Abbiamo alle spalle una settimana che, in quanto a dati macroeconomici, non ci ha fatto mancare nulla. Indubbiamente l'evento più atteso è stata la pubblicazione dello stato dell'inflazione negli USA per il mese di maggio. Se ben ricordate ad aprile eravamo al 4.2 e giovedì gli analisti si aspettavano un aumento al 4.7 ma ancora una volta si sono sbagliati per difetto: il CPI è uscito con un bel +5%, come indicato dal bel grafico "preso in prestito" dal sito MarketWatch.
Insomma, sembra proprio che i prezzi stiano scappando verso l'alto ed anche se prendiamo il Core CPI (l'inflazione depurata da due componenti piuttosto volatili come i costi dell'energia e del cibo) il quadro non cambia di molto e ci stiamo muovendo ben oltre il 2%, che sarebbe l'obiettivo di medio periodo fissato dalla FED.
A dir la verità, l'indicatore di aumento dei prezzi preferito dalla FED, è il Core Personal Consumption (PCE). L'indice delle spese di consumo personale tiene conto dei costi diretti ed indiretti dei consumatori, congloba le spese mediche e registra anche i cambiamenti nelle abitudini dei consumatori: se una cosa diventa troppo cara quest'ultima viene sostituita da qualche cosa d'altro meno costoso; questo comportamento contribuisce a calmierare l'inflazione. Insomma anche PCE dimostra un discreto incremento (3.5%) ma sembra per il momento non preoccupare più di tanto la banca centrale americana che come ben sapete ritiene questi aumenti solo temporanei.
Ovviamente questa reazione è piaciuta alla borsa, che con ogni probabilità, potrà ancora andare avanti ancora per un po' ad inanellare un massimo storico dietro l'altro. Ci sta bene e ci mancherebbe altro, ma noi non siamo tranquilli.
Ammettiamo che probabilmente una parte dell'inflazione il mercato obbligazionario l'ha già scontata nel rialzo di febbraio/marzo; ma l'unica spiegazione sostenibile, che ci aiuta a comprendere un ribasso dei rendimenti, è che da qualche parte qualcuno sta già prezzando una possibile frenata dell'economia nel secondo semestre di quest'anno. La qualcosa potrebbe essere verosimile.
Pensateci bene: l'aumento del costo delle materie prime, del loro trasporto e di quello dei prodotti finiti, i colli di bottiglia nell'approvigionamento delle stesse con possibili blocchi alla produzione (anche in Ticino parecchi cantieri iniziano ad avere problemi e potrebbero anche temporaneamente fermarsi...), il trasferimento di questi costi sull'acquirente finale che desiste dall'acquisto o al contrario un loro totale assorbimento da parte della società, potrebbe in effetti innescare un rallentamento della crescita economica e degli utili delle società... Ma questo lo vedremo solo fra qualche mese.
La realtà di questi giorn invece ci porta a considerare che alle borse, quanto appena esposto, per il momento non importa più di tanto. Quasi tutte stanno flirtando con i massimi storici e se avranno la forza di sfondare le resistenze potremmo assistere ad ulteriori incrementi di valore.
Riprendiamo lo schema aggiornato di NRD:
...si commenta da solo! Non lo diamo per scontato ma, accidenti!, che precisione...
Nell'ultimo post dicevamo che lo SMI poteva fare quache cosa di meglio: detto, fatto! Anche il nostro indice, grazie a Roche e Novartis, si è finalmente riportato a ridosso delle migliori borse europee. E' chiaro che ogni giorno che passa non sarà facile confermare un record storico dietro l'altro ma per il momomento, anche se l'RSI è chiaramente nell'ipercomprato, non si intravvedono inversioni di tendenza.
Proponiamo di tenere aperte le posizione ancora per un po', anche se la tentazione di consolidare più i giorni passano più aumenta... poi quella strana reazione del reddito fisso è oramai lì, ben presente, nel nostro retro cranio e sta iniziando a lavorare...
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