mercoledì 30 dicembre 2020

Bye Bye 2020



Stiamo scrivendo quando mancano 8 minuti alla fine di un anno che sarà difficile da dimenticare: considerate le premesse dei mesi di marzo e aprile,  l'anno borsistico non se l'è passata poi tanto male. Come si suol dire, se ad aprile ci avessero detto che si terminava l'anno alla pari o sù di lì,  avremmo posto una firma su qualsiasi documento senza neppure leggerlo!

Stamani abbiamo stampato le performances dei principali indici borsistici mondiali e come potete constatare,  non siamo messi malissimo: la terzultima colonna mostra la performance nella valuta locale, mentre nelle ultime due abbiamo riportato il risultato tenendo conto delle fluttuazioni valutarie per chi pensa in chf (penultima) ed in euro (ultima colonna).

Saltano all'occhio i risultati del tecnologico americano (+43% !) le difficoltà di Spagna ed Inghilterra (quest'ultima sconta la Brexit), mentre in Asia i problemi ci sono stati ad Hong Kong per le note vicende che hanno più che altro un timbro decisamente politico.

Le altre borse se la sono cavata, mentre  Svizzera, Svezia e Germania sono addirittura in positivo, non di molto, ma non lamentiamoci!

Come partirà il 2021? Come abbiamo già detto ci stiamo lavorando e a breve presenteremo il notro punto di vista per l'anno che sta per incominciare.

Per quanto riguarda le borse, possiamo anticipare a grandissime linee che ci saranno uno/due trimestri positivi,  mentre ci aspettiamo una decisa frenata durante l'estate, una leggera ripresa in autunno e finiremo l'anno con un ritorno del trend positivo. Probabilmente la decisione più delicata che dovremo prendere è quella relativa al momento dove ad un certo punto dovremo uscire dal mercato ed in quale proporzione. Quindi il quando (problema di timing strategico)  ed il quanto e il come (problema di tattica) saranno tema di costante  analisi e ne riporteremo i risultati su queste colonne.


Due parole due sullo SMI:


Sta chiudendo l'anno avendo superato la resistenza a 10530 ed ha chiuso a 10'703 punti:  bene ma non benissimo. Quello che ci impedisce di lasciarci andare a commenti più lusinghieri sono i bassi volumi con i quali questo superamento è avvenuto: sono circa la metà di quanto mediamente trattato ogni giorno. Siamo curiosi di vede se lunedi 4 gennaio la borsa svizzera partirà a spron battuto con volumi importanti (piuttosto probabile) oppure se si ritorna sui propi passi. Vedremo.


Altre due, proprio due,  parole sui cambi:


...sia contro franco (- 8 e rotti %)


sia contro euro (quasi -10%) ha avuto un anno di quelli che non passeranno alla storia, ma è decisamente (per quanto non lo diranno mai apertamente) quello che gli americani volevano...

E' probabile che avrà ancora qualche movimento ribassista ma non diremmo oltre un paio di centinaia di basis points.

Piuttosto stiamo attenti ad un ritorno delle rese reali (tasso nominale - inflazione) positive sul dollaro che potrebbero convincere gli investitori ad un ritorno sulla valuta americana. Quindi NON diamo per scontato che il dollaro possa sempre e solo scendere.


Euro/chf chiude l'anno praticamente sui valori di inizio 2020: il lavoro della BNS prima e una certa forza relativa hanno fatto si che la valuta Europea non si deprezzasse più di tanto contro il forte chf, anzi... Non prevediamo grossi cambiamenti almeno per la prima parte del 2021.


A questo punto ci fermiamo qualche giorno per tirare il fiato e ci risentiremo con l'anno nuovo!

Un buon inizio a tutti i nostri lettori. Auguri!!

giovedì 24 dicembre 2020

Buone feste!!


 Ci stiamo avvicinando di gran carriera alla fine di questo tribulato 2020: mancano tre giorni di borsa e ci siamo. A dir la verità ci sembra che i mercati finanziari i remi in barca li abbiano già tirati: i volumi sono bassi (vedi freccia rossa), lo spostamento è laterale,  l'RSI è in posizione neutra e i fattori di disturbo sono quasi tutti sotto controllo.

In effetti oggi l'EU dovrebbe annunciare un accordo con il Regno Unito,  frutto di estenuanti tira e molla sulle quote della pesca nel Mare del Nord: pare che gli inglesi abbiano mollato e forse le colonne di camion che in questi giorni si son formate a Dover, antipasto di quello che potrebbe succedere in caso di hard brexit, deve aver fatto riflettere. Ma aspettiamo che l'annuncio sia ufficiale, prendiamo atto delle condizioni pattuite tra i due blocchi, lasciamo fare il loro lavoro ai due Parlamenti e poi vedremo se avrà senso parlare di vincitori e vinti... 

