domenica 31 agosto 2025

Dollaro sempre più debole?

 Questa settimana siamo stati sollecitati da più parti a dire la nostra su quello che sarà l'evoluzione a breve del dollaro e dell'oro.  Abbiamo quindi ripreso in mano il quaderno degli appunti al fine di approfondire e puntualizzare quanto analizzato nel nostro ultimo intervento. 

L'intento, alla luce dei dati che sono stati pubblicati questa settimana, è quello di valutare se lo scenario che ci proietta verso un probabile taglio ai tassi americani può essere confermato. Le ripercussioni, se così sarà, le vedremo non solo sul dollaro (probabilmente al ribasso) e sui metalli preziosi ma ci sarà del movimento in arrivo anche per obbligazioni e titoli azionari. 

Comunque, per capire fino in fondo cosa sta succedendo alla valuta americana, non possiamo ignorare quello che sui quotidiani e nei siti finanziari di mezzo mondo sta tenendo banco e che l'Economist non esita a difinire come "la guerra di Trump alla Federal Reserve", una guerra  che potrebbe avere conseguenze poco simpatiche che cercheremo di mettere in risalto.

Ma partiamo da un dato statistico (clicca sul grafico se non vedi bene):



Le probabilità che il 17 settembre la FED proceda con un taglio ai tassi dello 0.25% sono, al 30 di agosto, dell'86.4% (alla fine di luglio erano del 63.3% e la scorsa settimana erano all'84.7%). Diciamo che un taglietto è praticamente quasi scontato. A quanto pare ciò che ha convinto Powell a diventare più dovish sono stati i dati sul mercato del lavoro che a suo giudizio è "in uno strano equilibrio": in sostanza ritiene che la domanda e l'offerta di lavoro stia rallentando all'unisono mantenendo artificiosamente stabile la disoccupazione ma riducendo in tal modo il respiro dell'economia. Noi, se ben ricordate, avevamo cercato segnali tangibili di un rallentamento della domanda e dell'offerta di lavoro, ma in realtà non ne avevamo trovati; ci era persino sorto il sospetto che il cambio di passo di Powell fosse una risposta alle sollecitazioni di Trump.



Ma un sospetto non è una certezza e ci siamo detti che forse bisogna indagare più a fondo in quanto è probabile che qualche cosa ci sia sfuggito. In effetti è possibile che non abbiamo dato il giusto peso alla revisione dei non farm payrols (i nuovi posti di lavoro non agricoli): sappiamo che questo dato è soggetto a revisioni anche piuttosto importanti ma quelle al ribasso di maggio e giugno (ovale rosso)  sono state impressionanti! Qui bisognerebbe aprire, ma oggi non lo faremo,  un dibattito sulla qualità sempre più scadente dei dati raccolti dal Bureau of Labor Statistics, qualità che è costata il posto di lavoro al suo direttore licenziato sui due piedi da Trump. Dovremo aspettare il 5 di settembre per avere il prossimo dato ma quella prima stima di 73'000 posti di lavoro, pochini a dir la verità, non promette nulla di buono e probabilmente giustificherà il taglio del 17 settembre. 


Anche il PCE (l'indicatore di inflazione americana preferito dalla FED) per il mese di luglio è rimasto stabile: per il momento, malgrado i dazi, non sembrano esserci spinte eccessivamente inflazionistiche ma forse per cantare vittoria è un po' presto. Vedremo quando le scorte di magazzino, accumulate in fretta e furia prima dell'applicazione dei dazi, saranno terminate e poi ne riparleremo. E' comunque un altro dato che dovrebbe, nel breve termine, tranquillizzare Powell e permettergli di tagliare i tassi senza troppi patemi d'animo e con buona pace del dollaro che continuerà con ogni probabilità ad indebolirsi.

