L'evento più atteso, in una settimana tranquilla caratterizzata dalle festività statunitensi di oggi (Thanksgiving) e domani (Black Friday con la borsa a metà servizio), è stato senza dubbio la pubblicazione di ieri dei verbali dell'ultima riunione della FED. Appare sempre più evidente la spaccatura tra coloro che vorrebbero continuare ad alzare bruscamente i tassi e coloro (la maggioranza) che consigliano maggiore cautela in quanto si profila la probabilità (piuttosto alta) di mandare, se si esagera, l'economia in una grave recessione. Lo sfasamento temporale tra l'aumento dei tassi e l'effetto sull'economia (e sull'inflazione) può essere quantificato di norma in 12-18 mesi, il che significa che bisogna aspettare almeno altri 6 mesi prima di vedere un risultato concreto... Qualcosa, però, si sta già muovendo....
Il PMI statunitense è al di sotto di 50 da diversi mesi. Rammentiamo che un valore sotto il 50 indica un calo dell'economia e la cosa potrebbe, un po' paradossalmente, far piacere alla FED e renderla meno battagliera.
Le nuove richieste di disoccupazione pubblicate ieri sono in aumento e superiori alle aspettative...
...ed anche le richieste continue sono peggiorate. Non un granché per il momento, ma potrebbe essere l'inizio di un aumento della disoccupazione, soprattutto ora che i Bigtech stanno iniziando a licenziare a piene mani... La stessa cosa potrebbe accadere negli altri settori. Sappiamo quanto il mercato del lavoro sia nel mirino della FED: un suo peggioramento potrebbe convincere la banca centrale ad adottare un comportamento meno aggressivo. Maggiori informazioni sul mondo del lavoro americano usciranno domani.
Insomma siamo in quella fase di mercato dove il mondo funziona un po' all'incontrario e le cattive notizie sono... buone notizie! Restiamo quindi dell'idea che il prossimo aumento dei tassi sarà di 50 punti base, inflazione permettendo (data di pubblicazione CPI Usa: 13.12.22 proprio il giorno prima della riunione della FED...).
Se il trend dell'inflazione americana è quello degli ultimi mesi, dovremmo assistere ad un ulteriore calo: avremmo voluto che i costi delle materie prime e dell'energia diminuissero in modo più marcato. Invece sembrano muoversi lateralmente, e va bene, ma rimangono comunque ad un livello (troppo) alto e temiamo che potrebbero rallentare il processo di riduzione dell'inflazione.
Comunque rimaniamo piuttosto ottimisti considerato il recente calo del petrolio (sta probabimente anticipando pure lui una recessione dell'econimia mondiale) e quanto sta per (forse) decidere oggi l'Unione Europea in termini di market cap nei confronti del prezzo del gas.
L'avvicinarsi di un periodo di recessione ci viene segnalato da quasi 5 mesi dall'inversione della curva dei rendimenti dei Treasury statunitensi: l'inversione della curva l'abbiamo quando il breve termine rende, come è attualmente il caso, più del lungo termine ed in questi giorni il divario tra il tasso a 2 anni (linea rossa) e quello a 10 anni (linea nera) è nuovamente aumentato di circa 20 punti base ed il rendimento delle due scadenze (in verde) differisce di quasi 80 basis points (la scorsa settimana erano 50); questo irripidimento della curva segnala effettivamente un rischio di recessione che si manifesta normalmente (ma ovviamente NON è una certezza) circa 12 mesi dopo l'inizio dell'inversione.
E' quindi abbastanza probabile che ad inizio estate 2023 potremmo avere un'economia americana che entra in recessione e temiamo che potrebbe essere ben più di una recessione tecnica (due mesi consecutivi di PIL in decrescita). Persino Bezos, il gran patron di Amazon, da qualche settimana sta mettendo gli americani sull'attenti di quanto potrebbe essere gramo il 2023... Se lo dice lui, che sui consumi degli americani ha costruito un impero, verrebbe proprio voglia di credergli (anche se temiamo sia in parte una strategia per giustificare i suoi prossimi licenziamenti).
Un aspetto piuttosto interessante dell'inversione delle curve dei rendimenti è che prima che appaiano dei tangibili ed inequivocabili segnali di recessione, lo S&P500 mette a segno performances di tutto rispetto... Anche questa volta non lo diamo per scontato ma le statistiche potrebbero aver ragione...
Infatti il modello di Ned Devis (quest'anno sorprendentemente efficace nel cogliere le tendenze) ci segnala l'arrivo di una sorta di rally di fine anno...
Confermato anche dall'andamento dello stesso S&P 500 che sta per attraversare la media mobile dei 200 giorni che gli permetterebbe di sfondare la resistenza dei 4.120 punti... sarebbe davvero un bel regalo di Natale...
Per simpatia con quello americano, anche il mercato azionario svizzero sta andando piuttosto bene e siamo fiduciosipoiché ci sono tutti i presupposti per iniziare ad attaccare il livello di 11'250 punti: significherebbe lasciarsi definitivamente alle spalle il mercato orso iniziato all'inizio dell'anno.
È più difficile tenere testa alla volatilità del dollaro che in questi ultimi giorni si muove più del solito nelle due direzioni: solo ieri ha perso contro franco, ma anche contro le principali valute, un centinaio di basis points. Noi, come detto nel post della scorsa settimana, ci atteniamo ai fondamentali che giocano ancora a favore del dollaro, ma che fatica... La voglia di venderne una parte è molto forte! (per inciso, la nostra soglia del dolore è sotto lo 0.9385).
Buon pomeriggio!
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