sabato 29 gennaio 2022

Il peso delle parole


 

Siamo arrivati ad un buon terzo dalla pubblicazione totale di tutti gli utili del quarto trimestre e una domanda ci sorge spontanea: ma quanto pesano le parole? In questo momento sicuramente più dei numeri. Quelli portati a nostra conoscenza, nel 70% dei casi hanno superato le aspettative o per lo meno le hanno confermate. Ovviamente per giustificare delle quotazioni estremamente elevate, spesso persino oltre il limite della sopravvalutazione,  le cifre dovevano obbligatoriamente essere robuste. Ma in questa stagione degli utili  l'unica cosa che sembra veramente interessare agli investitori sono le previsioni  che più o meno puntualmente seguono la pubblicazione dei risultati. Insomma pendiamo tutti dalle labbra dei CEO delle aziende e questo vale soprattutto per quelle tecnologiche.

Uno dei tanti esempi che possiamo fare è quello di TESLA, che ha portato a nostra conoscenza numeri decisamente positivi,  ma in questo caso vorremmo portare alla vostra attenzione anche un altro fenomeno che ha un potenziale distruttivo pari se non superiore alle parole usate dai vari amministratori delegati per descrivere l'attività prossima ventura. Facciamo riferimento al NON DETTO, ovverosia al tipo di informazione che l'analista vorrebbe sentire uscire dalla labbra del CEO ma che in realtà rimane inespresso. Sono in molti che avrebbero voluto sentire da Musk la sua visione per i nuovi prodotti attesi quest'anno ma le sua parole, vaghe, sono state punite dal mercato e stamani le azioni Tesla ce le siamo ritrovate 16 punti percentuali in meno rispetto al massimo del giorno precedente. 



Altri esempi significativi per quanto riguarda il peso delle parole sono quelli di MSFT (vedi grafico qui sopra) e Teradyne. La prima, Microsoft,  punita in apertura appena dopo la pubblicazione dei numeri ma letteralmente salvata dall'intervento propizio del CEO che a parole dipinge un 2022 promettente; la seconda se n'è uscita con numeri da capogiro ma è astata affondata (-22%) del suo stesso amministratore delegato quando descrive uno scenario difficile per il 2022.

Per le borse l'inizio del 2022 è decisamente complicato e dobbiamo stare molto attenti:  già i numeri quando vengono pubblicati spesso si prestano ad esercizi di interpretazione non facilissimi; ancor più difficile interpretare le parole che son tutte da decodificare e spesso bisogna pure essere bravi a leggere tra le righe. Da questo  esercizio, complesso,  al quale aggiungiamo anche il "non detto" sta arrivando un po' di volatilità supplementare non sempre gradita.



A proposito di parole, mercoledì scorso ha parlato Powell.  Il suo è stato un discorso molto atteso ma in sostanza  ha detto quello che più o meno era già atteso dagli analisti. Ad un certo punto ha però sottolineato che "siamo impegnati ad usare tutti i nostri strumenti per assicurarci che l'inflazione non si radichi". Ha proprio usato il termine radicare che spesso evoca qualche cosa di tignoso, che è qui per restarci e che potrebbe arrecare danni. Insomma per la prima volta, dopo mesi e mesi che si posizionava dietro una curva inflattiva che a suo dire era temporanea, ce lo ritroviamo davanti ad essa ad armeggiare prima che possa diventare un grosso e permanente problema da sradicare. Risultato: oramai il mercato sta scontando 5 aumenti dei tassi per il 2022 e magari, considerato il fatto che le componenti di questo rincaro non accennano per il momento a placarsi, alla prossima pubblicazione del CPI (10.02.22) gli aumenti attesi potrebbero anche essere 6 o 7. Speriamo di no.

Abbiamo anche evidenziato le attese per l'Eurozona e la Svizzera che non sono cambiate da una settimana con l'altra (non ci aspettiamo praticamente nessun rialzo dei tassi per il momento) mentre in controtendenza abbiamo la Cina che in effetti dovrebbe continuare a diminuire i tassi.



A dir la verità, e ci scusiamo se stiamo per diventare un po' troppo tecnici, ma stamani ci siamo imbattuti nel breakeven rate del decennale americano  che abbiamo incrociato con la resa del Treasury a 10 anni dove è abbastanza evidente una  recente correlazione inversa: mentre l’inflazione attesa è scesa dal suo picco di oltre 2.60% verso l’attuale 2.43%, lo yield del Treasury è salito dall’1.50% di fine dicembre all’attuale 1.84% e la cosa non è normale. Questo potrebbe essere un indicatore del fatto che la salita dei rendimenti non sia dovuta tanto ad un aumento dell’attesa inflattiva, quanto alle considerazioni legate al tightening della FED e quindi ad un prospettato aumento dell’offerta di Treasuries che ne fa scendere la quotazione e aumentare la resa. 

