sabato 24 dicembre 2022

Christmas rally non pervenuto

Un professore di statistica dell'università di Ginevra ci aveva sempre consigliato di diffidare della sua materia soprattutto quando quest'ultima potrebbe essere subdolamente utilizzata per orientare i comportamenti della gente. Forse non aveva tutti i torti: quando le statistiche ci dicono che il mese di dicembre è uno dei mesi più propizi per gli investimenti azionari siamo tutti contenti e tendiamo a sottostimare l'effetto negativo di certi dati che ci arrivano dall'econonia reale. Diciamo che quest'anno è successo una cosa simile e al posto di avere il classico rally natalizio ci siamo trovati tra le mani una delle peggiori settimane borsistiche dicembrine di sempre.

Ad impallinare Babbo Natale e le sue renne ci hanno pensato lunedì il rialzo a sorpresissima dei tassi Giapponesi che, dopo 40 anni di totale piattume, si sono rimessi in moto e giovedì una serie di dati americani che ostinatamente ci dimostrano che:


Le nuove richieste di disoccupazione rimangono a livelli bassi e stabili; insomma la gente per il momento lavora  e non va in disoccupazione... 


...inoltre continua a consumare, non diciamo come se non ci fosse più un domani, ma comunque a livelli sufficientemente elevati per infastidire gli emissari della FED...


...la ciliegina sulla torta è arrivata giovedì quando l'ufficio di analisi economica ha rivisto al rialzo il PIL americano del terzo trimeste portandolo dal 2.9 al 3.2%. E' vero, si tratta di una correzione ex post di un dato di oramai tre mesi fa, ma comunque aiuta a confondere un po' le idee: infatti stiamo parlando da qualche settimana con una certa insistenza di un'economia americana che dovrebbe entrare in recessione,  ma per il momento questo scenario sembra ancora lontano. Vedremo con grande interesse i dati del quarto trimestre 2022 che saranno pubblicati il 26.1.23: si aspettano una bella frenata del PIL che dovrebbe passare dal 3.2% all'1.2%; se così fosse la paventata entrata in recessione potrebbe farsi più realistica. Parleremo di questo nei prossimi post quando affronteremo lo scenario economico-finanziario del 2023.



La reazione dei rendimenti dei Treasury a 2 (linea nera) e 10 anni (linea rossa) è stata fulminea in quanto simili dati macroeconomici portano a pensare che il prossimo aumento dei tassi della FED, agli inizi di febbraio, potrebbe essere anche maggiore del quarto di punto oramai scontato dal mercato. Ricordiamo che il terminal rate della FED è qualcosina superiore al 5%,  ma anche noi facciamo fatica a credere che arriveranno a quei livelli... intanto il mercato una piccola sterzata verso l'alto dei rendimenti l'ha fatta e questo non giova nè alle borse nè tanto meno al comparto del reddito fisso.

Poi arriviamo a ieri e, primo indizio di un rallentamento,  scopriamo che:


I beni durevoli sono in vistosa frenata. Ricordiamo che i beni durevoli sono "
definiti anche beni a fecondità ripetuta, sono quei beni che non esauriscono la loro funzione una volta utilizzati ma continuano a soddisfare i bisogni del consumatore nel tempo. In pratica sono quegli oggetti riutilizzabili, quali automobili, biciclette, smartphone, elettrodomestici o computer. Si tratta di beni il cui acquisto è oneroso e nei periodi di crisi viene spesso posticipato dai consumatori". Il dato pubblicato è palesemente antiinflattivo.



Poi è la volta, secondo inidizio di un rallentamento, del PCE: si tratta dell'Indice dei prezzi per la Spesa Personale (Core Personal Consumption spending) che misura il cambiamento del prezzo di beni e servizi acquistati dai consumatori, escluso cibo ed energia. 
E' uno degli indicatori più seguiti dalla FED ed uno strumento chiave per misurare i cambiamenti nelle tendenze di acquisto che ha notevoli ripercussioni sull'inflazione americana. Il dato ce lo segnala, come quasi tutti gli indicatori dell' inflazione delle ultime settimane, in buon ribasso. 

