Come potete ben immaginare, gli investitori professionali e non, sono alla ricerca di indizi che portino acqua al mulino della Federal Reserve che si dice convinta che la recente riapparizione dell‘inflazione, che sembrava debellata per sempre ed invece ce la ritroviamo negli USA al 4.2%, sia solo un fenomeno transitorio.
Che sia solo transitorio tutti lo sperano, banche centrali per prime, altrimenti dovranno trovare un modo originale per risucchiare dal sistema tonnellate di miliardi senza far crollare il castello della finanza.
Siamo quindi in molti, consci delle difficoltà che potrebbe creare un regime d‘inflazione tignosa e persistente, che tifiamo per la versione di Powel e compagni. Come andiamo ripetendo da un po‘, ci aspettiamo una correzione ad estate inoltrata quantificabile in una quindicina di punti percentuali dello S&P500: scoprire che la FED ha torto potrebbe essere il detonatore che avvia la correzione ma ovviamente saremo prontissimi a modificare la nostra visione se Powel dovesse aver ragione: di correzioni importanti negli anni ne abbiamo già viste a sufficienza e francamente non è che ne sentiamo la mancanza...
Nell’ultimo post avevamo evidenziato i diversi fattori che hanno portato al risveglio della bella addormentata; oggi, dopo averci pensato un po’, vorremmo andare alla ricerca di quei segnali che potrebbero in un qualche modo avvalorare la tesi della FED.
Uno di questi indizi, non forse il più importante ma ci accontentiamo, è stato pubblicato venerdì: lo US Continuing Jobless Claims.
Si tratta del dato settimanale sulle richieste di disoccupazione, attese in leggero calo (3620k) ma smentite da quel 3751k che un po‘ cinicamente è piaciuto ai mercati. Infatti la curva dei disoccupati si sta appiattendo ad un livello ben superiore a quello pre-pandemico. Ciò significa che, malgrado tutti gli sforzi, non sarà facile riportare al lavoro tutta la gente che la pandemia ha lasciato a casa o lo sarà, come dicono i maligni, quando i sussidi statali non entreranno più nelle tasche degli americani (se non erriamo verso settembre).
Il mercato interpreta il perseverare di una certa disoccupazione come fosse un rimedio naturale all‘aumento dell‘inflazione: infatti chi non lavora o arranca aggrappandosi agli aiuti di stato difficilmente potrà avere una gran voglia di scialacquare a piene mani (anche se quando si ha a che fare con gli americani non si sa mai...).
Ovviamente la nostra interpretazione è piuttosto elementare, ma chi ha voglia di approfondire può resuscitare la teoria, da tempo defunta, della Curva di Phillips che potrebbe tornare d‘attualità.
Altro indizio che tranquillizza per il momento la FED è l‘evoluzione dei salari, che in molti dicono essere in crescita, ma che dal grafico (linea nera) sembrano variare all‘interno di un range piuttosto stretto e che si sta fondamentalmente spostando lateralmente. E‘ abbastanza probabile che per il momento non abbiamo una inflazione (linea rossa) indotta da salari che stanno crescendo rapidamente, ma è il risultato di altre componenti tre le quali troviamo il prezzo delle materie prime, i costi per il trasporto e aggiungiamoci pure una certa svalutazione del dollaro. Sappiamo che la FED ha una grossa lente di ingrandimento orientata verso l‘evoluzione salariale e noi pure. Per capire meglio la situazione bisognerebbe anche dare un‘occhiata al genere di posti di lavoro creati e i nostri agganci negli USA ci dicono che spesso sono di bassa qualità e mal pagati. Abbiamo quindi qualche fondato dubbio che eventuali aumenti salariali intercettati dalla statistiche potrebbero essere solo nominali e non reali e quindi non in grado di restare al passo con l‘aumento dei prezzi, aumento che determina in queste condizioni una diminuzione del potere d’acquisto con tutto quello che ne consegue.
Un‘ultima considerazione: stiamo osservando da mesi all‘impennata dei costi delle materie prime (nel grafico quello del rame) determinata da una forte domanda ed in certi casi pure dalla penuria delle stesse. A queste condizioni stiamo assistendo ad un fenomeno che non era facilmente prevedibile: la scarsità di alcuni elementi di base, primi fra tutti i microchips, sta mettendo a dura prova gli innumerevoli apparati di produzione che ne fanno impiego, costringendo in molti casi alla sospensione temporanea dell‘attività (vedi ad es. il settore auto) o ad un allungamento delle date di consegna dei prodotti. Comunque da qualche giorno stiamo registrando una correzione del prezzo delle materie prime e se continua faranno contenta la FED.
Riassumendo: qualche cosa nel meccanismo di produzione si è momentaneamente inceppato, i prezzi in generale salgono velocemente, le aziende non riescono a produrre a sufficienza ma neppure a vendere pure in presenza di una domanda crescente (provate a comprare un'auto elettrica...). Sarà interessante osservare l‘impatto sulla crescita dell‘economia che a queste condizioni potrebbe anche rallentare. Insomma, più che uno scenario inflazionistico, per quel che ne capiamo, ci pare che corriamo il rischio di vederci confrontati con una bella stagflazione. Sarebbe il colmo!
A questo punto non vi nascondiamo che siamo curiosissimi di vedere l‘evoluzione degli utili delle società per il secondo trimestre di quest‘anno (bisogna pazientare fino alla metà di luglio) e non ci meraviglieremmo più di tanto se un calo dei numeri fosse un altro dei tanti detonatori che potrebbero dare il via alla correzione dello S&P500.
Due parole sulle borse: per il momento sembra che la correzione del mese di maggio potrebbe anche essere arrivata alla sua fine. Lo SMI questa settimana non si è comportato malissimo ma ci vorrebbe ben altra evoluzione per farci veramente contenti. Ma non lamentiamoci sempre, anche uno spostamento laterale va bene.
Un‘occhiata al dollaro (sia contro chf che euro) bisogna sempre darla: le rese reali abbondantemente negative continuano a pesare sulla sua evoluzione e purtroppo il trend ci pare evidente e non facile da ribaltare... Per il momento non pensiamo sia da acquistare.
Buona lettura!
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