I vaccini stanno arrivando e lo spavento che abbiamo preso a causa della variante inglese del Covid è già rientrato: pare che il vaccino di Astra Zeneca sia efficace... meglio così!

A questo punto la nostra attenzione sarà concentrata oltre oceano, per seguire con attenzione quella che sembra la più turbolenta fase di transizione che gli USA abbiamo mai vissuto: Trump fa i capricci e se ne inventa una al giorno (ieri ha graziato 26 amici...), il 5 gennaio si saprà di quale colore saranno i senatori che la Georgia intende inviare a Washington (se son due democratici avremo un senato spaccato in due ed il ruolo di Kamala Harris sarà fondamentale) e soprattutto il 20 gennaio vedremo se Trump uscirà con le sue gambe dalla Casa Bianca o bisognerà agire d'imperio (mai successo nella storia presidenziale americana).

Come già annunciato stiamo leggendo molto e ci stiamo preparando ad affrontare l'anno nuovo: prossimamente saremo pronti con un piccolo riassunto di quanto appreso e lo commenteremo a dovere.



Ci vengono rivolte molte domande a proposito dello spostamento delle valute. Rapidamente: dollaro/chf è sempre in un trend ribassista piuttosto marcato, ultimamente ha trovato un po' di supporto attorno agli 88 centesimi... ma per il momento non vediamo cosa possa fargli cambiare direzione.


Anche euro/usd si sposta abbondantemente sopra 1.20 e sembra voler andare a 1.25 (non escluso nelle prossime settimane). E' vero che è in ipercomprato da inizio dicembre (ovale blu) ma lì può restarci ancora per parecchio tempo...



L'euro/chf sembra aver trovato la sua confort zone tra 1.07 e 1.08: a noi per il momento sta bene così. 



Per finire due parole sull'oro che dopo l'abbuffata di luglio ed agosto si era preso una pausa per digerire i rialzi. Da qualche settimana sembra aver voglia di risalire: 1900 non è lontano e se l'inflazione dovesse improvvisamente far capolino, non è escluso che si possano rivedere i 2000 dollari per oncia.


A questo punto non ci resta che augurarvi buone feste!! 


sabato 19 dicembre 2020

Una discreta settimana...

Abbiamo lasciato alle spalle una settimana senza grandissimi movimenti ma che comunque ci ha permesso di aggiungere qualche frazione di punto percentuale alla performance di quest'anno: nulla di trascendentale ma con i tempi che corrono non buttiamo via nulla.

Ci teniamo comunque a segnalarvi alcuni eventi, anche in questi casi nulla di trascendentale, che hanno attirato la nostra attenzione e ve li proponiamo in ordine sparso:

1) Ifo tedesco sopra le aspettative

L'indice Ifo (attivo ogni mese dal 1991 ed elaborato dall'IFO Institut Für Wirtschaftsforschung)  è parecchio seguito da chi si occupa di finanza poiché, tempestivamente e con un buon grado di approssimazione, anticipa l'andamento della produzione industriale tedesca ed europea. E' il frutto di un'intervista a più di 7'000 tra imprenditori e manager dei settori manifatturieri, delle costruzioni e del commercio (sia all'ingrosso che al dettaglio) e che rispondono alle domande sulla situazione economica attuale e sulle loro aspettative per quella futura. 
L'indice, pubblicato ieri mattina, ha superato le aspettative (atteso 90, effettivo 92.1) ed anche se non siamo ai livelli pre-covid si sta riprendendo (durante l'estate non ha fatto faville). Questo non è un segnale da sottovalutare, soprattutto se prendiamo in considerazione quanti problemi il Covid sta ancora generando in Germania e un po' in tutta Europa: una sua ripresa significa che anche il sistema produttivo crede nei vaccini e nella possibilità di un ritorno ad una pseudo normalità in tempi accettabili.
E' anche un bel segnale per la borsa ed un incitamento a tenere duro: infatti il DAX si è riportato in zona positiva da inizio anno. L'IFO di ieri aiuta nel consolidamento e potrebbe dare slancio per il 2021.


2) La svizzera (again...!) manipolatrice del chf: non ci pare.




