domenica 31 agosto 2025

Dollaro sempre più debole?

 Questa settimana siamo stati sollecitati da più parti a dire la nostra su quello che sarà l'evoluzione a breve del dollaro e dell'oro.  Abbiamo quindi ripreso in mano il quaderno degli appunti al fine di approfondire e puntualizzare quanto analizzato nel nostro ultimo intervento. 

L'intento, alla luce dei dati che sono stati pubblicati questa settimana, è quello di valutare se lo scenario che ci proietta verso un probabile taglio ai tassi americani può essere confermato. Le ripercussioni, se così sarà, le vedremo non solo sul dollaro (probabilmente al ribasso) e sui metalli preziosi ma ci sarà del movimento in arrivo anche per obbligazioni e titoli azionari. 

Comunque, per capire fino in fondo cosa sta succedendo alla valuta americana, non possiamo ignorare quello che sui quotidiani e nei siti finanziari di mezzo mondo sta tenendo banco e che l'Economist non esita a difinire come "la guerra di Trump alla Federal Reserve", una guerra  che potrebbe avere conseguenze poco simpatiche che cercheremo di mettere in risalto.

Ma partiamo da un dato statistico (clicca sul grafico se non vedi bene):



Le probabilità che il 17 settembre la FED proceda con un taglio ai tassi dello 0.25% sono, al 30 di agosto, dell'86.4% (alla fine di luglio erano del 63.3% e la scorsa settimana erano all'84.7%). Diciamo che un taglietto è praticamente quasi scontato. A quanto pare ciò che ha convinto Powell a diventare più dovish sono stati i dati sul mercato del lavoro che a suo giudizio è "in uno strano equilibrio": in sostanza ritiene che la domanda e l'offerta di lavoro stia rallentando all'unisono mantenendo artificiosamente stabile la disoccupazione ma riducendo in tal modo il respiro dell'economia. Noi, se ben ricordate, avevamo cercato segnali tangibili di un rallentamento della domanda e dell'offerta di lavoro, ma in realtà non ne avevamo trovati; ci era persino sorto il sospetto che il cambio di passo di Powell fosse una risposta alle sollecitazioni di Trump.



Ma un sospetto non è una certezza e ci siamo detti che forse bisogna indagare più a fondo in quanto è probabile che qualche cosa ci sia sfuggito. In effetti è possibile che non abbiamo dato il giusto peso alla revisione dei non farm payrols (i nuovi posti di lavoro non agricoli): sappiamo che questo dato è soggetto a revisioni anche piuttosto importanti ma quelle al ribasso di maggio e giugno (ovale rosso)  sono state impressionanti! Qui bisognerebbe aprire, ma oggi non lo faremo,  un dibattito sulla qualità sempre più scadente dei dati raccolti dal Bureau of Labor Statistics, qualità che è costata il posto di lavoro al suo direttore licenziato sui due piedi da Trump. Dovremo aspettare il 5 di settembre per avere il prossimo dato ma quella prima stima di 73'000 posti di lavoro, pochini a dir la verità, non promette nulla di buono e probabilmente giustificherà il taglio del 17 settembre. 


Anche il PCE (l'indicatore di inflazione americana preferito dalla FED) per il mese di luglio è rimasto stabile: per il momento, malgrado i dazi, non sembrano esserci spinte eccessivamente inflazionistiche ma forse per cantare vittoria è un po' presto. Vedremo quando le scorte di magazzino, accumulate in fretta e furia prima dell'applicazione dei dazi, saranno terminate e poi ne riparleremo. E' comunque un altro dato che dovrebbe, nel breve termine, tranquillizzare Powell e permettergli di tagliare i tassi senza troppi patemi d'animo e con buona pace del dollaro che continuerà con ogni probabilità ad indebolirsi.

Altra informazione di servizio che potrebbe indebolire ulteriormente il dollaro è giunta martedì: a quanto pare la Banca Nazionale Svizzera (piccolina ma vanta un trilione di dollari di riserve valutarie, terzo istituto al mondo; 39% sono in dollari e 37% in euro) intende vendere dollari contro euro (!) per meglio bilanciare i suoi investimenti. Ovviamente non è stato dichiarato di quale importo stiamo parlando ma i cambisti di mezzo mondo credono che le cifre in ballo non siano indifferenti... (per inciso la BNS ha anche detto che NON acquisterà bitcoin e NON aumenterà le riserve di oro).


Insomma, Trump tutto sommato sta ottenendo quello che vuole: un dollaro debole!  Nei confronti di un paniere contenente le principali 6 valute a livello mondiale (DXY) ha già perso da inizio anno il 10%... andare ancora più giù, ahinoi, non è impossibile. Tra tassi al ribasso, banche nazionali che vendono e, diciamocelo, un'America che sta tirando i remi in barca nei confronti del resto del mondo non vediamo come sia possibile per il momento cambiare il trend discendete. 

E' noto a tutti che una valuta nazionale eccessivamente debole, soprattutto per una nazione grande importatrice com'è l'America, è potenzialmente foriera di un'inflazione in (forte) crescita che trascinerebbe i tassi proprio dove Donald non vorrebbe, al rialzo!  Vi segnaliamo che lo spread tra i tassi a corto - quelli fino a 2 anni controllati direttamente dalla banca centrale - e quelli a lungo "decisi" dal mercato è al massimo degli ultimi 3 anni a significare che gli investitori sono preoccupati per l'inflazione futura e se, come evidenziato dall'Economist, la guerra contro la FED dovesse continuare fino a minarne l'indipendenza le cose potrebbero solo che peggiorare. E' il maggior pericolo per la valuta americana che noi conosciamo e su questo tema dobbiamo, abbiate pazienza, fermarci un attimo per mettere bene in chiaro cosa potrebbe succedere. 

Sappiamo tutti che il ruolo di una Banca Centrale, detto in maniera parecchio generica,  è quello di stabilizzare l'inflazione attraverso la manipolazione dei tassi di interesse. La particolarità di quella Americana (FED) è di aver ricevuto un doppio mandato sancito dal Congresso USA che si esplica in:

    • Favorire la massima occupazione possibile nel lungo termine.
    • Stabilizzare i prezzi: ovverosia mantenere l'inflazione attorno al 2%.

    Riassunto all'osso: deve tenere l’inflazione sotto controllo senza soffocare l’economia mantenendo l’occupazione la più alta possibile.

    Per raggiungere i suoi obiettivi una Banca Centrale deve avere un'autorevolezza che le deriva da un mix di almeno tre fattori:

    • Legittimità: deve avere un chiaro mandato riconosciuto dallo Stato;
    • Credibilità: le deriva dalla fiducia dei cittadini ma soprattutto dei mercai grazie a risultati eccellenti e alla coerenza nei comportamenti;
    • Indipendenza dalla politica: NON deve essere soggetta a pressioni, soprattutto nel breve termine, di alcun genere da parte dell'apparato governativo.
    Se parlate con un qualsiasi economista a proposito dell'autorevolezza di una Banca Centrale vi accorgerete che il terzo punto è quello imprescindibile ed irrinunciabile. Ora poniamoci una domanda: 

    Gli Usa sono uno dei paesi più indebitati al mondo in termini assoluti: cosa significa avere una FED che non è totalmente indipendente dal potere politico? La domanda è importante perché in gioco c'è il rapporto tra debito pubblico, la politica e la banca centrale.