Riassumendo. In due giorni sono usciti parrecchi dati, anche parecchio contrastanti tra di loro, che non ci aiutano a chiarire lo scenario economico al quale stiamo andando incontro: diciamo pure che lo rende confuso ed in una tale situazione non è facile prevedere quale sarà, tra i tanti possibili, quello che avrà la maggior probabilità statistica di essere veritiero. Viste le premesse con le quali abbiamo avviato questo post, cercheremo di fare del nostro meglio per mettere a punto una previsione che avrà l'ambizione di essere la più oggettiva possibile...

Ma vediamo rapidamente come hanno reagito le borse:



Lo S&P500 di questi giorni è stato piuttosto volatile: pure lui è in stato confusionale e avrebbe voglia di ripartire ma per il momento preferisce flirtare con il supporto. Giovedi era in forte calo mentre ieri praticamente non si è mosso malgrado i dati pubblicati erano chiaramente a favore di una minor inflazione futura. Fortuna nostra è che questi movimenti non sono sostenuti da volumi eccezionali, anzi, proprio l'assenza di parecchi operatori ha limitato i danni. Ricordiamoci che per il momento il trend dell'indice è quello di un mercato orso ben consolidato... E' probabile che la prossima settimana, in assenza di dati di rilievo, si procederà ad una sorta di consolidamento ma putroppo, causa impallinamento delle renne, scordiamoci il rally...



L'indice SMI tutto sommato tiene anche se rimane "schiacciato" da un paio o tre di titoli, primo fra tutti Roche che non capiamo per quale motivo si ostina a rimanere sotto i 300 chf  che significa un -22% da inizio anno: se pensiamo che il titolo pesa il 20% tra i componenti dell'indice possiamo chiaramente farci un'idea del perché la borsa svizzera quest'anno non ha brillato come avrebbe dovuto essendo il nostro un mercato prettamente difensivo. Anche nel nostro caso i volumi sono parecchio al ribasso e quindi i movimenti di questa settimana sono poco significativi. Saremmo contenti se la prossima settimana ci fosse la possibilità di rientrare nel canale ascendente formatosi a partire da metà settembre... Con l'aria che tira non sarebbe un Christmas rally ma poco ci manca...


Buon Natale!


giovedì 15 dicembre 2022

0.50% X 3

 Il dado è tratto: oggi la Banca Nazionale Svizzera ha alzato il tasso di riferimento di mezzo punto così come la  Banca d'Inghilterra e nel pomeriggio la Banca Centrale Europea ha fatto la stessa mossa. Per saldo, tra ieri ed oggi,  4 banche centrali hanno semplicemente spostato verso l'alto la loro asticella ma gli spread tra i tassi dei 4 paesi sono rimasti invariati.

Ciò non toglie che oggi vi sono stati dei movimenti sui mercati azionari e valutari di una certa ampiezza che,  non ve lo nascondiamo, facciamo ancora fatica a comprendere pienamente. 

Proviamo quindi a fare un ragionamento ad alta voce che condividiamo con voi:


Ieri la FED si è espressa attraverso le parole di Powell abbastanza chiaramente,  indicando un terminal rate che potrebbe essere superiore al 5%. Un vecchio detto che circola dagli anni 70  nei circuiti finanziari recita "don't fight the Fed" (copyright Martin Zweig) lasciando intendere che quando i tassi, come nel caso odierno, salgono occorre una buona dose di prudenza prima di continuare ad imbottirsi di azioni; anzi bisognerebbe addirittura, per prudenza, procedere a degli alleggerimenti. In realtà negli ultimi 20 anni i messaggi provenienti dalla banche centrali sono sempre stati accolti con un po' di leggerezza in quanto con un pizzico di incoerenza, alle prime difficolta dei mercati, gli istituti di emissione  avviavano le rotative e li inondavano di liquidità.

Ancora oggi, ci par di capire,  si ha ancora la tendenza a non prendere i messaggi delle banche centrali per oro colato;  forse dovremmo essere un pochino più prudenti, soprattutto in considerazione del fatto che ora abbiamo a che fare con tassi di inflazione che non si vedevano da 40 anni. Quindi,  quando Powell ci dice che i tassi saliranno al 5%,  verrebbe voglia di credergli.