Date anche solo distrattamente un'occhiatina alla tabella qui sopra riportata: sono le performance ytd di alcune valute contro il franco svizzero (non tutte ma vi garantiamo che anche estendendo la tabella ad altre parità la storia non cambia): qualche cosa non quadra. Per essere una manipolatrice di valute la  BNS è scarsa. Se l'obiettivo della nostra banca centrale è quello di indebolire il chf, il risultato è abbastanza evidente: persino contro yen (notoriamente fa gara per lo meno alla pari) il chf si è rafforzato del 4.1% il che è tutto dire e rimanda le accuse al mittente (i soliti americani...)
Considerate le riserve in valuta estera della nostra Banca Nazionale, non possiamo totalmente smentire  che ci sta provando ad indebolire il chf, ma l'unico risulato che probabilmente riesce ad ottenere è un rallentamento della sua forza (soprattutto contro dollaro!).  Non è comunque cosa di poco conto in quanto procura alla nostra industria votata all'esportazione il tempo di adeguarsi al rincaro della valuta nazionale. Comuque sia, fa specie che qualcuno abbia tempo da buttare in una lotta contro una micro economia di scarsi 8 mio di consumatori... ma non hanno altro da fare?

3) La Fed



Non che ce ne fosse di bisogno, ma avere delle conferme è sempre importante: mercoledì ha annunciato  che non vi saranno ritocchi ai tassi almeno fino al 2023... per gli anni a venire se ne riparlerà.
Come già ripetutametne segnalato in Appunti Finanziari, crediamo che il Longer Term sia da prendere alla lettera ed in ambito finanziario stiamo parlando di 10/20 anni... 




 

Per terminare diamo una rapida occhiata allo SMI, così tanto per vedere dove siamo.
E' sata una settimana tutto sommato positiva e ci siamo riportati a ridosso della resistenza a 10530 punti (chiusura a 10540) ma si fa una gran fatica ad andare. Comunqueltre se si riuscisse con uno scatto di reni a portarci con un po' di convinzione sopra questo livello, allora potremmo assistere ad una bella evoluzione dell'indice, soprattutto se consideriamo da quanti mesi ci stiamo spostando lateralmente accumulando in questo modo una grande energia che quando verrà liberata ci verrà molto utile.
Ovviamente, tutta questa energia potrebbe essere liberata anche al ribasso (dobbiamo sempre tenerlo presente) ma dovremmo allora vedere l'indice andare sotto i 10215 punti (linea rossa).

domenica 13 dicembre 2020

L'inflazione sta tornando?

Nel post pubblicato ieri mattina abbiamo fatto accenno ai bassi tassi di interesse e ad una loro "giapponesizzazione" in termini di durata. Sappiamo, fino a prova contraria, che i livelli dei tassi di interresse sono in alcune teorie economiche correlati direttamente ai fenomeni inflattivi. Oggi ci troviamo, ad inflazione quasi azzerata, con i tassi negativi  e con le banche centrali che  non sanno più che pesci pigliare per riportare l'inflazione ad un obiettivo dichiarato più volte del 2%. 

Ma se l'inflazione inizia ad andare "fuori" controllo, e con la marea di liquidità potrebbe anche succedere, abbiamo un problema e temiamo che le banche centrali  potrebbero essere costrette ad intervenire con un inevitabile aggressivo aumento dei tassi di riferimento: francamente questo scenario non è contemplato nelle nostre previsioni per il 2021 (e anche oltre...) ma comunque non vorremmo avere a che fare con un classico "cigno nero" dalle conseguenze, con i mercati azionari a questi livelli, facilmente immaginabili...

Proponiamo, dopo una traduzione non impeccabile ma accettabile, sia l'editoriale che si legge in pochi minuti, sia l'approfondimento che consigliamo a coloro che vogliono approfondire l'argomento e dispongono di una quindicina di minuti di tempo per leggerlo adeguatamente.

Buona lettura!


The Economist, 12 dicembre 2020

Dopo la pandemia, l'inflazione tornerà?

Un'inflazione bassa è alla base della politica economica odierna. Non è garantita la sua durata


Gli economisti amano dissentire, ma quasi tutti vi diranno che l'inflazione è morta. La premessa di una bassa inflazione è impressa nelle politiche economiche e nei mercati finanziari. È per questo che le banche centrali possono ridurre i tassi di interesse a circa zero e comprare montagne di titoli di stato. Spiega come i governi siano riusciti a fare un'epica frenesia di spesa e di indebitamento per salvare l'economia dalle devastazioni della pandemia - e perché il debito pubblico mondiale ricco del 125% del PIL solleva a malapena un sopracciglio. La ricerca del rendimento ha spinto l'indice azionario s&p 500 a nuovi massimi, anche se il numero di americani in ospedale con covid-19 ha superato i 100.000. L'unico modo per giustificare un mercato azionario così incandescente è quello di aspettarsi un rimbalzo economico forte ma senza inflazione nel 2021 e oltre.

