domenica 4 dicembre 2022

Quando parla Powell...

 Dobbiamo tenere duro ancora un paio di settimane in attesa delle ultime (importantissime) riunioni delle Banche Centrali (FED: 14.12; BCE:15.12; BNS:15.12))  e poi  potremo concentrarci sulle previsioni per il 2023. Ci stiamo lavorando.

Questa settimana, una volta di più in questo difficile 2022,  abbiamo constatato come tutta l'attenzione degli investitori è rivolta all'attività delle Banche Centrali. Oseremmo quasi dire che mai, come in questi ultimi 12 mesi,  il loro ruolo sia determinante per definire in quale direzione vogliono andare le azioni, le obbligazioni ed il mondo del forex. Non sarà così per sempre,  ma in questo preciso momento il destino della finanza è in gran parte nelle loro mani e ne dobbiamo avere la consapevolezza.

Mercoledì ha parlato Powell e la reazione dei mercati è stata sintomatica. Quello che ha detto lo possiamo succintamente riassumere come segue:

1) La Fed è pronta a rallentare l'aumento dei tassi. Li alzerà ancora, ma ad un ritmo meno sostenuto. Dal momento che l'inflazione è una realtà difficile da estirpare (scende ma con il contagocce) e che giustificherebbe altri corposi aumenti, se ne deduce che la FED ha in mano una serie di dati che le suggeriscono un approccio più cauto nel rialzare il costo del denaro onde evitare che a rallentare (eccessivamente) sia l'economia...

2) È probabile che il tasso finale (final rate) sia leggermente più alto di quanto il mercato si aspetti: desumiamo che si potrà iniziare a parlare di un eventuale pivot della Fed quando i Fed Funds saranno tra il 5 e il 5.25%. Oggi sono al 4% e quindi i tassi dovranno salire di almeno un altro centinaio di punti base.

3) Verosimilmente, più che il tasso terminale, sarà decisiva per la lotta all'inflazione la DURATA, cioè quanto a lungo i tassi rimarranno ad un certo livello. Se l'inflazione non dovesse scendere, potremmo aspettarci un periodo prolungato di tassi piuttosto alti. Se così fosse, giocoforza dovremo cercare di capire quale potrebbero essere gli effetti di questi tassi in primis sugli utili aziendali. Temiamo comuque che le risposte che otterremo non saranno confortanti. 

Interessante per contro è la reazione dei mercati (il 30.11) stimolati dall'ipotesi che potrebbe esserci un rallentamento dell'aumento dei tassi:


Il Nasdaq (nell'immagine) , notoriamente l'indice più sensibile al movimento dei tassi di interesse, alla fine del discorso di Powell ha segnato un rialzo del 4.41%. E' la prova provata che gli investitori stanno aspettando il pivot della FED come la manna che cade dal cielo. Gli altri indici, per simpatia, sono ovviamente saliti anche se in modo più contenuto. Il problema è che per il momento di pivot (per intenderci quanto la FED deciderà di abbassare i tassi di interesse) non se ne parla e bisognerà attendere almeno altri sei mesi per vedere un simile movimento (quando illustreremo le previsioni per il 2023 spiegheremo nel dettaglio il perché).

Putroppo la finanza è una brutta bestia da comprendere e spesso e volentieri reagisce alle notizie in modo totalmente inaspettato. In questo momento (ma non per sempre) stiamo vivendo, finanziariamente parlando, in un mondo all'incontrario dove le buone notizie sono pessime notizie e viceversa;  nulla di veramente trascendentale ma se non se ne ha la consapevolezza ce n'è abbastanza per dar di matto.



Venerdì sono stati pubblicati i dati riguardanti la creazione di nuovi posti di lavoro (NFP) e a Powell gli sarà andato il pranzo di traverso: oltre a rivedere il dato del mese precedente (da 261k a 284k) ha dovuto prendere atto che 263k nuovi posti sono stati generati, ben oltre i 200k attesi. Insomma, per il momento,  l'econonia sembra ancora essere in buona salute. Sappiamo bene quanto il mercato del lavoro sia una delle variabili più importanti e discusse durante le sedute della FED e numeri simili, per chi sta lottando contro l'inflazione, sono paradossalmente pessimi dati. E' abbastanza probabile che la FED sarà contenta solo quando la creazione di nuovi posti lavorativi inizierà ad essere inferiore alle 100'000 unità.