Chi sembra non credere, o per lo meno ha un'altra opinione, è il mercato dei Treasury che in questi giorni non ha fatto una piega: movimento in parte comprensibile per quanto riguarda il decennale (linea rossa) mentre è un po' meno intelligibile quello che succede sulla parte corta, quella a due anni (linea nera) che avrebbe dovuto reagire al rialzo ma non è (per il momento) stato il caso. E' probabile che sono ancora in molti che pensano che la recessione che arriverà nel 2023 obbligherà la FED a cambiare la sua visione. Probabile, ma quel che conta è che con l'attuale livello dei tassi ,se proprio la recessione sarà di quelle profonde,  avranno spazio per una discesa del costo del denaro convincente.

Lo stesso non può dire la BCE che sta lottando con una inflazione che mediamente è attorno al 10% e non può permettersi un'azione più aggressiva. Purtroppo in cascina, con i tassi al 2.5%,  non c'è abbastanza fieno e la lotta ad una eventuale recessione sarà molto dura. 


E' forse per questo che i mercati europei sono parecchio sotto pressione. Non che quelli americani si stanno comportando diversamente ma per il momento la correzione sembra essere meno accentuata.



Lo S&P500 si sta adagiando sulla media mobile dei 100 giorni (linea verde) e speriamo che sia un supporto abbastanza significativo...



Mentre lo SMI è pericolosamente in vista del suo supporto dinamico: se va sotto, bisognerebbe alleggerire... vedremo; per il momento siamo ancora all'interno del canale ascendente... i volumi non sembrano segnalare una svendita a piene mani... ciò non toglie che siamo in pre-allarme come sempre quando ci avviciniamo ad un supporto. Certo che son bastati 2 giorni per passare da una situazione di tutta tranquillità ad una molto meno confortevole... ma questi sono i mercati del giorno d'oggi...



Chi è in uno stato confusionale è il dollaro (nella figura contro chf) : in poche parole NON dovrebbe essere a questi livelli e pure contro euro dovrebbe essere maggiormente quotato.  Per quale diavolo di un motivo non lo sappiamo.  Sospendiamo qui il nostro giudizio e vedremo di chiarirci le idee nei prossimi giorni.



mercoledì 14 dicembre 2022

CPI in ritirata



 Qualche cosa si sta muovendo nella giusta direzione: da tempo stiamo osservando come una buona parte delle componenti dell'inflazione americana sono al ribasso ed in effetti ieri ne abbiamo avuto la conferma. L'inflazione anno su anno era attesa al 7.9% (precedente 8.2%) mentre la realtà l'ha fotografata al 7.7%. Insomma sembra che stia scendendo più rapidamente del previsto e se non vi fosse stata la componente affitti che è la parte più tenace di questo rincaro saremmo stati anche più bassi.




Stesso discorso vale per la core inflation che abbiamo visto scendere al 6.3% (attesa 6.5%). Bene così ma dobbiamo comunque sottolineare che siamo ancora lontani dall'obiettivo del 2% e di conseguenza non ci facciamo nessuna illusione: questa sera la FED alzerà di mezzo punto i tassi.



Quello che sta cambiando è comunque la percezione del mercato riguardo al futuro dei tassi: se fino alla scorsa settimana si era ancora a ridosso del 5% ad un anno, con i dati di ieri il mercato ha spostato il terminal rate della FED sotto il 5%...Questa sera speriamo di sapere dalla viva voce di Powell se questa percezione è corretta.

 


La reazione iniziale della borsa americana è stata ovviamente quasi euforica ma poi con il passare delle ore la prudenza ha avuto il sopravvento... in sostanza la borsa ha chiuso leggermente sopra il valore del giorno precedente...


...e stamani anche sulle borse europee l'entusiasmo sembra già essersi assopito.




La reazione del dollaro è stata piuttosto violenta: si è subito deprezzato contro le più importanti parità mondiali... la reazione a noi sembra esagerata; è vero che domani anche in Europa assisteremo a degli aumenti ma crediamo che saranno di entità minore rispetto a quelli americani. Quindi non siamo convinti che la debolezza del dollaro di queste ultime settimane sia permanente.

