agli azionisti...
Godiamoci la domenica!
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