Altra informazione di servizio che potrebbe indebolire ulteriormente il dollaro è giunta martedì: a quanto pare la Banca Nazionale Svizzera (piccolina ma vanta un trilione di dollari di riserve valutarie, terzo istituto al mondo; 39% sono in dollari e 37% in euro) intende vendere dollari contro euro (!) per meglio bilanciare i suoi investimenti. Ovviamente non è stato dichiarato di quale importo stiamo parlando ma i cambisti di mezzo mondo credono che le cifre in ballo non siano indifferenti... (per inciso la BNS ha anche detto che NON acquisterà bitcoin e NON aumenterà le riserve di oro).


Insomma, Trump tutto sommato sta ottenendo quello che vuole: un dollaro debole!  Nei confronti di un paniere contenente le principali 6 valute a livello mondiale (DXY) ha già perso da inizio anno il 10%... andare ancora più giù, ahinoi, non è impossibile. Tra tassi al ribasso, banche nazionali che vendono e, diciamocelo, un'America che sta tirando i remi in barca nei confronti del resto del mondo non vediamo come sia possibile per il momento cambiare il trend discendete. 

E' noto a tutti che una valuta nazionale eccessivamente debole, soprattutto per una nazione grande importatrice com'è l'America, è potenzialmente foriera di un'inflazione in (forte) crescita che trascinerebbe i tassi proprio dove Donald non vorrebbe, al rialzo!  Vi segnaliamo che lo spread tra i tassi a corto - quelli fino a 2 anni controllati direttamente dalla banca centrale - e quelli a lungo "decisi" dal mercato è al massimo degli ultimi 3 anni a significare che gli investitori sono preoccupati per l'inflazione futura e se, come evidenziato dall'Economist, la guerra contro la FED dovesse continuare fino a minarne l'indipendenza le cose potrebbero solo che peggiorare. E' il maggior pericolo per la valuta americana che noi conosciamo e su questo tema dobbiamo, abbiate pazienza, fermarci un attimo per mettere bene in chiaro cosa potrebbe succedere. 

Sappiamo tutti che il ruolo di una Banca Centrale, detto in maniera parecchio generica,  è quello di stabilizzare l'inflazione attraverso la manipolazione dei tassi di interesse. La particolarità di quella Americana (FED) è di aver ricevuto un doppio mandato sancito dal Congresso USA che si esplica in:

    • Favorire la massima occupazione possibile nel lungo termine.
    • Stabilizzare i prezzi: ovverosia mantenere l'inflazione attorno al 2%.

    Riassunto all'osso: deve tenere l’inflazione sotto controllo senza soffocare l’economia mantenendo l’occupazione la più alta possibile.

    Per raggiungere i suoi obiettivi una Banca Centrale deve avere un'autorevolezza che le deriva da un mix di almeno tre fattori:

    • Legittimità: deve avere un chiaro mandato riconosciuto dallo Stato;
    • Credibilità: le deriva dalla fiducia dei cittadini ma soprattutto dei mercai grazie a risultati eccellenti e alla coerenza nei comportamenti;
    • Indipendenza dalla politica: NON deve essere soggetta a pressioni, soprattutto nel breve termine, di alcun genere da parte dell'apparato governativo.
    Se parlate con un qualsiasi economista a proposito dell'autorevolezza di una Banca Centrale vi accorgerete che il terzo punto è quello imprescindibile ed irrinunciabile. Ora poniamoci una domanda: 

    Gli Usa sono uno dei paesi più indebitati al mondo in termini assoluti: cosa significa avere una FED che non è totalmente indipendente dal potere politico? La domanda è importante perché in gioco c'è il rapporto tra debito pubblico, la politica e la banca centrale.

    Il debito pubblico statunitense si avvicina a grandi passi ai 37 trilioni di dollari e per il momento gli americani riescono a finanziarlo senza troppi problemi essendo il dollaro valuta di riserva globale. La domanda di dollari rimane per il momento ancora elevata così come resta elevata la richiesta dei buoni emessi dal Tesoro (Treasury). Ma se non ci fosse una FED indipendente che fa da garante e i mercati iniziassero a dubitare che la banca centrale americana stampa dollari solo per aiutare il governo a ripagare i suoi debiti, dove pensate che andrà a finire la sua valuta?