Sarà comunque importante ascoltare cosa avrà da dirci Powell questa sera. Domani vi faremo partecipi delle nostre impressioni. 

Buona giornata!




sabato 10 dicembre 2022

*#@!!☠️$?!



Non vi nascondiamo che quando ieri alle 14:30 abbiamo visto il dato sui Prezzi alla Produzione americani (PPI) non siamo riusciti a trattenere la stizza (*#@!!☠️$?!). Che peccato! Dovremmo essere sulla strada giusta per vedere finalmente un'inflazione scendere  ma,  se produrre costa sempre un occhio della testa,  questo dato non sarà piaciuto a Powell e compagni. Infatti i rendimenti americani sono subito saliti di una decina di punti base, non moltissimo,  ma abbastanza per dare fastidio alle borse che in effetti hanno chiuso la giornata in negativo come d'altronde hanno fatto per tutta la settimana (una delle peggiori da due mesi a questa parte...).

Come ben sapete la prossima settimana  è probabilmente una delle più importanti dell'anno ed il dato sull'inflazione americana di martedì è attesissimo. Il PPI di ieri doveva fungere da apripista e spianare la strada ad un'inflazione che dal 7.7% di ottobre dovrebbe scendere al 7.3%,  mentre la core inflation (ricordate? quella più seguita dalla FED) dovrebbe passare dal 6.3% al 6.1%.

Siamo andati a curiosare tra alcune variabili che influenzano l'inflazione e le premesse, PPI a parte, sono buone:

 


Il costo delle materie prime in generale è al ribasso (sarebbe comunque meglio che si decidano ad andare sotto la line nera del supporto...)



Anche l'energia sembra avere imboccato con una certa decisione la strada del ribasso...



 ...aiutata anche (ma non solo) dal prezzo del petrolio che a 72$ al barile si sta avvicinando ai minimi dell'anno.



Per contro il prezzo del gas (nell'immagine il future ad un mese) è in salita, ma siamo anche in pieno inverno e la domanda sale di conseguenza.


Anche i prezzi dei trasporti marittimi sono in forte discesa e stanno tornando quasi ai valori pre-pandemici...

Abbiamo letto da qualche parte che gli americani hanno speso 9.2 miliardi di dollari solo durante il Black Friday, una cifra considerevole che potrebbe far pensare che non hanno perso il vizio degli acquisti compulsivi, ma qualcuno sottolineava che il successo della giornata è stato sancito solo perché moltissima merce è stata venduta con sconti da capogiro.

Insomma, potremmo continuare a lungo a portare acqua al mulino che macina un'inflazione al ribasso ma qui ci fermiamo. Aspettiamo cosa ci dicono i numeri di martedi prossimo e speriamo che siano per lo meno aderenti alle aspettative. Poi prepariamoci all'aumento dei tassi americani di mercoledi (0.5% atteso) e giovedi  e vedremo se la BCE e la BNS faranno, in un impeto di emulazione,  lo stesso rialzo o decideranno di essere più aggressive. Poi i giochi per questo balordo 2022 saranno fatti e dalla prossima settimana ci concentreremo sulle previsioni.



Per lo S&P500 non è stata una settimana gloriosa, se non ci sbagliamo è la peggiore da quasi tre mesi a questa parte. Venerdì ha chiuso a 3934 punti adagiadosi sulla media mobile dei 100 giorni che fa da supporto. Sarebbe stato bello se fosse riuscito a superare la resistenza dinamica (linea rossa) dove probabilmente avrebbe potuto tentare di dare continuità al trend (linee tratteggiate) mentre il fallimento di questo movimento significa che il mercato orso avviatosi ad inizio genniao di quest'anno è ancora in essere. Non vorremmo che il rialzo,  avviatosi durante il mese di settembre, sia un semplice rimbalzo all'interno di un movimento ribassista di lungo corso... Per il 2023 non sarebbe un bel segnale...