    Il debito pubblico statunitense si avvicina a grandi passi ai 37 trilioni di dollari e per il momento gli americani riescono a finanziarlo senza troppi problemi essendo il dollaro valuta di riserva globale. La domanda di dollari rimane per il momento ancora elevata così come resta elevata la richiesta dei buoni emessi dal Tesoro (Treasury). Ma se non ci fosse una FED indipendente che fa da garante e i mercati iniziassero a dubitare che la banca centrale americana stampa dollari solo per aiutare il governo a ripagare i suoi debiti, dove pensate che andrà a finire la sua valuta?

  • Per rispondere a questa domanda basta osservare cosa è successo al dollaro da quando Trump ha preso di mira Powell con epiteti di vario genere e ne ha minacciato a più riprese il licenziamento. Sta cercando di licenziare, a suo dire per giusta causa, la governatrice Lisa Cook che non sta dalla sua parte ed ha pure nominato un paio di governatori compiacenti. Altrettanto compiacente dovrà essere il nuovo presidente della FED quando Powell, a maggio 2026, terminerà il suo mandato: la nomina sarà annunciata probabilmente molto prima del solito, tanto per rompere le scatole all'attuale governatore, e per imporre il più presto possibile la nuova via da seguire che avrà in Donald la sua fonte di ispirazione. 

    Ecco quindi spiegato come mai il dollaro, in neppure 8 mesi, ha perso il 10%  del suo valore e questo è un campanello d'allarme che non va sottovalutato. Abbiamo quindi chiesto a ChatGpt di riassumere quali sono i rischi di una FED poco indipendente. La risposta deve far riflettere:

    Se la FED diventasse troppo legata al Tesoro USA (cioè al governo), potrebbero verificarsi i seguenti inconvenienti:

    • Monetizzazione del debito
      → la FED comprerebbe sistematicamente titoli di Stato per tenere bassi i tassi e aiutare il governo a finanziarsi.
      → effetto: rischio inflazione e perdita di fiducia nel dollaro.

    • Inflazione come “tassa occulta”
      → se la FED privilegia la riduzione del costo del debito rispetto alla stabilità dei prezzi, i cittadini pagano il debito pubblico attraverso l’erosione del potere d’acquisto.

    • Crisi di fiducia internazionale
      → i Paesi che detengono Treasury (es. Cina, Giappone, fondi sovrani) potrebbero dubitare della sostenibilità americana → pressione sui tassi (che schizzerebbero al rialzo, ndr) e sul dollaro.

    Insomma, ci siamo capiti: se vogliamo un dollaro che non perda in 8 mesi qualche cosa che equivale al rendimento di 2 anni e mezzo di un normale Treasury quinquennale, bisogna proteggere la banca centrale e soprattutto Trump deve smetterla di attaccarla ogni due per tre. Ma se non si ha voglia di difenderla è a questo punto che entra in scena il metallo giallo.

    Abbiamo capito che uno dei rischi di avere una FED meno indipendente è quello della monetizzazione del debito pubblico (si stampano dollari per acquistare Treasury) e notoriamente una simile azione spedirebbe l'inflazione prepotentemente verso l'alto (Per maggiori informazioni chiedere alla Turchia). A questo punto l'oro fisico è uno dei pochi beni reali che non è stampabile a piacimento e che sopravvive persino al default di uno stato sovrano. La sua scarsità è un'alternativa credibile che fa da contraltare alla svalutazione monetaria.


    E' da aprile che l'oro si trova in una fase di consolidamento laterale evidenziata dal triangolo rosso: era abbastanza plausibile, con tutta l'instabilità geopolitica in circolazione, che la rottura del triangolo sarebbe stata verso l'alto come sembra stia accadendo (vedi cerchio nero). Se anche la prossima settimana ne avremo la conferma definitiva è probabile che si sta aprendo la strada verso i 3'600 $ entro marzo 2026 come segnalato la scorsa settimana da UBS; il nostro target, tecnicamente stabilito,  è addirittura attorno ai 3'800 $ per oncia. Ci sentiamo di escludere un target ribassista a 2'900 $. Quindi, come spesso abbiamo ripetuto, chi ha dell'oro se lo tenga!

    ***

    Prima di passare alla consueta analisi dei grafici vogliamo puntualizzare che la settimana che si sta per concludere è stata avara di movimenti e le performance degli indici americani sono praticamente piatte rispetto a 5 giorni fa: limiteremo quindi il nostro commento all'essenziale.  Non si sono invece comportate benissimo le borse europee che probabilmente stanno soffrendo a causa delle turbolenze politiche della Francia. Quando lo stato condotto da Macron entra in crisi ci si può aspettare di tutto: dagli scioperi selvaggi alle barricate dei Gilets Jaunes e questa incertezza non piace ai mercati infatti sono stati  tutti penalizzati con delle minusvalenze di 3 o 4 punti percentuali.



    Lo S&P500 ( +9.84% ytd) ha durante la settimana messo a punto un nuovo massimo storico ma non è riuscito a confermalo fino a venerdì dove la seduta si è chiusa in negativo; i volumi sono stati calanti praticamente in tutte e 5 le sedute e questo dimostra che comunque le inquietudini per il momento sono ancora limitare. Comunque nulla di cui preoccuparsi seriamente: l'indice rimane per il momento saldamente all'interno del canale ascendente con obiettivo per fine anno attorno ai 6'600 punti. Inizieremo a innervosirci seriamente quando vedremo delle sedute negative con volumi in netta crescita a significare che gli investitori stanno riducendo significativamente il rischio.


    Anche il Nasdaq (+11.11% ytd) malgrado i dati più che decenti (ma senza grosse sorprese) di Nvidia pubblicati mercoledì, non è stato in grado di chiudere la settimana con un massimo storico. Non ne siamo molto lontani ma francamente a noi quel che interessa è che il suo trend possa continuare nella direzione di una crescita che non sia eccessivamente verticale garantendone la continuità nel medio termine. Non abbiamo un target specifico: ci accontentiamo che rimanga all'interno del canale ascendente segnato dalle due linee verdi!


    Peccato! Avremmo sperato che l'Eurostoxx50 (+9.31% ytd) fosse stato in grado di rompere la resistenza posta a 5'470 punti ma le vicissitudini francesi non l'hanno permesso. Ha fatto una correzione di quasi 4 punti percentuali e per il momento si è adagiato sulla media mobile dei 50 giorni (linea viola) che fa da supporto. La correzione non è molto significativa in quanto avvenuta con volumi calanti per tutta la settimana. E' probabile che per un po' assisteremo ad uno spostamento laterale in un range tra i 5.140 e i 5'470 punti. 