  • Per rispondere a questa domanda basta osservare cosa è successo al dollaro da quando Trump ha preso di mira Powell con epiteti di vario genere e ne ha minacciato a più riprese il licenziamento. Sta cercando di licenziare, a suo dire per giusta causa, la governatrice Lisa Cook che non sta dalla sua parte ed ha pure nominato un paio di governatori compiacenti. Altrettanto compiacente dovrà essere il nuovo presidente della FED quando Powell, a maggio 2026, terminerà il suo mandato: la nomina sarà annunciata probabilmente molto prima del solito, tanto per rompere le scatole all'attuale governatore, e per imporre il più presto possibile la nuova via da seguire che avrà in Donald la sua fonte di ispirazione. 

    Ecco quindi spiegato come mai il dollaro, in neppure 8 mesi, ha perso il 10%  del suo valore e questo è un campanello d'allarme che non va sottovalutato. Abbiamo quindi chiesto a ChatGpt di riassumere quali sono i rischi di una FED poco indipendente. La risposta deve far riflettere:

    Se la FED diventasse troppo legata al Tesoro USA (cioè al governo), potrebbero verificarsi i seguenti inconvenienti:

    • Monetizzazione del debito
      → la FED comprerebbe sistematicamente titoli di Stato per tenere bassi i tassi e aiutare il governo a finanziarsi.
      → effetto: rischio inflazione e perdita di fiducia nel dollaro.

    • Inflazione come “tassa occulta”
      → se la FED privilegia la riduzione del costo del debito rispetto alla stabilità dei prezzi, i cittadini pagano il debito pubblico attraverso l’erosione del potere d’acquisto.

    • Crisi di fiducia internazionale
      → i Paesi che detengono Treasury (es. Cina, Giappone, fondi sovrani) potrebbero dubitare della sostenibilità americana → pressione sui tassi (che schizzerebbero al rialzo, ndr) e sul dollaro.

    Insomma, ci siamo capiti: se vogliamo un dollaro che non perda in 8 mesi qualche cosa che equivale al rendimento di 2 anni e mezzo di un normale Treasury quinquennale, bisogna proteggere la banca centrale e soprattutto Trump deve smetterla di attaccarla ogni due per tre. Ma se non si ha voglia di difenderla è a questo punto che entra in scena il metallo giallo.

    Abbiamo capito che uno dei rischi di avere una FED meno indipendente è quello della monetizzazione del debito pubblico (si stampano dollari per acquistare Treasury) e notoriamente una simile azione spedirebbe l'inflazione prepotentemente verso l'alto (Per maggiori informazioni chiedere alla Turchia). A questo punto l'oro fisico è uno dei pochi beni reali che non è stampabile a piacimento e che sopravvive persino al default di uno stato sovrano. La sua scarsità è un'alternativa credibile che fa da contraltare alla svalutazione monetaria.


    E' da aprile che l'oro si trova in una fase di consolidamento laterale evidenziata dal triangolo rosso: era abbastanza plausibile, con tutta l'instabilità geopolitica in circolazione, che la rottura del triangolo sarebbe stata verso l'alto come sembra stia accadendo (vedi cerchio nero). Se anche la prossima settimana ne avremo la conferma definitiva è probabile che si sta aprendo la strada verso i 3'600 $ entro marzo 2026 come segnalato la scorsa settimana da UBS; il nostro target, tecnicamente stabilito,  è addirittura attorno ai 3'800 $ per oncia. Ci sentiamo di escludere un target ribassista a 2'900 $. Quindi, come spesso abbiamo ripetuto, chi ha dell'oro se lo tenga!

    ***

    Prima di passare alla consueta analisi dei grafici vogliamo puntualizzare che la settimana che si sta per concludere è stata avara di movimenti e le performance degli indici americani sono praticamente piatte rispetto a 5 giorni fa: limiteremo quindi il nostro commento all'essenziale.  Non si sono invece comportate benissimo le borse europee che probabilmente stanno soffrendo a causa delle turbolenze politiche della Francia. Quando lo stato condotto da Macron entra in crisi ci si può aspettare di tutto: dagli scioperi selvaggi alle barricate dei Gilets Jaunes e questa incertezza non piace ai mercati infatti sono stati  tutti penalizzati con delle minusvalenze di 3 o 4 punti percentuali.