Anche per lo SMI di gloria, durante questa settimana che sta per finire, ce n'é stata poca. Comunque avevamo avvisato che delle prese di profitto, considerato il livello d'ipercomprato della scorsa settimana, potevano esserci e ci sono effetivamente state. Ha chiuso a 11'068 punti, a livello di RSI (freccia nera) siamo diventati neutri ma quello che ci piace di più è il fatto che la correzione, soprattutto negli ultimi due/tre giorni,  è avvenuta con volumi molto bassi (freccia rossa) a significare che i movimenti ribassisti non sono stati causati da un'ondata di vendite fuori controllo. Insomma: nessuno ha venduto a piene mani e la cosa ci fa piacere. Anche nel caso del nostro indice sarebbe comunque buona cosa che si riuscisse ad andare sopra la media mobile dei 200 giorni (linea blu) e sarà determinanante la prossima settimana.



Facciamo ancora molta fatica a comprendere il movimento sul dollaro/franco: è vero che la nostra Banca Nazionale Svizzera si appresta giovedi prossimo ad aumentare i tassi (atteso 0.5% ma da non escludere pure uno 0.75%...) e non disdegna l'idea di un franco svizzero forte in ottica anti-inflazione, ma tra la nostra moneta e quella americana ci son sempre una valanga di punti percentuali che ci separano:



 Fra un anno il mercato si aspetta che i rendimenti sul dollaro saranno al 4.63% contro l'1.47% della Svizzera.... più che sufficiente per continuare a far da traino alla valuta americana... o forse ci sbagliamo? Lasciamo aperta la domanda e vediamo se la prossima settimana quando le Banche Centrali si saranno espresse e avremo (si spera) qualche dettaglio supplementare per capire meglio la dinamica tra le due valute.



Per chi guarda invece l'evoluzione del dollaro nei confronti dell'euro in questo caso la dinamica sembra abbastanza chiara,  per lo meno dal punto di vista tecnico: siamo in un canale che ci sta portando verso 1.0750. Tutte le medie mobili sono state ampiamente superare e sul breve non vediamo cosa possa fermare il rafforzamento dell'euro... lo verremo probabilmente a sapere tra martedi e giovedi.


Considerata l'importanza della prossima settimana, se sarà necessario,  vi terremo informati con dei brevi e puntuali Appunti... Per questa settimana basta così, andare oltre non ha senso.

Buon week end!



domenica 4 dicembre 2022

Quando parla Powell...

 Dobbiamo tenere duro ancora un paio di settimane in attesa delle ultime (importantissime) riunioni delle Banche Centrali (FED: 14.12; BCE:15.12; BNS:15.12))  e poi  potremo concentrarci sulle previsioni per il 2023. Ci stiamo lavorando.

Questa settimana, una volta di più in questo difficile 2022,  abbiamo constatato come tutta l'attenzione degli investitori è rivolta all'attività delle Banche Centrali. Oseremmo quasi dire che mai, come in questi ultimi 12 mesi,  il loro ruolo sia determinante per definire in quale direzione vogliono andare le azioni, le obbligazioni ed il mondo del forex. Non sarà così per sempre,  ma in questo preciso momento il destino della finanza è in gran parte nelle loro mani e ne dobbiamo avere la consapevolezza.

Mercoledì ha parlato Powell e la reazione dei mercati è stata sintomatica. Quello che ha detto lo possiamo succintamente riassumere come segue:

1) La Fed è pronta a rallentare l'aumento dei tassi. Li alzerà ancora, ma ad un ritmo meno sostenuto. Dal momento che l'inflazione è una realtà difficile da estirpare (scende ma con il contagocce) e che giustificherebbe altri corposi aumenti, se ne deduce che la FED ha in mano una serie di dati che le suggeriscono un approccio più cauto nel rialzare il costo del denaro onde evitare che a rallentare (eccessivamente) sia l'economia...

2) È probabile che il tasso finale (final rate) sia leggermente più alto di quanto il mercato si aspetti: desumiamo che si potrà iniziare a parlare di un eventuale pivot della Fed quando i Fed Funds saranno tra il 5 e il 5.25%. Oggi sono al 4% e quindi i tassi dovranno salire di almeno un altro centinaio di punti base.