    ***

    Prima di farvi vedere il grafico dello SMI vorremmo mostrarvi una selezione di obbligazioni societarie in franchi svizzeri appena emesse che abbiamo intercettato questa settimana:


    Ripetiamo spesso che con i rendimenti obbligazionari attuali (vedi rettangolo rosso) non andiamo molto lontano: le obbligazioni, della durata tra i 4 e gli 8 anni, non hanno rendimenti stratosferici e per avvicinarci ad 1 punto percentuale dobbiamo spostarci verso la BBB,  che è sempre un investment grade, ma insomma... 
    Considerate che per quanto concerne le obbligazioni della Confederazione Elvetica (AAA) fino a 5 anni i rendimenti sono negativi !
    Quindi, ribadiamo che una delle poche alternative valide se si vuol investire il franco svizzero rimane il mercato azionario (con i suoi rischi...)


    Cosa possiamo dire dello SMI (+5.06% ytd)? Per il momento non moltissimo: eravamo galvanizzati dal fatto che la scorsa settimana, finalmente, avesse messo a punto una performance da non disdegnare, poi anche lui è stato fagocitato nel marasma delle vicende francesi e si è spento. Fondamentale è che regga il supporto a 12'130, altrimenti si ritorna nel canale di consolidamento degli ultimi 3 mesi e la cosa non ci piace...
    Comunque sia i dazi al 39% sono l'incubo quotidiano dei nostri politici, KKS in testa (è oramai così che viene nominata Karin Keller Sutter l'attuale Presidente della Confederazione di fede liberale): come rileva il Corriere del Ticino del 29.8.25, "secondo alcune indiscrezioni, Svizzera e Stati Uniti starebbero discutendo un accordo che prevede una correzione graduale dell'aliquota subordinata al rispetto di precise condizioni poste da Washington a Berna." ben consci che Trump non approverebbe mai una riduzione al 15% in un'unica soluzione.
    Solo per info:  in Ticino il 23% delle aziende non riesce ad assorbire i dazi al 39% (+ il 10% di svalutazione del dollaro, ndr)  e sta già pensando a una delocalizzazione... E' quindi urgentissimo accelerare le discussioni con gli americani ma, per favore, questa volta lasciamo che KKS si occupi d'altro! 

    ***


    Cosa ne pensiamo del dollaro oramai lo sapete. E' imperativo che Trump la smetta di sminuire il ruolo della FED ma forse è chiedere troppo. Quindi: o dollaro/franco tiene quota 0.80 oppure la prossima settimana ce lo ritroveremo verso i minimi dell'anno. Il trend delle ultime settimane è chiaro.


    Discorso simile anche per euro/usd: per il momento lo scorrimento è laterale me nessuno ci toglie dalla testa che prima o poi, se la retorica trumpiana non cambia, vedremo l'1.19.


    Euro/franco più laterale di così si muore. Certo che se la BNS vende dollari per comprare euro non influenza direttamente la coppia euro/franco ma è comunque un segnale che forse si sente più a suo agio aumentando le riserve in euro che non lasciarle in dollari. E' tutto dire ed indirettamente non è un brutto messaggio per l'euro...

    Buona domenica!

    PS: vi sarete accorti che sulla capoccia di Donald gli è arrivata una bella tegola: una corte d'appello gli ha bloccato i dazi in quanto "sono in gran parte illegali": ecco cosa è successo e quali potrebbero essere le conseguenze (mille grazie ancora a ChatGPT):

    Cosa è successo

    • Sentenza della Corte d’Appello: Con un voto di 7‑4, la corte ha stabilito che la maggior parte dei dazi imposti da Trump tramite l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) sono illegali: il presidente ha superato i limiti dei propri poteri, in quanto solo il Congresso può autorizzare l’imposizione di dazi The Times of India+11Investors+11TIME+11.

    • Dazi ancora in vigore… per il momento: La sentenza sarà temporaneamente sospesa fino al 14 ottobre 2025, concedendo al governo tempo per presentare ricorso alla Corte Suprema The Guardian+6The Guardian+6The Times of India+6.


    Possibili scenari futuri

    1. Appello alla Corte Suprema (SCOTUS)
      L'amministrazione Trump ha già confermato l’intenzione di ricorrere alla Corte Suprema, che avrà l’ultima parola sull’uso dell’IEEPA per imporre dazi. Se la SCOTUS accogliesse l’appello, i dazi potrebbero essere confermati; in caso contrario, scatterebbe l’annullamento The Times of India+14The Washington Post+14Forbes+14.

    2. Rimborso agli importatori
      Se la sentenza venisse confermata — e quindi i dazi dichiarati illegittimi — il governo potrebbe dover rimborsare aziende e importatori per i dazi già versati, con effetti finanziari potenzialmente ingenti InvestorsBarron'sThe Guardian.

    3. Impatto sui mercati e sui tassi
      I tradizionali introiti derivanti dai dazi (circa 28 miliardi $ solo a luglio) sono un’importante fonte di finanziamento per il bilancio federale. La loro possibile revoca potrebbe aumentare il fabbisogno di emissioni obbligazionarie e spingere in alto i rendimenti dei Treasury a lungo termine, con ripercussioni anche sulle decisioni della Federal Reserve ForbesBarron's.

    4. Dazi alternativi attraverso il Trade Act del 1974
      I giudici hanno osservato che, pur non essendo autorizzati i dazi tramite IEEPA, il presidente potrebbe usare il Trade Act del 1974, che però impone limiti: massimo 15% per 150 giorni TIME+3Wikipedia+3The Washington Post+3.

    5. Ripercussioni sulla politica commerciale futura
      Una vittoria della Corte Suprema limiterebbe significativamente la capacità del Presidente di agire per decreto in materia di dazi. Ciò rilancerebbe il ruolo del Congresso nelle decisioni commerciali. 

      Ovviamente: affaire à suivre!

  • domenica 24 agosto 2025

    Powell spoke !



    Con i principali operatori dei mercati finanziari di mezzo mondo ancora a pancia all'aria su qualche spiaggia deserta, è stata una settimana relativamente tranquilla e tutta l'attenzione si è concentrata sulla giornata di venerdì 22 agosto in occasione dell'annuale scampagnata di un buon numero di banchieri centrali che, come ogni anno, si danno appuntamento a Jackson Hole. Ovviamente mai come quest'anno, anche perché in veste di presidente della FED ha fatto in questo contesto la sua ultima apparizione, tutta l'attenzione era rivolta all'intervento di Powell che, a dir la verità, ci ha lasciato un pochino con le idee confuse.  

    Proviamo a ridurre all'osso quanto esternato del presidente della FED:

    1)  Powell ha lasciato intendere che l’equilibrio dei rischi economici è cambiato:  ha osservato che il mercato del lavoro si trova in un "curioso equilibrio", segnato da un rallentamento sia dal lato della domanda che da quello dell'offerta di lavoro. In queste condizioni l'economia americana è esposta a dei rischi occupazionali al ribasso potenzialmente rapidi e la qualcosa deve aver turbato il sonno a Jerome. Infatti questa nuova situazione gli suggerisce che potrebbe essere opportuno iniziare ad allentare la stretta sui tassi. Strano, fino ad oggi non ci sembrava che il mercato del lavoro fosse in questo precario equilibrio...