    Lo S&P500 ( +9.84% ytd) ha durante la settimana messo a punto un nuovo massimo storico ma non è riuscito a confermalo fino a venerdì dove la seduta si è chiusa in negativo; i volumi sono stati calanti praticamente in tutte e 5 le sedute e questo dimostra che comunque le inquietudini per il momento sono ancora limitare. Comunque nulla di cui preoccuparsi seriamente: l'indice rimane per il momento saldamente all'interno del canale ascendente con obiettivo per fine anno attorno ai 6'600 punti. Inizieremo a innervosirci seriamente quando vedremo delle sedute negative con volumi in netta crescita a significare che gli investitori stanno riducendo significativamente il rischio.


    Anche il Nasdaq (+11.11% ytd) malgrado i dati più che decenti (ma senza grosse sorprese) di Nvidia pubblicati mercoledì, non è stato in grado di chiudere la settimana con un massimo storico. Non ne siamo molto lontani ma francamente a noi quel che interessa è che il suo trend possa continuare nella direzione di una crescita che non sia eccessivamente verticale garantendone la continuità nel medio termine. Non abbiamo un target specifico: ci accontentiamo che rimanga all'interno del canale ascendente segnato dalle due linee verdi!


    Peccato! Avremmo sperato che l'Eurostoxx50 (+9.31% ytd) fosse stato in grado di rompere la resistenza posta a 5'470 punti ma le vicissitudini francesi non l'hanno permesso. Ha fatto una correzione di quasi 4 punti percentuali e per il momento si è adagiato sulla media mobile dei 50 giorni (linea viola) che fa da supporto. La correzione non è molto significativa in quanto avvenuta con volumi calanti per tutta la settimana. E' probabile che per un po' assisteremo ad uno spostamento laterale in un range tra i 5.140 e i 5'470 punti. 

    ***

    Prima di farvi vedere il grafico dello SMI vorremmo mostrarvi una selezione di obbligazioni societarie in franchi svizzeri appena emesse che abbiamo intercettato questa settimana:


    Ripetiamo spesso che con i rendimenti obbligazionari attuali (vedi rettangolo rosso) non andiamo molto lontano: le obbligazioni, della durata tra i 4 e gli 8 anni, non hanno rendimenti stratosferici e per avvicinarci ad 1 punto percentuale dobbiamo spostarci verso la BBB,  che è sempre un investment grade, ma insomma... 
    Considerate che per quanto concerne le obbligazioni della Confederazione Elvetica (AAA) fino a 5 anni i rendimenti sono negativi !
    Quindi, ribadiamo che una delle poche alternative valide se si vuol investire il franco svizzero rimane il mercato azionario (con i suoi rischi...)


    Cosa possiamo dire dello SMI (+5.06% ytd)? Per il momento non moltissimo: eravamo galvanizzati dal fatto che la scorsa settimana, finalmente, avesse messo a punto una performance da non disdegnare, poi anche lui è stato fagocitato nel marasma delle vicende francesi e si è spento. Fondamentale è che regga il supporto a 12'130, altrimenti si ritorna nel canale di consolidamento degli ultimi 3 mesi e la cosa non ci piace...
    Comunque sia i dazi al 39% sono l'incubo quotidiano dei nostri politici, KKS in testa (è oramai così che viene nominata Karin Keller Sutter l'attuale Presidente della Confederazione di fede liberale): come rileva il Corriere del Ticino del 29.8.25, "secondo alcune indiscrezioni, Svizzera e Stati Uniti starebbero discutendo un accordo che prevede una correzione graduale dell'aliquota subordinata al rispetto di precise condizioni poste da Washington a Berna." ben consci che Trump non approverebbe mai una riduzione al 15% in un'unica soluzione.
    Solo per info:  in Ticino il 23% delle aziende non riesce ad assorbire i dazi al 39% (+ il 10% di svalutazione del dollaro, ndr)  e sta già pensando a una delocalizzazione... E' quindi urgentissimo accelerare le discussioni con gli americani ma, per favore, questa volta lasciamo che KKS si occupi d'altro! 