3) Verosimilmente, più che il tasso terminale, sarà decisiva per la lotta all'inflazione la DURATA, cioè quanto a lungo i tassi rimarranno ad un certo livello. Se l'inflazione non dovesse scendere, potremmo aspettarci un periodo prolungato di tassi piuttosto alti. Se così fosse, giocoforza dovremo cercare di capire quale potrebbero essere gli effetti di questi tassi in primis sugli utili aziendali. Temiamo comuque che le risposte che otterremo non saranno confortanti. 

Interessante per contro è la reazione dei mercati (il 30.11) stimolati dall'ipotesi che potrebbe esserci un rallentamento dell'aumento dei tassi:


Il Nasdaq (nell'immagine) , notoriamente l'indice più sensibile al movimento dei tassi di interesse, alla fine del discorso di Powell ha segnato un rialzo del 4.41%. E' la prova provata che gli investitori stanno aspettando il pivot della FED come la manna che cade dal cielo. Gli altri indici, per simpatia, sono ovviamente saliti anche se in modo più contenuto. Il problema è che per il momento di pivot (per intenderci quanto la FED deciderà di abbassare i tassi di interesse) non se ne parla e bisognerà attendere almeno altri sei mesi per vedere un simile movimento (quando illustreremo le previsioni per il 2023 spiegheremo nel dettaglio il perché).

Putroppo la finanza è una brutta bestia da comprendere e spesso e volentieri reagisce alle notizie in modo totalmente inaspettato. In questo momento (ma non per sempre) stiamo vivendo, finanziariamente parlando, in un mondo all'incontrario dove le buone notizie sono pessime notizie e viceversa;  nulla di veramente trascendentale ma se non se ne ha la consapevolezza ce n'è abbastanza per dar di matto.



Venerdì sono stati pubblicati i dati riguardanti la creazione di nuovi posti di lavoro (NFP) e a Powell gli sarà andato il pranzo di traverso: oltre a rivedere il dato del mese precedente (da 261k a 284k) ha dovuto prendere atto che 263k nuovi posti sono stati generati, ben oltre i 200k attesi. Insomma, per il momento,  l'econonia sembra ancora essere in buona salute. Sappiamo bene quanto il mercato del lavoro sia una delle variabili più importanti e discusse durante le sedute della FED e numeri simili, per chi sta lottando contro l'inflazione, sono paradossalmente pessimi dati. E' abbastanza probabile che la FED sarà contenta solo quando la creazione di nuovi posti lavorativi inizierà ad essere inferiore alle 100'000 unità.




In concomitanza con gli NFP abbiamo preso nota che le paghe orarie hanno subito un ennesimo aumento: dal precedente 4.9% (dato rivisto) al 5.1%, atteso:4.6%. Insomma, oltre che a creare un buon numero di nuovi posti di lavoro, bisogna anche pagare di più chi viene assunto e questo soprattutto nell'ambito dei servizi che, nelle economie avanzate come quella americana, fanno quasi i due terzi del PIL. Inflazione da salario la chiamano, non un bel segnale, ed è esattamente il contrario di quello che la FED vorrebbe vedere! 



Ciliegina sulla torta, la disoccupazione americana è inchiodata al 3.7% praticamente da inizio anno.

Riassumiamo: sono stati creati molti posti di lavoro in barba alle aspettative, le paghe orarie salgono e la disoccupazione rimane ai minimi storici. Detta così non sembra che l'economia americana se la passi male e soprattutto per la lotta all'inflazione c'è ancora molto lavoro da fare. Ma allora non siete curiosi di sapere per quale diavolo di un motivo la FED si è lasciata sfuggire che il prossimo aumento dei tassi (previsto per il 14.12) potrebbe essere di soli 50 basis points? Che cosa sanno che noi non sappiamo? Noi un'idea ce la stiamo facendo e ve l'espliciteremo quando parleremo delle previsioni per il 2023,  ma non vi nascondiamo che siamo molto curiosi di sentire dalla viva voce di Powell quale sarà la giustificazione che ha causato il probabile rallentamento dell'aumento dei tassi. Poi ne riparleremo perché sarà fondamentale per l'andamento dei mercati per il 2023.