    Siamo andati a vedere gli ultimi dati a disposizione tanto per cercare di capire cosa Powell ci sta dicendo. Un buon indicatore per la domanda di posti di lavoro è rappresentato dall'Initial Jobless Claims (tiene conto di quante persone hanno fatto per la prima volta domanda per l'indennità di disoccupazione: si presume, indirettamente, che saranno anche quelle che andranno a cercare un nuovo lavoro) mentre l'offerta di posti di lavoro é misurata dal JOLTS

    Facciamo parlare i numeri:


    Per quanto riguarda le nuove richieste di disoccupazione (dato raccolto addirittura settimanalmente e quindi molto attuale) a noi sembra che la situazione sia parecchio stabile da almeno due anni e mezzo...


    ... e lo stesso dicasi per l'offerta di posti di lavoro (JOLT) che negli ultimi dodici mesi ci sembra piuttosto regolare. Voi intravvedete una qualche forma di rallentamento? A noi, per il momento, pare propio di no.

    Francamente qualche cosa ci sfugge: forse i numeri che ha a disposizione Powell non sono quelli che vengono di norma pubblicati? Dobbiamo dubitare della loro qualità? E' vero che in America si è aperto un delicatissimo dibattito attorno al ruolo del Bureau of Labor Statistics che, come altri enti statali,  è stato vittima di forti riduzioni di personale con la conseguente diminuzione della qualità dei dati prodotti.  E' quindi  lecito pensare che tutto quello che ci viene esposto in termini di numeri e statistiche, d'ora in poi sia da prendere con le pinze? Speriamo di no!

    2) Ancora più sorprendente è stata una seconda affermazione di Powell: "Per quanto riguarda l'inflazione, l'aumento dei dazi ha iniziato a spingere al rialzo i prezzi di alcune categorie di beni (...) Gli effetti dei dazi sui prezzi al consumo sono ora chiaramente visibili e prevediamo che tali effetti si accumuleranno nei prossimi mesi con un'elevata incertezza sui tempi e sugli importi". E fin qui tutto nella norma... Ovverosia abbiamo ancora troppe incognite davanti a noi per poterci muovere con una certa scioltezza in termini di riduzione del costo del denaro.  Poi, colpo di scena, se ne esce con un'affermazione che è tutta da interpretare: "è vero che i dazi stanno spingendo i prezzi al rialzo, ma ritengo che il loro effetto base sarà probabilmente temporaneo". In effetti potrebbe aver ragione: l'applicazione dei dazi ha un effetto rialzista una tantum sul rincaro ma, ammesso e non concesso che siano stabili (con Trump non si può mai sapere...), non dovrebbero creare una spirale inflazionistica.  

    Ma, come ha lui stesso affermato, vi è ancora molta incertezza sui tempi e sugli importi. Sarebbe dunque prudente attendere; tuttavia, ispirato dall’aria fina del Wyoming, ha cercato di far capire agli astanti che il momento per un allentamento dei tassi sembra avvicinarsi. Quando? Probabilmente già a settembre! E ne sarebbe previsto un altro entro fine anno... 

    Non abbiamo sentito i 92 minuti di applausi ininterrotti di fantozziana memoria dei colleghi di Powell ma abbiamo registrato la reazione dei mercati:


    Nei rettangoli rossi abbiamo la chiusura dei mercati americani di venerdì (eccellente) mentre quelli europei stavano già preparandosi per il week end al momento dell'intervento di Powell e ci attendiamo un'apertura piuttosto buona lunedì mattina.


    Anche i rendimenti dei Treasury americani si sono tutti indirizzati al ribasso...

    ... ed il reddito fisso in dollari sta iniziando a dare qualche discreta soddisfazione.




    ... chi ovviamente non ha gradito l'intervento di Powel è stato il dollaro:  venerdì ha chiuso in netto ribasso rispetto a quanto fatto durante la settimana sia contro franco che contro euro.

    Prima di passare ad altro, sfumata l'euforia per un possibile taglio dei tassi americani fra una ventina di giorni, dobbiamo confessarvi che una domanda ci è passata per la testa: non è che Powell, magari inconsciamente, stia cedendo alle sempre più frequenti richieste di Trump per un taglio dei tassi qui ed ora? Datevela voi una risposta...

    ***

    Certo, dopo quanto ascoltato a Jackson Hole, non possiamo che essere contenti; per i mercati azionari (ma non solo...) un possibile allentamento della politica monetaria americana può rappresentare quel tipo di carburante che può farci continuare a ben sperare. Dobbiamo comunque sempre tenere presente che più si sale più i mercati diventano cari. Riprendiamo la chiusura dei mercati di venerdì:


    Nei rettangoli blu possiamo osservare i P/E dei diversi mercati e quelli americani non ci lasciano indifferenti. Sono molto alti e una correzione, a maggior ragione in assenza di un miglioramento degli utili, potrebbe essere di una certa utilità...


    ma a quanto pare gli utili dello S&P500 (grazie AI !) ultimamente sono quasi sempre rivisti al rialzo. Nel grafico la previsione di Citigroup alla quale noi non ci opponiamo!

    I P/E europei sono invece ancora piuttosto ragionevoli e soprattutto vi vogliamo segnalare quello del mercato Svizzero: è sempre stato uno mercato "caro" rispetto alla concorrenza europea mentre ora, soprattutto a causa dei dazi di Trump, ce lo ritroviamo quotato decentemente, anzi:


    come ci segnala Bloomberg "le azioni svizzere sono scambiate al premio più basso rispetto ai titoli azionari più importanti d'Europa negli ultimi quattro anni". C'è da sperare che il 39% di dazi sia solo temporaneo (i tecnici di entrambi i Paesi sono ancora all'opera...)  e quindi non perdiamo d'occhio il nostro mercato che potrebbe darci quelle soddisfazioni che in questo momento ci sono parzialmente negate.


    Pure Ned Davis ci sta dicendo di stare tranquilli: meglio un consolidamento laterale di 3-4 mesi che non 3-4 punti percentuali di correzione. Vedremo se effettivamente un eventuale taglio ai tassi darà una inaspettata spinta verso l'alto, spinta che per l'algoritmo di Davis sarebbe prevista non prima di novembre.



    Certo che lo S&P500 ( +9.95% ytd) non si stanca mai di flirtare con i massimi storici. Anche questa settimana ci è andato molto vicino. Tecnicamente si trova all'interno di un canale ascendente che ha una pendenza senz'altro più sostenibile nel medio termine che non quella mostrata durante il recupero avviatosi nei mesi di aprile-maggio. Questo ci piace in quanto ci mette parzialmente al riparo da correzioni troppo vistose. Ciò non toglie che i massimi sono sempre i massimi e per essere sostenuti abbiamo bisogno del solito carburante: gli utili societari, che a quanto pare non sembrano mancare. 