Ergo: sembra che per il momento il mercato sia più spaventato dalla riduzione del bilancio della FED che non da un'inflazione difficile da combattere. Anche in questo caso siamo confrontati con il non detto di Powell che a proposito della riduzione del bilancio della FED è stato avaro di commenti generando in tal modo della preoccupazione supplementare. Una prima riduzione miliardaria del bilancio,  è stato calcolato dagli analisti,  avrà gli stessi effetti di 3 aumenti dei tassi da 0.25% che vanno in aggiunta ai 5 attesi dal mercato. Mercoledì si cercavano conferme di questa ipotesi, conferme che non sono arrivate.




Chi sta approfittando di questo scenario da aumento tassi è ovviamente il dollaro che si sta rafforzando sia contro euro e lo vedremo probabilmente presto a 1.10...


 ...mentre contro chf è ancora in una fase di movimento laterale dalla quale uscirà solo se sarà, come è probabile che sia, in grado di superare quota 0.9380.




Per i mercati azionari è un inizio d'anno complicato come non si vedeva da molto tempo: lo SMI sta cercando disperatamente di non evolvere definitivamente sotto la media mobile dei 200 giorni e con un po' di fatica sembra riuscirci. Venerdì ha chiuso a 12'104 punti che sono di buon aspicio per iniziare con il piede giusto la prossima settimana. Restiamo comunque per il momento molto guardinghi anche se dobbiamo ammettere che molti titoli hanno corretto in modo importante e verrebbe veramente voglia di fare un po' di compere...



Anche per lo S&P500 la musica non è molto diversa: la media mobile dei 200 giorni (blu) è stata violata ripetutamente durante la settimana generando un bel po' di malessere. Fortuna vuole che la chisura di ieri a 4431 ha riportato l'indice a ridosso di questa media, anzi ci si è proprio seduto sopra, non male... comunque dita incrociate per la prossima settimana.


Buon week end!



 

lunedì 24 gennaio 2022

Dal rosso di venerdi al nero di lunedì


 

Venerdì sera eravamo pronti ad un rimbalzo dei mercati così come lo stavano pure segnalando i futures americani questa mattina. 

Eravamo già pronti a fare le pulci al discorso che farà Powell a margine della riunione della FED di martedì e mercoledì, quando siamo stati richiamati al presente da quanto sta succedendo ai confini tra Russia e Ucraina dove a quanto pare i Russi hanno voglia di menar le mani. Infatti la cosa è stata presa seriamente da parte di alcune ambasciate, tra le quali troviamo quella americana che sta in fretta e furia richiamando dall'Ucraina tutto il personale diplomatico che non sia strettamente necessario. Non un bel segnale... 

Quindi prima di preoccuparci della stretta sui tassi che la FED farà fra un paio di mesi, dobbiamo giocoforza occuparci di quello che sta passando nella testa di Putin che francamente non è che sia il più inteligibile dei personaggi che occupano la scena politica dei nostri giorni.

La scorsa settimana, se non andiamo errando, qualcuno si era già portato avanti con i lavori e aveva messo il leader russo sull'attenti rendendogli noto che in caso di invasione dell'Ucraina il suo paese sarebbe stato oggetto di un paio di ritorsioni tra le quali l'esclusione dal sistema di pagamenti internazionale Swift... A quanto pare Putin non ha fatto una piega...

Ci spiega il perché un pezzettino di un articolo pubblicato dal quotidiano Die Welt dove si evidenzia che "Mosca si è preparata come non mai alla controffensiva occidentale: le riserve sono a livelli record, i debiti pubblici e quelli privati sono minimi, l'abbandono del dollaro in fase molto avanzata" e, aggiungiamo noi,  hanno riserve di oro imponenti e un rapporto privilegiato con le criptovalute. Insomma si sono attrezzati piuttosto bene e non da ultimo potrebbero far passare un inverno piuttosto rigido a metà della popolazione europea chiudendo semplicemente un paio di rubinetti del gas.

La cosa quindi non è da prendere sottogamba.

Ma veniamo ai mercati: neppure loro stanno prendeno quanto sta succedendo ai confini con l'Ucranina a cuor sereno ed oggi ce ne hanno dato una dimostrazione: probabilmente è uno dei maggiori sell off di giornata dal marzo del 2020. 

In una sola seduta anche lo SMI ci ha deliziato, si fa per dire, con una performace negativa dove ha infilato in un solo giorno lo sfondamento delle medie mobili a 100 e 200 giorni  e di due supporti (12'270 e 12'080); per fortuna si è assestato in chiusura sul supporto a 11'870 punti. Ci vuole dell'impegno per combinare un simile disastro tutto in un giorno...