In attesa del discorso di Powell constatiamo che tutto sommato il mercato sta vivendo quest'ultima parte dell'anno manifestando una calma quasi insperata. L'indice VIX, che registra gli stati d'animo degli investitori, è ai minimi dell'anno e questo è un buon segnale che potrebbe indurci a pensare che siamo in un periodo di discreta stabilità delle quotazioni...

A tal proposito siamo pure confortati dall'amico Ned Devis e dal suo rassicurante algoritmo (che fa quasi paura per la sua precisione...):


...così come dalle statistiche:

...statistiche che ci suggeriscono come gli utimi mesi dell'anno e i primi di quello nuovo sono fondamentalmente propizi agli investimenti azionari.



Lo S&P500 in effetti è in costante progressione e sta pure tentando di superare la media mobile dei 200 giorni (linea blu). E' molto probabile che nel breve termine questo slancio potrà continuare e almeno fino al 14 di dicembre non vediamo all'orizzonte particolari ostacoli che potrebbero interrompere la sua ascesa. Poi tutto sarà nelle mani di Powell...




Anche il nostro indice SMI è parecchio tonico: sta seguendo il canale ascendente sostenuto da volumi decisamente sopra la media (freccia blu) e potrebbe persino provare ad issarsi sopra la resistenza degli 11'250 punti forando in tal modo al rialzo la media mobile dei 200 giorni riuscendo magari persino a chiudere il gap creatosi nel mese di giugno (cerchietto rosso); sarebbe un bel regalo per l'imminente Natale... Qualche presa di profitto, considerato un RSI in zona ipercomprata, è sempre possibile ma non dovrebbe essere nulla di particolarmente distruttivo, anzi... la crescita dell'indice tutto sommato è avvenuta grazie anche ad una sana rotazione tra i vari titoli dello SMI. Per il momento bene così.






...per contro non va proprio benissimo con il dollaro che al sol pensiero di un rallentamento dell'aumento dei tassi è stato vittima di prese di profitto. Forse ce lo dovevamo aspettare un simile comportamento ma restiamo comunque dell'idea che i tassi non stanno diminuendo, anzi, e considerate le difficoltà che ha la BCE nel procedere ad aumenti decisi del costo del denaro come operato invece dalla FED, il differenziale di rendimento tra euro e dollaro dovrebbe ancora giocare a favorre di quest'ultimo. Per il momento il mercato ha comunque un'altra idea... vedremo nelle prossime settimane se sarà necessario procedere a qualche alleggerimento.


Buona (uggiosa) domenica!












giovedì 24 novembre 2022

Le minute della FED

 L'evento più atteso, in una settimana tranquilla caratterizzata dalle festività statunitensi di oggi (Thanksgiving) e domani (Black Friday con la borsa a metà servizio), è stato senza dubbio la pubblicazione di ieri dei verbali dell'ultima riunione della FED. Appare sempre più evidente la spaccatura tra coloro che vorrebbero continuare ad alzare bruscamente i tassi e coloro (la maggioranza) che consigliano maggiore cautela in quanto si profila la probabilità (piuttosto alta) di mandare, se si esagera,  l'economia in una grave recessione. Lo sfasamento temporale tra l'aumento dei tassi e l'effetto sull'economia (e sull'inflazione) può essere quantificato di norma in 12-18 mesi, il che significa che bisogna aspettare almeno altri 6 mesi prima di vedere un risultato concreto... Qualcosa, però, si sta già muovendo....

Il PMI statunitense è al di sotto di 50 da diversi mesi. Rammentiamo che un valore sotto il 50 indica un calo dell'economia e la cosa potrebbe, un po' paradossalmente,  far piacere alla FED e renderla meno battagliera.

Le nuove richieste di disoccupazione pubblicate ieri sono in aumento e superiori alle aspettative...

...ed anche le richieste continue sono peggiorate. Non un granché per il momento, ma potrebbe essere l'inizio di un aumento della disoccupazione, soprattutto ora che i Bigtech stanno iniziando a licenziare a piene mani... La stessa cosa potrebbe accadere negli altri settori. Sappiamo quanto il mercato del lavoro sia nel mirino della FED: un suo peggioramento potrebbe convincere la banca centrale ad adottare un comportamento meno aggressivo. Maggiori informazioni sul mondo del lavoro americano usciranno domani. 