    Segnaliamo un golden cross (cerchio verde) tra la media mobile a 100 giorni (linea verde) e la media mobile a 200 giorni (linea blu). Questi incroci sono sempre in ritardo - non può che essere così - ma infondono sicurezza per quanto riguarda soprattutto il trend ascendente del mercato sul medio periodo.

    I volumi, completamente assenti questa settimana, sono tornati tra giovedì e venerdì segno che qualche operatore dalle vacanze sta tornando. L'attività riprenderà comunque a pieno regime la prossima settimana.



    Chi non sta più nella pelle è il Nasdaq (+11.32% ytd). Già galvanizzato dall'AI ora, con la prospettiva di uno o due tagli ai tassi, sta mettendo il turbo. Infatti molte aziende tecnologiche consumano molto capitale che sovente è preso in prestito: una riduzione dei costi di indebitamento fa bene a tutte le società ma a quelle tecnologiche ancor di più!

    Anche questo indice sta beneficiando di un golden cross delle medie mobili simile a quello dello S&P50; pure i volumi si stanno risvegliando. Avanti così!


    Abbiamo fatto tanti complimenti ai mercati azionari americani ma pure quelli europei non sono da disdegnare! L'Eurostoxx50 ( +12.10% ytd) è pure lui ad un passo dal massimo storico. Se sfonda la resistenza dei 5'470 punti non ci sorprenderemmo più di tanto se ne aggiungesse altri 2 o 300 all'attuale quotazione. Lasciamo finire il mese di agosto e poi vedremo...



    Del mercato svizzero ne abbiamo già parlato: lo SMI (+5.72% ytd) deve stringere i denti! E' un indice composto in gran parte da aziende che fanno la loro fortuna con le esportazioni ed oltre alla forza del franco devono affrontare i dazi americani al 39%. A proposito di quest'ultimi  qualche analista è più che convinto che il 39% sia solo temporaneo e si troverà una via per far ragionare anche un testone come Trump: qualche danno al consumatore americano questi dazi lo faranno e qualcuno andrà pure a bussare alla porta di Donald... Comunque lo SMI,  dopo lo scoramento iniziale, si sta già portando avanti con i lavori. Il fatto di essere quotato decentemente anche nei confronti della concorrenza europea può essere di certo un vantaggio; i rendimenti obbligazionari, quasi a zero, faranno il resto.  Attenzione, siamo comunque in ipercomprato e raggiungere i 12'400 punti in poco tempo non sarà facile. Vediamo se lunedì mattina verremo smentiti!

    ***


      Come già sottolineato il dollaro non ha molto gradito l'intervento di Powell a Jackson Hole: come non capirlo. Purtroppo contro franco possiamo probabilmente dire addio all'idea di vederlo arrampicarsi fino agli 83 centesimi. Anzi, rotto il supporto a 0.8050, dobbiamo preoccuparci per il cambio di tendenza e non escludiamo di vederlo nuovamente attorno ai 79 centesimi.



    Anche contro euro il dollaro ha perso terreno: siamo comunque propensi a credere che il suo spostamento rimarrà all'interno del range 1.1430 - 1.18/1.19. Non sarà da escludere un lungo spostamento laterale come già successo negli anni precedenti. Vedremo se la riduzione dei tassi americani sarà seguita anche da una mossa simile da parte della BCE. Da come si stanno muovendo i rendimenti sul Bund comunque non ne siamo così sicuri. Se i tassi EU resteranno stabili è probabile che 1.19 lo si vedrà.


    Euro/franco quest'anno è una noia mortale ma meglio così. Da inizio anno le due monete sono flat e per chi ha euro e ragiona in franchi questo stato di cose ci offre un piccolo vantaggio: infatti la resa del franco è letteralmente uguale a zero (addirittura le obbligazioni della Confederazione fino a 5 anni offrono un tasso negativo) mentre con l'euro almeno un paio di punti percentuali e anche di più li porti a casa.



    Il possibile taglio ai tassi americani ha ridato un po' di carburante all'oro che sta comunque ancora in una fase di consolidamento: la prospettiva di almeno due tagli dovrebbe dare al metallo giallo la forza per tentare di uscire dal triangolo rosso e puntare almeno verso i 3'600 $ per oncia entro marzo 2026 come prevede UBS. Se qualcuno, per motivi suoi, deve liberarsi dell'oro, lunedì è da farsi... ;-)


    Buona domenica!


    sabato 16 agosto 2025

    Trump-Putin: apparentemente un nulla di fatto

     Chiediamo subito venia, ma questo nostro intervento lo effettuiamo in condizioni non ottimali e quindi ci limiteremo, considerata la nostra scarsa memoria, a segnalare alcuni dati ed un evento che approfondiremo, se necessario, la prossima settimana.


    Iniziamo dall‘evento che non può che essere l‘incontro di Trump e Putin in Alaska sul quale si poteva anche avere qualche aspettativa, se non per una risoluzione immediata del conflitto tra Russi ed Ucraini, almeno per ottenere una indicazione su quale è la via da intraprendere per raggiungere un‘intesa duratura. Nulla di tutto questo è ovviamente avvenuto e temiamo che il vero meeting sia durato 10 minuti, giusto il tempo per Putin di salire sulla Bestia (The Beast l‘auto presidenziale di Trump) dove i due si sono detti a quattr’occhi , in assenza di interpreti e altri possibili testimoni, probabilmente tutto quello che andava detto… tutto il resto consideriamolo un insipido companatico che qui riassumiamo velocemente:

    • Solo per fini statistici, annotiamo che Putin mancava dagli USA da 10 anni e sono passati 6 anni dall’ultimo incontro con Trump. L‘accoglienza, da tappeto rosso, è stata sfarzosa tanto per impressionare l‘ospite come si deve (ammesso e non concesso che Putin sia un tipo impressionabile…)
    • L‘obiettivo era quello di trovare un accordo per porre fine alla guerra in Ucraina ma, per lo meno formalmente, come c‘era da aspettarselo NON è stato raggiunto. Ovviamente sono stati fatti grandi passi avanti ma tutto finisce lì anche perché a quanto pare c‘è un „grosso motivo“ , dice Trump, che impedisce la pace ma non è dato sapere quale… quindi siamo ancora ai piedi della scala.
    • Putin insiste sulla necessità di affrontare le „cause profonde“ del conflitto e sostiene che il contesto nel quale si sono tenuti i colloqui è stato „costruttivo e rispettoso“. Meglio così.
    • Al termine dell‘incontro è stata organizzata una conferenza stampa che probabilmente passerà alla storia, considerata l‘importanza dell‘evento, come una delle più brevi mai tenute: Putin ha parlato per 8 minuti e il suo omologo americano per 4 dove nulla è praticamente stato svelato alla stampa e le domande dei giornalisti non sono state ammesse. Alcuni commentatori hanno definito l‘incontro un „anticlimax diplomatico“.
    • Due cose sono da ritenere: lunedì 18 agosto Zelensky sarà a colloquio con Trump in quel di Washington e speriamo che questa volta si porti un abile traduttore. In Europa invece circola per il momento un sentimento di scampato pericolo in quanto si ritiene che una pace senza consultare l‘Europa stessa e senza il coinvolgimento di Zelensky sia un puro e sterile esercizio di stile. Quindi affair à suivre.
    Per quello che ci concerne o meglio, per quel che concerne la finanza di mezzo mondo, riteniamo che l‘incontro sia un no event e quindi non dovrebbe avere per il momento un‘influenza determinante sull‘apertura dei mercati lunedì mattina. Quel che importa è che dai colloqui di venerdì sia stata tracciata una via da seguire per raggiungere una pace speriamo duratura.  Meglio di niente. Non sarà facile ma volgiamo sperare che questa volta sia quella buona. Un po‘ di pazienza è comunque ancora richiesta.