Ora che fare? La prima cosa vediamo se gli 11'870 punti vengono confermati domani mattina: vedremo se si rimbalza per lo meno sopra i 12'000 punti. Se non arrivano ulteriori segnali negativi dalla Russia dovrebbe essere piuttosto probabile. Ci sono parecchi titoli europei che sono a prezzo di sconto e li stiamo monitorando. Una zero cost strategy, approfittando della volatilità schizzata alle stelle (VIX a 36) potrebbe essere il migliore dei sistemi per rientrare.

Dobbiamo però controllare che l'indice SMI non scenda sotto quota 11'870 altrimenti sono guai grossi: il prossimo supporto convincente è a 11'250 punti ovverosia un altro 5% di correzione. In quel caso un minimo di alleggerimento andrebbe fatto.

Vediamo domani come va. Ci risentiamo presto...

sabato 22 gennaio 2022

Le borse si tingono di rosso


 

Avevamo avuto il sospetto che la settimana borsistica appena conclusa poteva crearci un po' di mal di pancia ma da ieri sera, quando il Nasdaq ha chiuso a 13'768 punti confermando la tendenza ribassista,  ne abbiamo la certezza. D'altronde le bolle azionarie o presunte tali, tendono a sgonfiarsi prima dalle parti di ciò che è più rischioso ed ora c'è da sperare che non creino troppi danni anche a  quei mercati meno aggressivi.

La scorsa settimana avevamo già evidenziato che il rischio principale non si annida nei numeri del quarto trimestre del 2021 ma nella parole che avrebbero utilizzato i responsabili delle società nel disegnare il futuro prossimo delle loro aziende.



L'esempio di Netflix è a tal proposito significativo: per l'ultimo trimestre 2021 pubblica numeri discreti ed in linea con le aspettative ma nel disegnare l'outloock del primo trimestre 2022 gela gli investitori paventando un forte rallentamente nella sottoscrizione di nuovi abbonamenti a pagamento: dai 5.8 mio stimati dagli analisti, i responsabili dell'azienda correggono subito il tiro e si dichiarano già contenti se di nuovi abbonamenti ne verranno sottoscritti 2.1 mio, meno della metà di quelli attesi. Ergo,  il mercato spedisce la quotazione del titolo 21 punti percentuali sotto il valore di chiusura del giorno precedente. E' abbastanza probabile che di incidenti come questo ne vedremo altri nelle prossime settimane e sono tutti degli ottimi esempi di cosa si intende per rischio non sistematico in ambito finanziario.

A tal proposito la prossima settimana diverse società importanti pubblicano i dati. Martedì: Microsoft, Verizon, Am Ex, J&J. Mercoledì: Tesla e Intel. Giovedì: Apple, Visa, Comcast, McDonald's. Vene: Chevron e Caterpillar.

Già che stiamo parlando di azioni, diamo un'occhiata ai principali indici:



Partiamo dal Nasdaq che è quello che maggiormente preoccupa. E' noto che l'aumento dei rendimenti è un po' la criptonite del mercato tecnologico e purtroppo ne abbiamo la conferma: è dall'inizio di quest'anno che l'indice è entrato in una fase di correzione (-12% ytd).  E' in un evidente stato di ipervenduto ma temiamo che, se non vi sarà un rimbalzo all'inizio della prossima settimana,  andremo a vedere i 13'500 punti... La speranza è che il movimento che ha riportato i rendimenti del decennale americano da 1.90% a 1.74% possa generare una spinta verso l'alto dell'indice,  ma non sarà facile considerato che il supporto dinamico (linea nera)  e tutte le medie mobili sono state forate al ribasso. 

Va anche ricordato che  il ritracciamento di un trend può estendersi fino ad un 50% del movimento accumulato  dal punto di partenza al culmine del trend stesso. L'attuale trend del Nasdaq è partito a marzo del 2000,  dove era a 7'000 punti,  ed è arrivato a 16'000 accumulando quindi 9'000 punti di rialzo. Il 50% di 9'000 sono 4'500 punti, ne ha già persi largo circa 2'000 e ne mancherebbero altri 2'500 all'appello che teoricamente posizionerebbe il  target di questo ritracciamento  attorno agli 11'500 punti prima di trovare un supporto per ripartire... vedremo. Consola il fatto che anche l'analisi tecnica non è una scienza esatta e ci rimane sempre la possibilità, incrociando le dita tutti insieme, di sperare in un movimento diverso da quello descritto...



 Anche lo S&P500 ha i suoi problemi: ieri è andato ad impattare la media mobile dei 200 giorni e se la sfonda son guai. Di solito prima dello sfondamento definitivo, c'è un tentativo di rimbalzo ed è quello che vorremmo vedere lunedì.

Ben sapendo che il 40% dell'indice è composto da 5 titoli mettiamo in risalto la loro data di pubbliocazione dei dati trimestrali sperando di non vedere una debacle come quella di Netflix:

Tesla (26.1), Apple (27.1), Google (01.2), Amazon (01.2) e Meta (ex FB - 02.02).