Eppure, come spieghiamo questa settimana (vedi articolo), una banda sempre più numerosa di dissidenti pensa che il mondo potrebbe emergere dalla pandemia in un'era di inflazione più alta. Le loro argomentazioni non sono certo schiaccianti, ma non sono nemmeno vuote. Anche una piccola probabilità di dover affrontare un'impennata dell'inflazione è preoccupante, perché lo stock del debito è così grande e i bilanci delle banche centrali sono gonfi. Piuttosto che ignorare il rischio, i governi dovrebbero agire ora per assicurarsi contro di esso.

Nei decenni da quando Margaret Thatcher ha messo in guardia da un circolo vizioso di prezzi e salari che minacciava di "distruggere" la società, il mondo ricco è arrivato a dare per scontata la bassa inflazione. Prima della pandemia anche un mercato del lavoro ultra rigido non poteva far salire i prezzi, e ora eserciti di persone sono disoccupati. Molti economisti pensano che l'Occidente, e soprattutto la zona euro, si stia dirigendo verso il Giappone, che negli anni Novanta è caduto in deflazione e da allora ha faticato a portare gli aumenti dei prezzi ben al di sopra dello zero.

Prevedere la fine di questa tendenza è una sorta di apostasia. Dopo la crisi finanziaria alcuni falchi hanno avvertito che l'acquisto di obbligazioni da parte delle banche centrali (noto come quantitative easing, o qe) avrebbe riacceso l'inflazione. Alla fine hanno finito per sembrare stupidi.

Oggi le argomentazioni degli inflazionisti sono più forti. Un rischio è quello di un'esplosione temporanea dell'inflazione l'anno prossimo. Contrariamente al periodo successivo alla crisi finanziaria, le misure di ampio respiro della massa monetaria del mondo ricco sono aumentate nel 2020, perché le banche hanno concesso prestiti liberamente. Bloccati a casa, le persone non sono state in grado di spendere tutto il loro denaro e i loro bilanci bancari si sono gonfiati. Ma una volta vaccinati e liberati dalla tirannia di Zoom, i consumatori esuberanti possono andare incontro a una spesa esuberante che supera la capacità delle imprese di ripristinare ed espandere la loro capacità, causando un aumento dei prezzi. L'economia globale mostra già segni di sofferenza per i colli di bottiglia. Il prezzo del rame, ad esempio, è superiore del 25% rispetto all'inizio del 2020.

Il mondo dovrebbe essere in grado di gestire un tale temporaneo scoppio di inflazione. Ma la seconda argomentazione inflazionistica è che emergeranno anche pressioni sui prezzi più persistenti, poiché le forze disinflazionistiche strutturali vanno al contrario. In Occidente e in Asia molte società stanno invecchiando, creando carenze di lavoratori. Per anni la globalizzazione ha abbassato l'inflazione creando un mercato più efficiente per le merci e la manodopera. Ora la globalizzazione è in ritirata.

La loro terza argomentazione è che i politici e i funzionari sono compiacenti. La Federal Reserve dice di volere che l'inflazione superi il suo obiettivo del 2% per recuperare il terreno perduto; la Banca Centrale Europea, che ha annunciato ulteriori stimoli il 10 dicembre, potrebbe ancora seguirne l'esempio. Ponderata dalla necessità di pagare per l'invecchiamento della popolazione e per l'assistenza sanitaria, i politici favoriranno sempre più i grandi deficit di bilancio.

Queste argomentazioni possono essere corrette? Un temporaneo rimbalzo dell'inflazione l'anno prossimo è perfettamente possibile. All'inizio sarebbe un benvenuto - un segno che le economie si stanno riprendendo dalla pandemia. Si gonfierebbe un modesto debito. I politici potrebbero anche tirare un sospiro di sollievo, soprattutto in Giappone e nell'area dell'euro, dove i prezzi sono in calo (anche se i rapidi cambiamenti nel modello di spesa dei consumatori possono aver confuso le statistiche).

Le probabilità di un periodo di inflazione più sostenuta rimangono basse. Ma se le banche centrali dovessero alzare i tassi di interesse per impedire che gli aumenti dei prezzi sfuggano di mano, le conseguenze sarebbero gravi. I mercati crollerebbero e le imprese indebitate vacillerebbero. Ancora più importante, l'intero costo del bilancio dello Stato, che è stato notevolmente ampliato - sia il debito dei governi che le passività delle banche centrali - diventerebbe allarmante. Per capire il perché, per un attimo, è necessario fare un peering su come sono organizzati.