In concomitanza con gli NFP abbiamo preso nota che le paghe orarie hanno subito un ennesimo aumento: dal precedente 4.9% (dato rivisto) al 5.1%, atteso:4.6%. Insomma, oltre che a creare un buon numero di nuovi posti di lavoro, bisogna anche pagare di più chi viene assunto e questo soprattutto nell'ambito dei servizi che, nelle economie avanzate come quella americana, fanno quasi i due terzi del PIL. Inflazione da salario la chiamano, non un bel segnale, ed è esattamente il contrario di quello che la FED vorrebbe vedere! 



Ciliegina sulla torta, la disoccupazione americana è inchiodata al 3.7% praticamente da inizio anno.

Riassumiamo: sono stati creati molti posti di lavoro in barba alle aspettative, le paghe orarie salgono e la disoccupazione rimane ai minimi storici. Detta così non sembra che l'economia americana se la passi male e soprattutto per la lotta all'inflazione c'è ancora molto lavoro da fare. Ma allora non siete curiosi di sapere per quale diavolo di un motivo la FED si è lasciata sfuggire che il prossimo aumento dei tassi (previsto per il 14.12) potrebbe essere di soli 50 basis points? Che cosa sanno che noi non sappiamo? Noi un'idea ce la stiamo facendo e ve l'espliciteremo quando parleremo delle previsioni per il 2023,  ma non vi nascondiamo che siamo molto curiosi di sentire dalla viva voce di Powell quale sarà la giustificazione che ha causato il probabile rallentamento dell'aumento dei tassi. Poi ne riparleremo perché sarà fondamentale per l'andamento dei mercati per il 2023.



In attesa del discorso di Powell constatiamo che tutto sommato il mercato sta vivendo quest'ultima parte dell'anno manifestando una calma quasi insperata. L'indice VIX, che registra gli stati d'animo degli investitori, è ai minimi dell'anno e questo è un buon segnale che potrebbe indurci a pensare che siamo in un periodo di discreta stabilità delle quotazioni...

A tal proposito siamo pure confortati dall'amico Ned Devis e dal suo rassicurante algoritmo (che fa quasi paura per la sua precisione...):


...così come dalle statistiche:

...statistiche che ci suggeriscono come gli utimi mesi dell'anno e i primi di quello nuovo sono fondamentalmente propizi agli investimenti azionari.



Lo S&P500 in effetti è in costante progressione e sta pure tentando di superare la media mobile dei 200 giorni (linea blu). E' molto probabile che nel breve termine questo slancio potrà continuare e almeno fino al 14 di dicembre non vediamo all'orizzonte particolari ostacoli che potrebbero interrompere la sua ascesa. Poi tutto sarà nelle mani di Powell...




Anche il nostro indice SMI è parecchio tonico: sta seguendo il canale ascendente sostenuto da volumi decisamente sopra la media (freccia blu) e potrebbe persino provare ad issarsi sopra la resistenza degli 11'250 punti forando in tal modo al rialzo la media mobile dei 200 giorni riuscendo magari persino a chiudere il gap creatosi nel mese di giugno (cerchietto rosso); sarebbe un bel regalo per l'imminente Natale... Qualche presa di profitto, considerato un RSI in zona ipercomprata, è sempre possibile ma non dovrebbe essere nulla di particolarmente distruttivo, anzi... la crescita dell'indice tutto sommato è avvenuta grazie anche ad una sana rotazione tra i vari titoli dello SMI. Per il momento bene così.






...per contro non va proprio benissimo con il dollaro che al sol pensiero di un rallentamento dell'aumento dei tassi è stato vittima di prese di profitto. Forse ce lo dovevamo aspettare un simile comportamento ma restiamo comunque dell'idea che i tassi non stanno diminuendo, anzi, e considerate le difficoltà che ha la BCE nel procedere ad aumenti decisi del costo del denaro come operato invece dalla FED, il differenziale di rendimento tra euro e dollaro dovrebbe ancora giocare a favorre di quest'ultimo. Per il momento il mercato ha comunque un'altra idea... vedremo nelle prossime settimane se sarà necessario procedere a qualche alleggerimento.


Buona (uggiosa) domenica!












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