Siamo per definizione un mercato difensivo, ma pure lo SMI non è indifferente alle turbolenze di questo inizo d'anno: abbiamo cercato di difendere i 12'500 punti con i denti ma poi venerdi ci siamo arresi: non ci resta che sperare che la media mobile dei 100 giorni (linea verde) sia piuttosto resistente. Nel medio periodo comunque il trend è ancora in essere e prima di parlare di ritracciamenti che potrebbero replicare quelli del Nasdaq aspettiamo ancora un po'.


Non possiamo fare a meno di parlare di rendimenti e delle loro aspettative: purtroppo è importante seguire da molto vicino il loro sviluppo.



Se vi ricordate bene, la scora settimana parlavamo di 3 aumenti dei tassi negli USA: purtroppo il mercato ne sta ora scontando almeno 4 (vedi i 102 punti base attesi ad un anno) e si parla sempre più insistentemente di un rialzo già a marzo di 50 punti (!) tutti in una volta.

L'Eurozona si smarca notevelmente dagli Stati Uniti in quanto ad un anno sono scontati  scarsi 20 punti base: praticamente, considerato che l'aumento minimo quando le banche centrali si decidono a muoversi è di almeno 25 punti base, significa che per il momento di aumenti non se ne parla; siamo comunque curiosi di vedere fino a quanto i Tedeschi, che hanno un'inflazione al 5%, non andranno a bussare alla porta della Lagarde. 

Sorprende invece che l'aspettativa per la Svizzera sia di 33 punti base... Stranissimo in quanto è abbastanza improbabile che la Svizzera riesca a muoversi prima della EU.



In una situazione di risk off come quella vissuta questa settimana, il Treasury a 10 anni viene di solito acquistato e anche questa volta sembra che la teoria si rifletta nella pratica: dopo aver puntato ad una resa di 1.90% (praticamente a livelli pre-pandemici) verso il fine settimana è sceso in zona 1.70% e la qualcosa potrebbe calmare un po' le acque settimana prossima.


Legati ai rendimenti non possiamo trascurare il capitolo dei cambi, velocemente:



Euro/chf ci aveva fatto sperare in un recupero della valuta europea ma si è trattato di un falso movimento: siamo tornati sotto 1.04 e se gira ancora per un po' quest'aria da risk off  non ci meraviglieremmo di vederlo 1 a 1.



Il dollaro contro euro dovrebbe essere molto più forte ed approssimarsi al 1.10. Per il momento non sembra il caso.



Insomma per l'ennesima volta il  franco svizzero è superstar... anche contro dollaro, che dovrebbe trovarsi con queste rese almeno attorno allo 0.935-0.94,  siamo in prossimità del supporto a 0.91 e speriamo che lo tenga.


Buon week end!





domenica 16 gennaio 2022

Gas: un problema complesso

 A margine di quanto scritto ieri, abbiamo letto un articolo pubblicato da The Economist che riassume piuttosto efficacemente quanto potrebbe essere grave la crisi energetica se quest'ultima non viene risolta in tempi rapidi. Premettiamo che l'articolo è a nostro giudizio condivisibile solo in parte ed è scritto da una testata che ha la sua sede in un paese che ci consta non godere proprio di una salute di ferro... Quindi proponiamo di leggere con occhi critici quanto proposto perché avviare una riflessione su dove questa crisi ci sta mandando potrebbe salvare anche il nostro portafoglio.

La traduzione è come di consuetudine fatta in automatico e ci rusulta leggebile benché non impeccabile.... buona lettura.



Gas nightmares

La crisi energetica dell'Europa scatenerà le sue peggiori nevrosi

Un'impennata dei prezzi del gas è la materia degli incubi

The Economist, 15 gennaio 2022


In "1984" di George Orwell, la stanza 101 è il luogo in cui i prigionieri si confrontano con la loro peggiore paura. Trovare la fobia prevalente degli europei è più complicato: ciò che spaventa gli elettori di una parte del continente (richiedenti asilo! deficit! Russia!) può essere di scarsa importanza per quelli dell'altra parte. Il Covid-19 è uno dei contendenti, dato che ha reso la vita noiosa da Dublino a Dubrovnik e oltre. Un altro è la crisi energetica in corso nel continente. L'impennata dei prezzi del gas naturale sta mandando le bollette del riscaldamento alle stelle, assorbendo il denaro che gli europei hanno risparmiato mentre si lamentavano a casa per due anni. È una crisi così onnicomprensiva che tutte le parti dell'UE dovranno affrontare le loro più profonde apprensioni.