Insomma siamo in quella fase di mercato dove il mondo funziona un po' all'incontrario e le cattive notizie sono... buone notizie! Restiamo quindi dell'idea che il prossimo aumento dei tassi sarà di 50 punti base, inflazione permettendo (data di pubblicazione CPI Usa: 13.12.22  proprio il giorno prima della riunione della FED...).


Se il trend dell'inflazione americana è quello degli ultimi mesi, dovremmo assistere ad un ulteriore calo: avremmo voluto che i costi delle materie prime e dell'energia diminuissero in modo più marcato. Invece sembrano muoversi lateralmente, e va bene, ma rimangono comunque ad un livello (troppo) alto e temiamo che potrebbero rallentare il processo di riduzione dell'inflazione.

 Comunque rimaniamo piuttosto ottimisti considerato il recente calo del petrolio (sta probabimente anticipando pure lui una recessione dell'econimia mondiale) e quanto sta per (forse) decidere oggi l'Unione Europea in termini di market cap nei confronti del prezzo del gas.


L'avvicinarsi di un periodo di recessione ci viene segnalato da quasi 5 mesi dall'inversione della curva dei rendimenti dei Treasury statunitensi: l'inversione della curva l'abbiamo quando il breve termine rende, come è attualmente il caso, più del lungo termine ed in questi giorni il divario tra il tasso a 2 anni (linea rossa) e quello a 10 anni (linea nera) è nuovamente aumentato di circa 20 punti base ed il rendimento delle due scadenze (in verde)  differisce di quasi 80 basis points (la scorsa settimana erano 50); questo irripidimento della curva segnala effettivamente un rischio di recessione che si manifesta normalmente (ma ovviamente NON è una certezza) circa 12 mesi dopo l'inizio dell'inversione. 

E' quindi abbastanza probabile che ad inizio estate 2023 potremmo avere un'economia americana che entra in recessione e temiamo che potrebbe essere ben più di una recessione tecnica (due mesi consecutivi di PIL in decrescita). Persino Bezos, il gran patron di Amazon, da qualche settimana sta mettendo gli americani sull'attenti di quanto potrebbe essere gramo il 2023... Se lo dice lui, che sui consumi degli americani ha costruito un impero, verrebbe proprio voglia di credergli (anche se temiamo sia in parte una strategia per giustificare i suoi prossimi licenziamenti).


Un aspetto piuttosto interessante dell'inversione delle curve dei rendimenti è che prima che appaiano dei tangibili ed inequivocabili segnali di recessione, lo S&P500 mette a segno performances di tutto rispetto... Anche questa volta non lo diamo per scontato ma le statistiche potrebbero aver ragione...

Infatti il modello di Ned Devis (quest'anno sorprendentemente efficace nel cogliere le tendenze) ci segnala l'arrivo di una sorta di rally di fine anno...


Confermato anche dall'andamento dello stesso S&P 500 che sta per attraversare la media mobile dei 200 giorni che gli permetterebbe di sfondare la resistenza dei 4.120 punti... sarebbe davvero un bel regalo di Natale...


Per simpatia con quello americano,  anche il mercato azionario svizzero sta andando piuttosto bene e siamo fiduciosipoiché ci sono tutti i presupposti per iniziare ad attaccare il livello di 11'250 punti: significherebbe lasciarsi definitivamente alle spalle il mercato orso iniziato all'inizio dell'anno. 


È più difficile tenere testa alla volatilità del dollaro che in questi ultimi giorni si muove più del solito nelle due direzioni: solo ieri ha perso contro franco, ma anche contro le principali valute,  un centinaio di basis points. Noi, come detto nel post della scorsa settimana,  ci atteniamo  ai fondamentali che giocano ancora a favore del dollaro, ma che fatica... La voglia di venderne una parte è molto forte! (per inciso, la nostra soglia del dolore è sotto lo 0.9385). 

Buon pomeriggio!