    A questo punto, per capire cosa può succedere nelle prossime settimane ai mercati finanziari, bisogna passare la palla ai dati macroeconomici (soprattutto americani) e nei giorni scorsi ne sono stati pubblicati alcuni piuttosto significativi:

    • Il 12.08 era attesissimo il dato sull’inflazione americana: CPI yoy: 2.7% (atteso: 2.8%; precedente: 2.7%); Core CPI yoy: 3.1% (atteso: 3.1%; precedente 2.9%). Grossi incrementi in termini di inflazione non se ne vedono ancora. Probabilmente è ancora un po‘ presto ma prima o poi qualche segnale in tal senso lo dovremo vedere. I dazi qualcuno li dovrà pur pagare e se non sono le aziende (che continuano imperterrite a publicare dati più che decenti) saranno gli importatori e in seconda battuta i consumatori che se ne dovranno far carico. Se così non fosse dovremo correre con una certa urgenza a riscrivere una buona parte dei manuali di macroeconomia.
    • Giovedì 14 agosto anche i dati riguardati i costi alla produzione in America erano parecchio attesi: PPI yoy luglio: 3.3% (atteso: 2.5%; precedente: 2.3%); Core PPI yoy luglio: 3.7% (atteso: 3%; precedente: 2.6%). Insomma, se l‘inflazione per il momento sembra non muoversi più di tanto, per quel che concerne i costi di produzione, che sono storicamente correlati con uno scarto di qualche mese all‘inflazione, stanno aumentando. Le cause possono essere parecchie: materie prime più care, aumento dei salari, maggiori costi energetici e di trasporto, tassi di cambio poco favorevoli (pensiamo al dollaro debolissimo) e non da ultimo tiriamo pure in ballo i dazi. Come reagirà la FED? Buona domanda: per il momento il mercato si aspetta, con un 92.1% di probabilità, un taglio ai tassi a settembre. E‘ probabile, ma il PPI di luglio inquieta…


    ***


    Vogliamo concludere questo nostro breve intervento con un‘annotazione: come appare evidente anche dal grafico di Ned Davis i mercati azionari per il momento sembrano essere anestetizzati e non c‘è brutta notizia che li possa far correggere in nodo evidente. Non che la cosa ci dispiaccia ma ci stiamo chiedendo cosa li sta tenendo, per lo meno quelli americani, appiccicati ai massimi storici. Pure quelli europei non sono poi così malaccio. Sarà la prospettiva di un taglio a settembre? I dazi fanno paura ma anche no? Gli utili societari sono ancora più che decenti? Il reddito fisso non ci regala più niente e giocoforza, rischio per rischio, andiamo dove le probabilità di guadagnare qualche cosa sono più alte? Probabilmente è una combinazione di tutti i fattori che abbiamo menzionato. Ciò non toglie che il nostro metodo di lavoro non cambia: seguiamo il trend. Fino a quando continua a salire o si sposta lateralmente noi teniamo le posizioni (incrementarle con decisione a questi livelli non è una decisione che si prende facilmente…) In caso di evidenti segnali di un cambiamento di rotta ve lo faremo sapere e forse qualche presa di profitto andrà fatta.

    Buon fine settimana!





    domenica 10 agosto 2025

    Dazi: riordiniamo le idee

     Vorremmo parlare d'altro ma la settimana è stata particolarmente avara di dati macroeconomici e finanziari quindi, gioco forza, tutta l'attenzione della comunità finanziaria internazionale è stata catturata dall'effettiva introduzione il 7 di agosto dei dazi americani che, secondo le intenzioni di Donal Trump, metteranno fine alle ruberie dei Paesi che esportano verso gli USA.




    Il panorama dei dazi è assai variegato come ha ben evidenziato l'infografica del Corriere della Sera di un paio di giorni fa: si parte da un minimo del 10% (per tutti), al 15% dell'Europa fino all'esorbitante 39% della Svizzera e a qualcuno è pure andato peggio!  Sul dazio svizzero torneremo a spendere qualche parola fra poco. 

    Prima, scopiazzando lo stile giornalistico di Marzullo — quello che, mentre ti intervista, all’improvviso ti butta lì un “fatti una domanda e datti una risposta!” — vorremmo riordinare un po’ le idee attorno al tema dei dazi. Procediamo quindi con le nostre domande seguite dalle nostre risposte:

    • A cosa servono i dazi imposti da Trump? E' convinzione dell'Amministrazione Trump che i dazi imposti da Donald servono a compensare le minori entrate fiscali — a seguito dei tagli alle imposte societarie — e a diminuire l'indebitamento dello Stato che come sappiamo è fortemente fuori controllo. Facciamo due calcoli.  Il taglio alle tasse creerà ogni anno, nella migliore delle ipotesi, un ammanco di almeno 380 miliardi di dollari alle casse dello Stato. L'amministrazione Trump è convinta di raccogliere 600 miliardi annui attraverso l'imposizione dei dazi ma secondo la Tax foundation (un think tank indipendente e apartitico fondato nel 1937 che ha l'obiettivo di analizzare le politiche fiscali degli Stati Uniti e fornire dati, studi e raccomandazioni su tasse federali, statali e locali) un importo più realistico può essere calcolato in 340 miliardi. Infatti l'amministrazione Trump non sembra tenere presente che i volumi delle importazioni caleranno (come stanno già facendo...), molti importatori ridurranno gli ordini e bisognerà presupporre che le catene di fornitura potrebbero radicalmente cambiare onde evitare l'imposizione dei dazi (per la serie: fatta la legge trovato l'inganno) . Non da ultimo è probabile che vi sarà un rallentamento della crescita economica che ridurrà l'imponibile doganale complessivo.  Pensiamo che ci siamo capiti. In buona sostanza se tutto andrà veramente per il verso giusto (secondo la visione trumpiana) i dazi serviranno giusto a pareggiare i minori gettiti fiscali ma non a ridurre i debiti dello Stato.
    • Quanto tempo ci vorrà per le Nazioni più colpite dai dazi per trovare altri sbocchi alle loro esportazioni? Storicamente si parla di un intervallo che va da pochi mesi a diversi anni: mediamente da 1 a 3 anni prima di ritrovare un equilibrio significativo. Non è una strada che si può facilmente percorrere ed è praticamente certo che, per i diplomatici di almeno una novantina di Paesi,  il lavoro per convincere Trump a ridurre le sue pretese prossimamente non mancherà. Ma sarà dura. L'abbiamo detto più volte: Trump ha bisogno di denaro e pure molto.
    • Per evitare i dazi Trump insiste che i produttori devono investire maggiormente sul territorio americano. Quanto tempo ci vuole per avviare una fabbrica negli USA? Abbiamo posto la domanda a ChatGPT (versione 5!) ed ecco la risposta: mediamente dai 2 ai 5 anni. Se stiamo parlando di produzione industriale standard (2-3 anni) se la produzione è high-tech (3-5 anni) e per progetti molto complessi anche più di 5 anni. Insomma, andare a produrre direttamente su suolo Americano non è una passeggiata e richiede un sacco di tempo. Non sappiamo quanti imprenditori hanno voglia di assumersi un tale rischio.
    • Ma torniamo alla realtà odierna: ci siamo chiesti chi saranno coloro che dovranno pagare questi dazi o per dirla meglio chi saranno le vittime finali di questa imposizione fiscale? Anche in questo caso la risposta di chatGPT è impeccabile e ve la proponiamo integralmente (grazie per la pazienza...):
    "Se restiamo alla realtà economica odierna, la risposta — confermata sia dalla teoria economica che dai dati degli ultimi cicli di dazi USA — è che le vittime finali sono soprattutto i consumatori e le imprese a valle, non tanto i produttori stranieri a cui formalmente il dazio è applicato.