Come per la maggior parte degli incubi, le origini del power crunch sono in parte chiare e in parte misteriose. L'Europa è entrata nella stagione invernale con basse scorte di gas naturale, che viene usato per riscaldare le case e generare elettricità. La riduzione della produzione interna di energia in posti come i Paesi Bassi, le brezze deboli che non sono riuscite a far girare le turbine eoliche come si sperava, il boom della domanda asiatica che ha risucchiato il gas verso est, e i problemi di manutenzione alle centrali nucleari francesi si sono coalizzati in una carenza che pochi hanno visto arrivare. Quando la Russia, da cui tendono a partire i gasdotti, non si è affrettata ad aiutare con forniture aggiuntive, i prezzi sono saliti alle stelle. La famiglia media europea dovrà affrontare bollette di elettricità e gas di 1.850 euro (2.100 dollari) nel 2022, rispetto ai 1.200 euro del 2020, secondo la Bank of America. I timori di interruzioni di corrente per l'inverno sono stati anticipati da un periodo di caldo fuori stagione, per ora.

Ma l'orrore va oltre il portafoglio: per molti paesi, evoca le loro peggiori insicurezze. Prendete l'orgogliosa Francia, che attualmente detiene la presidenza di turno del Consiglio dell'UE. La crisi mette in ridicolo il raggiungimento dell'"autonomia strategica" del blocco, l'ultima grande idea del presidente Emmanuel Macron. Che l'Europa debba essere protetta dall'essere comandata da potenze straniere suona lodevole, ma sembra più lontano che mai. Quale autonomia può rivendicare l'Europa quando ha bisogno della generosità russa per tenere le sue case al caldo? Questa è una domanda scomoda in un momento in cui Vladimir Putin minaccia di invadere l'Ucraina. Se l'America risponde con sanzioni contro la Russia, come ha minacciato, sarà l'Europa a subire il peggio del castigo del Cremlino. Non c'è da stupirsi che l'UE riesca a malapena a trovare un posto al tavolo dei negoziati.

Peggio ancora, alcuni paesi sembrano ottimisti allo stato attuale delle cose. La Germania è nelle fasi finali della firma del Nord Stream 2, un gasdotto che renderà l'Europa ancora più dipendente dal gas russo. La più grande economia dell'UE dovrà affrontare le proprie angosce. L'aumento dei prezzi dell'energia sarà disastroso per la sua industria. Ha anche innescato un salto nell'inflazione, l'indicatore economico che i tedeschi temono di più. E il nuovo governo di coalizione, che è diviso sul Nord Stream 2, ha appena supervisionato la chiusura di tre centrali nucleari che avrebbero potuto essere utili per tenere accese le luci del continente. Il paese che pensa di fornire soluzioni per l'Europa è ora parte del problema.

Due paure gemelle tengono svegli gli europei del nord nelle loro lunghe notti invernali. Uno è che l'UE non riesca ad agire contro il cambiamento climatico, cosa che preoccupa molto gli elettori dei Paesi Bassi e della Scandinavia. L'altro è che i "loro" soldi vadano a sovvenzionare gli spendaccioni del sud. L'accordo raggiunto nel 2020 per un fondo europeo per il recupero dei covoni ha chiaramente messo queste due paure l'una contro l'altra: i frugali nordici hanno accettato di sottoscrivere un grande pacchetto di aiuti, a condizione che finanziasse investimenti a lungo termine (in particolare quelli verdi). La crisi del gas mina questa impostazione. I governi di paesi come l'Italia e la Spagna stanno sborsando miliardi per aiutare le famiglie a gestire le bollette più alte, mentre i minatori polacchi fanno gli straordinari per scavare carbone sporco.

La più grande paura dell'Europa meridionale è quella di una ripresa stentata. La Grecia, l'Italia e altri paesi potrebbero usare una buona corsa dopo due crisi in poco più di un decennio. I grandi salti nelle bollette energetiche fanno più male ai paesi più poveri. Questo vale anche per gli europei dell'est. Ma la loro stanza 101 è dominata dal signor Putin, che tiene la mano sul rubinetto del gas mentre chiede che i paesi dell'ex Patto di Varsavia smettano di ospitare le truppe della NATO. Se le temperature invernali non fanno rabbrividire i paesi baltici, la prospettiva di un Putin con la maschera da hockey che li prende come adolescenti terrorizzati lo farà sicuramente.

Paura della pompa

Il film dell'orrore sui prezzi del gas è più terrificante per gli eurocrati. Le cause dell'attuale snafu energetico sono difficili da distillare in un singolo fattore, dice Georg Zachmann di Bruegel, un think-tank a Bruxelles. Questo lascia molto spazio per designare un capro espiatorio, e un candidato viene in mente. La Commissione europea regola i mercati dell'energia dell'UE (per lo più in modo ragionevole) e ha fatto della neutralità del carbonio un elemento centrale del futuro del blocco (anche questo è ragionevole). Per quanto valide possano essere le sue decisioni politiche, esse hanno aggravato la crisi attuale. Per esempio, passare al carbone per mantenere bassi i prezzi è meno di un'opzione, poiché richiederebbe l'acquisto di costosi crediti di emissioni di carbonio dell'UE.