    ***


    Cosa ne pensiamo del dollaro oramai lo sapete. E' imperativo che Trump la smetta di sminuire il ruolo della FED ma forse è chiedere troppo. Quindi: o dollaro/franco tiene quota 0.80 oppure la prossima settimana ce lo ritroveremo verso i minimi dell'anno. Il trend delle ultime settimane è chiaro.


    Discorso simile anche per euro/usd: per il momento lo scorrimento è laterale me nessuno ci toglie dalla testa che prima o poi, se la retorica trumpiana non cambia, vedremo l'1.19.


    Euro/franco più laterale di così si muore. Certo che se la BNS vende dollari per comprare euro non influenza direttamente la coppia euro/franco ma è comunque un segnale che forse si sente più a suo agio aumentando le riserve in euro che non lasciarle in dollari. E' tutto dire ed indirettamente non è un brutto messaggio per l'euro...

    Buona domenica!

    PS: vi sarete accorti che sulla capoccia di Donald gli è arrivata una bella tegola: una corte d'appello gli ha bloccato i dazi in quanto "sono in gran parte illegali": ecco cosa è successo e quali potrebbero essere le conseguenze (mille grazie ancora a ChatGPT):

    Cosa è successo

    • Sentenza della Corte d’Appello: Con un voto di 7‑4, la corte ha stabilito che la maggior parte dei dazi imposti da Trump tramite l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) sono illegali: il presidente ha superato i limiti dei propri poteri, in quanto solo il Congresso può autorizzare l’imposizione di dazi The Times of India+11Investors+11TIME+11.

    • Dazi ancora in vigore… per il momento: La sentenza sarà temporaneamente sospesa fino al 14 ottobre 2025, concedendo al governo tempo per presentare ricorso alla Corte Suprema The Guardian+6The Guardian+6The Times of India+6.


    Possibili scenari futuri

    1. Appello alla Corte Suprema (SCOTUS)
      L'amministrazione Trump ha già confermato l’intenzione di ricorrere alla Corte Suprema, che avrà l’ultima parola sull’uso dell’IEEPA per imporre dazi. Se la SCOTUS accogliesse l’appello, i dazi potrebbero essere confermati; in caso contrario, scatterebbe l’annullamento The Times of India+14The Washington Post+14Forbes+14.

    2. Rimborso agli importatori
      Se la sentenza venisse confermata — e quindi i dazi dichiarati illegittimi — il governo potrebbe dover rimborsare aziende e importatori per i dazi già versati, con effetti finanziari potenzialmente ingenti InvestorsBarron'sThe Guardian.

    3. Impatto sui mercati e sui tassi
      I tradizionali introiti derivanti dai dazi (circa 28 miliardi $ solo a luglio) sono un’importante fonte di finanziamento per il bilancio federale. La loro possibile revoca potrebbe aumentare il fabbisogno di emissioni obbligazionarie e spingere in alto i rendimenti dei Treasury a lungo termine, con ripercussioni anche sulle decisioni della Federal Reserve ForbesBarron's.

    4. Dazi alternativi attraverso il Trade Act del 1974
      I giudici hanno osservato che, pur non essendo autorizzati i dazi tramite IEEPA, il presidente potrebbe usare il Trade Act del 1974, che però impone limiti: massimo 15% per 150 giorni TIME+3Wikipedia+3The Washington Post+3.

    5. Ripercussioni sulla politica commerciale futura
      Una vittoria della Corte Suprema limiterebbe significativamente la capacità del Presidente di agire per decreto in materia di dazi. Ciò rilancerebbe il ruolo del Congresso nelle decisioni commerciali. 

      Ovviamente: affaire à suivre!

  • 1 commento:

    1. Uno dei migliori appunti finanziari se non il migliore in assoluto. Grazie e buona domenica.
      Anonimo ma non poi tanto.

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