    Come funziona davvero il “peso” dei dazi

    1. Il dazio è riscosso all’importazione, quindi lo paga l’importatore statunitense al momento dello sdoganamento.

    2. L’importatore ribalta il costo (parzialmente o totalmente) sui prezzi di vendita interni.

    3. Il consumatore americano paga il prezzo più alto sul prodotto importato — o, se sceglie un sostituto domestico, paga comunque un prezzo più alto perché anche il produttore USA alza i prezzi (effetto di protezione).

    4. Le imprese a valle (che usano beni importati come input, ad esempio componenti elettronici o acciaio) vedono crescere i costi di produzione e li traslano a loro volta sui clienti finali.


    Dati empirici recenti

    • Ciclo di dazi 2018–2019 (Trump I)
      Uno studio di Federal Reserve Bank of New York, Princeton e Columbia stimava che quasi il 100% del costo dei dazi è stato trasferito a importatori e consumatori USA sotto forma di prezzi più alti.

    • Effetto moltiplicativo
      Non solo i beni importati diventano più cari, ma anche quelli domestici concorrenti aumentano di prezzo per approfittare della ridotta concorrenza estera.

    📌 In sintesi:
    Formalmente il dazio colpisce l’esportatore straniero, ma nella realtà il costo si scarica quasi interamente sull’economia interna USA: consumatori, imprese importatrici e produttori a valle. È una tassa indiretta e regressiva che pesa di più su chi ha meno margine di reddito."


    Come pensavamo è storicamente dimostrato che i dazi gravano principalmente sui consumatori finali; non vediamo, salvo prova contraria, perché questa nuova tornata di dazi dovrebbe seguire una logica diversa. Qualcuno dovrebbe avvisare gli Americani...

    • Ma torniamo alle nostre domande e risposte: quali potrebbero essere gli effetti economici (ma non solo) per il paese che promuove l'introduzione dei dazi? La risposta in questo caso è piuttosto semplice: l’imposizione di dazi può offrire benefici immediati a certe industrie domestiche, ma rischia di degradare la crescita economica, aumentare l’inflazione, danneggiare i consumatori e minare le relazioni diplomatico-commerciali nel lungo periodo. In effetti fra qualche settimana (di norma una decina) potremmo probabilmente toccare con mano se l'introduzione dei dazi avrà un'incidenza negativa sull'inflazione americana. A tal proposito martedì 12 agosto assisteremo alla pubblicazione del CPI americano atteso al 2.8% (precedente:2.7%) e al core CPI atteso al 3.1% (precedente: 2.9%). Insomma le aspettative, ancora prima che i dazi abbiamo effettivamente avuto il tempo di fare il loro lavoro, sono per un rialzo del rincaro. Speriamo che si fermi lì, ma abbiamo qualche ragionevole dubbio...
    • Per finire ci siamo chiesti come potrebbero reagire i mercati finanziari soprattutto quelli americani. La tabella qui sotto riporta gli effetti a breve e a lungo termine:



    ***


    La satira si è scatenata...

    Ahinoi, non abbiamo ancora finito di parlare di dazi. Non vi sarà sfuggito che quelli applicati alla Svizzera, da un iniziale 31% che era già di per sé una stangata, il 7 di agosto sono lievitati al 39%! Se pensiamo che la Svizzera dal primo gennaio 2024 ha già abolito i dazi industriali questo accanimento nei nostri confronti non è facile da giustificare se non facendo riferimento al saldo di 41 miliardi a nostro favore che si ottiene sottraendo le nostre esportazioni verso gli USA a quelle degli USA verso il nostro paese. Insomma siamo uno sputo di Nazione (9 mio di abitanti) ma Trump è convinto che astutamente gli stiamo rubando annualmente una bella sommetta di denaro. 

    Formula alla mano, ecco come si arriva secondo il metodo americano all'imposizione del 31%:


    Deficit commerciale (38,5 mld USD)Export svizzeri negli USA (63,4 mld USD)61%




    P
    er “non apparire eccessivamente punitivi”, gli americani hanno deciso di applicare un moltiplicatore dello 0.5 e si arriva ad un più decente 31%. 

    Per capire come poi si è passati dal 31% al 39% avremmo voluto assistere alla telefonata tra l'attuale Presidente della Svizzera (Karin Keller-Sutter) e lo stesso Trump che evidentemente quel giorno aveva ben altro per la testa (pare che fosse tormentato dal non aver imbucato un put da 30cm alla buca 17 che gli ha fatto perdere il match domenicale sul campo di Mar a Lago). 
    Dalle parole con le quali Donald si è espresso in merito alla telefonata di Keller-Sutter possiamo dedurre quanto segue: il colloquio lo ha subito infastidito. Il Presidente della Svizzera, che non conosce, è, sorpresa!, una donna. Sarà anche gentile ma l'ha trovata pedante.  Infatti Karin ha tentato con metodo e razionalità di spiegare al Presidente USA  il perché del deficit di 41 miliardi di $ ma non è riuscita a catturare l'attenzione di Donald in quanto  a) "non mi lasciava parlare" e b) "manco mi ascoltava". Accidenti! Non si può non ascoltare uno che ha un ego formato famiglia come quello di Trump. Infatti la telefonata, che doveva convincere Trump a ridurre per lo meno al 15% i nostri dazi, è terminata con un aumento di 8 punti percentuali della gabella applicata alla Svizzera. Punto.