Se la Gran Bretagna fosse ancora nell'UE, quelli come Nigel Farage avrebbero senza dubbio trascorso gli ultimi mesi ad accusare Bruxelles per l'aumento dei costi energetici. Altri potrebbero prendere il suo mantello demagogico. La Francia, patria dei gilets jaunes, ha una recente esperienza di scontrosità popolare legata ai prezzi dell'energia, e si sta preparando per un'elezione con alcuni rauchi eurobashers. Viktor Orban cercherà anche qualche elemento della macchina europea da colpire mentre si prepara ad affrontare gli elettori ungheresi in aprile.

I funzionari europei sanno che il riflettore della colpa potrebbe oscillare su di loro, e non sono impazienti di farlo. Eppure l'ansia può essere salutare quando la paura è quella di essere ritenuti responsabili. Avere gli elettori che si lamentano dell'approccio dell'UE ai problemi è un segno che sta elaborando politiche con le quali alcune persone non sono d'accordo, e che potrebbero voler rovesciare. Questo assomiglia molto a una democrazia funzionale a livello paneuropeo. Spaventoso, vero? Boo! ■



sabato 15 gennaio 2022

7%

 Stiamo correndo il rischio di diventare stucchevoli, ma ci tocca ancora parlare (e molto) d'inflazione. 

Infatti abbiamo tutti capito che la Omicron non è più ritenuta una minaccia mortale per il sistema produttivo e tanto meno per le persone, quindi la nostra attenzione è sempre più attirata dal problema inflattivo e la settimana appena trascorsa è stata prodiga  d'informazioni a tal proposito. 

Il quadro che ne esce per il momento lo potremmo definire misto: sappiamo che l’inflazione made in USA è al 7% ma poteva essere peggio, il PPI (cioé quanto costa produrre in america) è aumentato del 9.7% YoY, come mai nella storia di questo indicatore, ma c’é chi era pronto a giurare per un aumento ancora più marcato…Vi risparmiamo gli altri dati ma la musica non cambia. 

Insomma pare che siamo messi male, ma non malissimo. Tant’è che molti analisti si sono già lasciati andare a commenti del tipo „siamo al top e non possiamo che scendere…“ facendo ovviamente riferimento all'inflazione.


Forse sarà come dicono loro, ma intanto dobbiamo fare i conti con quanto segue:




Il bloomberg Commodities Index, quello che registra l'andamento delle prezzo delle commodities a livello mondiale, è tornato prepotentemente a salire ed è ad un soffio dai massimi storici...



...il Bloomberg Energy Index ha un trend che più chiaro di così si muore...





... il costo dei trasporti rimane a livelli decisamente elevati.


Insomma l'inflazione sarà anche arrivata al suo massimo ma per il momento è qui per restarci. 

A questo punto è maggiormente comprensibile la preoccupazione manifestata da Powell che questa settimana ha parlato davanti alla commissione del Senato affermando che "è davvero arrivato il momento di allontanarsi dalle impostazioni di emergenza pandemia e tornare ad un livello più normale". 


Sappiamno tutti che il mercato si aspetta 3 aumenti dei tassi, con il primo di questi previsto già a marzo. A tal proposito registriamo anche una presa di posizione del CEO di JP Morgan che ad inizio settimana se n'è uscito con quest'affermazione: "personalmente sarei sorpreso se fossero solo 4 ..." ovviamente riferito ai rialzi, rialzi che verranno poi conditi anche da un assottigliamento trilionario del bilancio della FED previsto con delle tempistiche rapide (fine primo semestre) e decisamente inusuali. 


A questo punto ci sorge spontanea una domanda: ma tutto questo allarmismo è veramente giustificato? Potrebbe esserlo, ma per dare una risposta alla questione dobbiamo rinfrescarci un po' la memoria e fare un passo indietro di quarant'anni quando nel 1982 è stata registrata per l'ultima volta un'inflazione al 7%. 

Era un'inflazione che ci portavamo appresso dagli anni 70 e che fu innescata da una serie di eventi tra i quali la doppia crisi petrolifera che fece decollare il costo dell'energia. Oggi le cose sono molto diverse ma il rincaro energetico è ciò che accomuna l'inflazione di oggi a quella di ieri ed abbiamo il sospetto che non sarà facile riportare, soprattutto ora che si parla sempre più di riconversione energetica,  il costo dell'energia a livelli più bassi. E' noto che l'energia alternativa costerà molto di più di quella attuale...


Ma quello che più spaventa è il ricordo di dove stavano allora i rendimenti del Treasury a 10 anni:




...stavano tra il 12 e il 16%. Poi il progresso teconologico ci ha aiutato a gestire meglio i cicli produttivi e l'inflazione ad un certo punto è addirittura sparita. Siamo tutti consapevoli che con la massa di debiti che abbiamo accumulato in questi anni e soprattutto negli ultimi due caratterizzati dalla pandemia, non possiamo permetterci di veder salire il costo del denaro a livelli siderali, ma forse a ben vedere non potremmo permetterci neppure i 4 o 5 aumenti attesi.


L'atteggiamento di Powell davanti al Senato non poteva essere diverso e affermare di voler con vigore tornare alla normalità era l'unica cosa che poteva dire;  poi dovrà passare all'azione ed in cuor suo siamo certi che spererà in una magica dissoluzione dei colli di bottiglia e nel miglioramento della catena di distribuzione prima di dover effettivamente pigiare con forza sull'acceleratore dei tassi.


Per il momento il mercato non sembra credere troppo ai 4 o 5 aumenti:



 

Il rendimento non riesce ad andare oltre l'1.80%...





... e ad un anno le aspettative del mercato sono per un aumento di 95 basis points che corrispondono a 3 rialzi (da 0.25 l'uno) e mezzo e non oltre e speriamo che bastino, perché oltre non sarà facile andare. Ma ammettiamolo, un po' di inflazione che mangia una parte del debito accumulato non dispiace più di tanto ma nel contempo non si può tollerare a lungo una inflazione al 7% che per il ceto medio americano significherebbe una notevole erosione del potere d'acquisto con evidenti riflessi negativi anche sulla crescita economica. Quindi iniziamo ad esser convinti che l'azione di Powell ci sarà  ma sarà probabilmente costretto a decelerare quanto saremo ad un niente dal destabilizzare i mercati finanziare e quello si che sarebbe un grave problema da risolvere di gran lunga peggiore dell'inflazione . Quindi siamo dell'opinione che tre aumenti potrebbero bastare.



Ma vediamo le borse:




Il trend di medio periodo per quanto riguarda lo SMI, che ha avuto una settimana piuttosto movimentata, è ancora intatto...




...a breve termine è fondamentale che tenga i 12'500 punti altrimenti rivedremo con una certa velocità quota 12'270... la foratura ribassista della media mobile dei 50 giorni (linea viola) non è un bel segnale.




...anche lo S&P500 continua il suo trend rialzista ma sta lottando pure lui con la media mobile dei 50 giorni... Ieri sono stati pubblicati i numeri dell'ultimo trimestre 2021 per Wells Fargo, Citigroup e JPMorgan: numeri discreti ma forse ci si aspettava di più... Un primo segnale che questa stagione degli utili, dove il mercato si aspetta una crescita media di oltre il 20%, potrebbe riservarci qualche sopresa non proprio gradita e con uno S&P500 che viene scambiato a 21 volte gli utili attesi per i prossimi 12 mesi, reagire malamente a numeri inferirori alle attese è un attimo.


Come sempre sarà ancora più importante dare ascolto agli outlook per il 2022 delle aziende e anche in questo caso qualche amara sorpresa non è da escludere.


A noi verrebbe una gran voglia di alleggerire un po' i portafogli e probabilmente la prossima settimana avvieremo una riflessione a tal proposito...


Buona lettura e buon week end!


giovedì 6 gennaio 2022

Le minute della FED


E' tradizione che i Re Magi portino in dono oro (che dovrebbe valere di più degli attuali 1792 $ per oncia), incenso e mira ai quali quest'anno hanno aggiunto le minute della FED. Dai verbali dell'ultima seduta della banca centrale americana (15.12.2021)  se ne deduce che i Governatori sono molto più preoccupati per l'inflazione di quanto dato a sapere fino ad oggi: tutti prevedono un rincaro in fase ascendente per tutto il 2022 e le cose potrebbero non essere molto diverse anche per il prossimo anno. 

Inoltre dalle minute traspare la volontà di procedere in tempi rapidi ad una riduzione del bilancio della FED di 8.7 trilioni di dollari, la qualcosa costituisce un'ulteriore manovra di riduzione indiretta di liquidità che andrà ad aggiungersi ai tre aumenti dei tassi attesi dal mercato, il primo dei quali non saremmo sorpresi se sarà già nel mese di marzo, in corrispondenza con la fine del tapering.

Lo sapevamo che le cose non erano messe bene ma, leggerlo nero su bianco, dà all'evento tutt'altro peso specifico che è subito stato recepito negativamente dai mercati azionari già nella seduta americana di ieri sera ed in quella odierna per quanto concerne Asia ed Europa.



 La reazione più significativa è stata quella del rendimento del Treasury americano a 10 anni che ieri si è portato all'1.73% ad un soffio del livello pre-pandemico (cerchio rosso) di 1.80%-2% e temiamo che presto potrà anche essere superato. Va comunque considerato il fatto che un tasso del decennale al 2.5% è considerato "neutrale" (non stimola e non danneggia eccesivamente l'economia) e quindi inizieremo a preoccuparci sul serio solo se con le rese andremo oltre.