    Ovviamente non vogliamo essere nei panni di Keller-Sutter in questo momento e probabilmente non le si possono attribuire tutte le colpe per questo trattamento fortemente ingiusto nei nostri confronti ma insomma, prima di comporre il numero della Casa Bianca,  dovresti sapere che ti risponde uno che con la logica e la razionalità, marchio di fabbrica del nostro Paese,  ha ben poco a che fare! Infatti Trump si è subito annoiato,  ha arbitrariamente aggiunto un 8% ai dazi svizzeri e poi ha riattaccato il telefono. 

    E' stato subito chiarissimo che "Bern, we have a problem" e quindi, in fretta e furia, è stato organizzato un viaggio riparatore in quel di Washington dove Keller-Sutter e di Parmelin (il nostro ministro delle finanze) non sono stati ricevuti da nessuno fatta eccezione per il segretario di Stato Marco Rubio... Peccato che non avesse nessuna delega per trattare con la Svizzera il capitolo dazi. Imbarazzante!

    Ora i colloqui con gli americani sembrano che stiano procedendo ma allo stato attuale nessuno sa in quale direzione e se stanno producendo gli effetti sperati. Siamo al buio e per un po', temiamo, ci resteremo. Siamo quindi spiacenti di non riuscire a rispondere alle vostre domande su come prossimamente andranno le cose nel nostro Paese ma nessuno lo sa!

    ***

    Piuttosto vediamo come i mercati hanno reagito negli ultimi 5 giorni, questo sì, lo sappiamo:


    Per l'ennesima volta in America sono ancora i Magnifici 7 a tirare il carro. L'intelligenza artificiale fa miracoli e i CEO dei Mag 7 lo sanno e stanno investendo nell'AI l'inverosimile. Peccato che il resto del mercato non stia andando altrettanto bene e quindi ci ritroviamo tra le mani uno S&P500 piuttosto sbilanciato. Non dimentichiamocelo!


    Lo S&P500 (+8.63% ytd) non è stato da record storico ma ci sta andando vicino. Occhio ai numeri dell'inflazione di martedì  prossimo che potrebbero fare da catalizzatore. Un numero inferiore alle aspettative potrebbe portare al 100% la probabilità di vedere un taglio ai tassi il 17 settembre. Attualmente tale probabilità si situa al 92%. 
    Poi vedremo se il 15 di agosto Russi e Americani si incontreranno sul serio in Alaska e questo di per sé sarebbe già un piccolo miracolo. Poi vedremo se troveranno la quadra per far finire il conflitto tra russi ed ucraini... sappiamo tutti che Trump è ossessionato dal Premio Nobel per la Pace! 

    Tecnicamente l'indice ha ripreso la salita dopo una pausa di consolidamento a dir la verità troppo breve per i nostri gusti; sarebbe stato melgio che per i prossimi 2 mesi lo spostamento fosse laterale. I volumi sono inaspettatamente  buoni per essere agosto: evidentemente i traders (soprattutto i piccoli) si stanno divertendo sotto l'ombrellone. Non sottovalutiamo la forza di questo esercito di investitori...


    Chi invece un nuovo record storico l'ha messo a punto è stato il Nasdaq (+11.08% ytd) che sta approfittando del momento di grazia dei M7: i volumi sono interessanti e i 21'000 punti sono stati superati di slancio. Dove andrà a finire? Questo l'analisi tecnica per il momento non è proprio in grado di dircelo. Quello che è certo è che il trend è al rialzo e noi lo lasciamo correre.


    Bene anche l'Eurostoxx50 (+9.23% ytd) che sembra per lo meno voler rientrare nel canale di consolidamento che troviamo tra i 5'300 e i 5'470 punti. Saremmo sorpresi se trovasse la forza di andare oltre la resistenza dei 5470. Per il momento sarebbe già bello se si trovasse il modo di digerire in fretta i dazi al 15% che non sono poca roba ma a detta di molti imprenditori sono ancora gestibili.


    A ben pensarci, considerando tutto quello che ci sta accadendo, lo SMI  (+2.29% ytd) non dovrebbe essere a questi livelli ma ben più in basso a dimostrazione del fatto che gli investitori in azioni sono degli inguaribili ottimisti! 
    Non è comunque facile essere positivi considerate le circostanze: i dazi non sappiamo se e quando verranno ridotti (magari anche mai!) , le aziende farmaceutiche hanno una spada di Damocle sulla testa che non sanno ancora bene come eventualmente schivare e per tutte le altre è arrivata l'ora di trovare nuovi sbocchi per i nostri prodotti. Come abbiamo visto più facile a dirsi che a farsi. Speriamo che la prossima settimana qualcuno del nostro governo ci dica come intendono uscire da questa fase di crisi  Noi siamo tutt’orecchi!

    ***




    Il dollaro americano per il momento sembra volersi apprezzare malgrado la possibilità di assistere ad un taglio ai tassi per il 17 di settembre. Evidentemente, la riduzione importante delle importazioni ha fatto sì che si vendessero meno dollari del consueto. 
    Contro chf ci sembra di aver visto una bandiera di consolidamento (in blu nel grafico) e non è escluso che la prossima settimana si possa assistere allo sforamento verso l'altro del triangolo che, per lo meno tecnicamente, aprirebbe la strada verso gli 83 centesimi.


    Anche contro euro il dollaro sta probabilmente cercando di muoversi lateralmente e non è escluso che un nuovo canale di spostamento si sta creando tra 1.1430 e 1.18.


    Euro-franco è sempre in spostamento laterala ma questa settimana l'ha chiusa con l'euro pronto anche ad uno sfondamento rialzista della resistenza che si situa leggermente sopra i 94 centesimi. Comunque fino a quando non ci sarà l'evidenza dello sfondamento per noi lo spostamento resta ancora laterale.


    Terminiamo il nostro intervento spendendo due parole due sull'oro che questa settimana è stato oggetto di molte attenzioni in quanto la sua esportazione dalla Svizzera verso gli USA è la causa di una fetta molto consistente del nostro surplus commerciale nei confronti degli americani. L'eccezionale richiesta di metallo giallo da parte anche degli USA ha fatto esplodere le esportazioni che notoriamente sono state fino ad oggi  esenti da dazi. Comunque sia l'applicazione di un dazio al 39% sulle barre da un kg di oro, che fino all'altro ieri era dato per scontato, è attualmente messa in discussione. Pare che a breve ci saranno dei chiarimenti da parte dell'amministrazione Trump e vedremo se si ritornerà alla situazione iniziale (no dazi) o se verranno applicati dazi calmierati. Diciamolo: per il momento è un gran pasticcio!

    Tecnicamente il momento è di quelli delicati. Presto il triangolo rosso verrà forato: verosimilmente, con tutto quello che sta succedendo, verso l'alto aprendo così la strada in direzione dei 3'800 dollari per oncia. Una eventuale rottura ribassista, improbabile, potrebbe portare il metallo giallo verso i 2'900 $ ma la cosa ci sembra improbabile.  


    Buona domenica!!