 Anche la resa del Treasury a 2 anni (0.85%) segue a ruota confermando un trend che si è messo già in movimento a settembre dello scorso anno e sembra non avere nessuna resistenza fino al 1.30%.

Come avevamo previsto per il reddito fisso non è certo un bel momento e per fortuna abbiamo sempre mantenuto una posizione sottoponderata rispetto al nostro benchmark. Qualche danno l'abbiamo subito ma moderato.



Chi invece sta soffrendo è il settore tecnologico: il Nasdaq (-3.48% ytd) sta avendo il suo peggior avvio d'anno dal 2008 quando è iniziata la crisi finanziaria. Le medie mobili a 50 (viola) e 100 (verde) giorni sono state perforate al ribasso e quella a 200 giorni (blu) potrebbe essere il prossimo obiettivo. Oggi l'indice si trova sulla linea di supporto (tratteggiata) e sarà importante che venga confermato come sembra voler fare a mercato appena aperto. 

La prospettiva di tassi più elevati ha tolto dello smalto a questo settore che è sempre stato premiato dal mercato a causa di prospettive eccellenti sui guadagni futuri delle società tecnologiche; un aumento delle rese rende il valore attuale dei loro guadagni futuri meno interessante. Per il momento ci limitiamo ad osservare questi movimenti e vedremo nei prossimi giorni se vi saranno delle occasioni da cogliere.



Anche lo S&P500 ovviamente non è insensibile a quanto sta succedeno ma per il momento si è limitato ad una modesta correzione che l'ha portato ad adagiarsi sul suo supporto a 4700 punti (che non è altro che la vecchia resistenza...). Per il momento il trend è intatto, le medi mobili sono vicine ma non sono ancora state perforate. 



Il nostro SMI è pure in fase di correzione, ma le cause sono più da ricercare in una fase di debolezza di alcuni colossi come Roche, Nestlé e Lonza piuttosto che andare a scomodare i tassi americani. Una pausa si riflessione la salutiamo senza troppi isterismi: stamani il trend a corto termine è stato forato (freccia rossa) e probabilmente il mercato si stabilizzerà attorno ai 12'600/12'650 punti (zona di conolidamento di nov-dic 2021 ovale tratteggiato rosso) e le preoccupazioni le avremo se andrà sotto i 12'500 punti. Per il momento teniamo le posizioni.

Vale forse la pena sottolinerare che un aumento delle rese (che sta comunque avvenendo anche in Europa) favorisce banche e assicurazioni che abbiamo comprato qualche settimana fa:  andate a vedere qualche quotazione per convincervene.



Con un simile scenario legato all'aumento delle rese americane, il dollaro dovrebbe approfittarne: deve contrastare la forza del franco svizzero e soprattutto deve evolvere con convizione oltre il livello di 0.92 cts. UBS ha un target a 0.96 per fine anno: modesto, ma non sarebbe male.



Anche contro euro potrebbe avere uno sviluppo positivo: infatti non ci pare che la BCE abbia in serbo un programma simile a quello della FED... per il momento il dollaro è imbrigliato nel triangolo tratteggiato ma se sfondato al ribasso 1.10 è il suo target. 



Come detto l'oro dovrebbe valere molto di più dei 1795$ odierni ma evidentemente soffre la concorrenza dell'aumento delle rese e del dollaro forte. Non sembra essere più il bene rifugio per eccellenza soprattutto quando si parla di inflazione...




... sono in molti a pensare che il bitcoin possa sostituire l'oro come bene rifugio ma per il momento sembra non dare le garanzie di stabilità richieste. 

Ma leggete cosa riporta la rivista Barron's a proposito della cripto valuta: 

"L'analista di Goldman Sachs Zach Pandl ha detto in una nota che il Bitcoin potrebbe raggiungere i 100.000 dollari se gli investitori arrivassero a considerare la criptovaluta davvero come oro digitale, e la sua quota di mercato del "negozio di valore" dovesse aumentare al 50%. 

Bitcoin ha molta strada da fare per raggiungere quel livello, ma potrebbe beneficiare se il mercato diventa più volatile. CoinDesk nota che il rapporto tra la capitalizzazione di mercato di Bitcoin e il mercato totale delle criptovalute è ora al suo minimo da aprile 2018. Se dovessero esserci turbolenze, i criptotrader potrebbero vendere altre monete per la relativa sicurezza del Bitcoin. L'anno potrebbe essere ancora pieno di colpi di scena per gli investitori. "

Non è un invito all'acquisto, ma se lo rivediamo attorno ai 35'000 un pensierino va fatto...


Buona lettura!