Per tutti i discorsi sul "bloccare" i bassi tassi d'interesse a lungo termine di oggi, lo sporco segreto dei governi è che hanno fatto il contrario, emettendo debiti a breve termine con la scommessa che i tassi d'interesse a breve termine rimarranno bassi. La scadenza media del Tesoro americano, ad esempio, è scesa da 70 mesi a 63 mesi. Le banche centrali hanno fatto una scommessa simile. Poiché le riserve che creano per l'acquisto di obbligazioni hanno un tasso d'interesse variabile, sono paragonabili all'indebitamento a breve termine. A novembre l'autorità di vigilanza fiscale britannica ha avvertito che una combinazione di nuove emissioni e il Quatitative Easing (QE) ha lasciato i costi del servizio del debito dello Stato due volte più sensibili ai tassi a breve termine rispetto all'inizio dell'anno, e quasi tre volte di più rispetto al 2012.

Quindi, mentre la probabilità di un allarme inflazionistico potrebbe essere aumentata solo di poco, le sue conseguenze sarebbero state peggiori. I paesi devono assicurarsi contro questo rischio di coda riorganizzando le loro passività. I governi dovrebbero finanziare gli stimoli fiscali attraverso l'emissione di debiti a lungo termine. La maggior parte delle banche centrali dovrebbe iniziare un'inversione ordinata del QE e invece allentare la politica monetaria prendendo tassi di interesse a breve termine negativi. I ministeri delle finanze dovrebbero incorporare i rischi assunti dalla banca centrale nel loro bilancio (e la zona euro dovrebbe trovare uno strumento migliore del QE per la mutualizzazione dei debiti dei suoi stati membri). L'accorciamento della scadenza del bilancio dello Stato - come nel 2020 - deve essere solo l'ultima risorsa e non deve diventare lo strumento principale della politica economica.


Elogio della naftalina

E' probabile che gli inflazionisti si sbagliano. Anche l'arci-monetarista Milton Friedman, che ha ispirato la Thatcher, ha ammesso alla fine della sua vita che il legame a breve termine tra la massa monetaria e l'inflazione si era interrotto. Ma la pandemia covide-19 ha dimostrato l'utilità di prepararsi a eventi rari ma devastanti. Il ritorno dell'inflazione non dovrebbe fare eccezione. 



Secondo articolo, un pochino più elaborato (15 min per leggerlo)


Prognostication and prophecy

Hove strong is the case that inflation is about to return?

Nel 1975 Adam Fergusson, giornalista del Times, pubblicò un libro intitolato "Quando il denaro muore". Una storia di iperinflazione in Germania all'inizio degli anni Venti, è stato scritto con un occhio di riguardo a ciò che accadeva allora. L'inflazione in Gran Bretagna non era ai livelli di crescita dei prezzi giornalieri della Repubblica di Weimar. Ma nel 1975 raggiunse un livello senza precedenti, pari al 24%, sufficiente a far sì che l'avvertimento di Fergusson secondo cui l'esperienza dell'inflazione era "totalmente assorbente, che richiedeva un'attenzione completa finché durava" per colpire a casa.

I rapidi e continui aumenti dei prezzi sottraggono arbitrariamente ricchezza ai risparmiatori e svalutano i salari della gente. Non è solo il potere d'acquisto di un'unità monetaria ad essere eroso; è la fiducia in un futuro affidabile da cui dipendono i contratti e il capitalismo. Dai primi anni Settanta agli anni Ottanta più del 50% degli americani ha detto che "l'inflazione o l'alto costo della vita" era il problema principale che il paese doveva affrontare.

Ma negli anni '90 la bestia sembrava essere stata sconfitta. I tassi medi sono calati, così come il numero di "sorprese inflazionistiche" in cui il tasso aumenta. Quando "The West Wing", un programma televisivo, nel 1999, diede al suo fittizio presidente un "piano segreto per combattere l'inflazione", fu per scherzo, non un punto della trama. Fedele alla convinzione di Fergusson che l'esperienza di convivere con l'inflazione è "dimenticata o ignorabile quando non c'è più", il suo libro è non è più stato stampato.

È stato ripubblicato con successo alla fine degli anni 2000, quando i pacchetti di stimolo post-crisi hanno aumentato prodigiosamente il debito pubblico e il "quantitative easing", il processo con cui si sarebbero creati miliardi di nuovi dollari, ha iniziato a fare passi da gigante. Molti temevano che il palcoscenico per l'impennata dei prezzi sembrasse fissato in un modo che non si vedeva da una generazione.

Ma non era così. Negli anni Settanta l'inflazione nel mondo ricco era in media del 10% all'anno. Negli anni '20 il tasso è rimasto ostinatamente al di sotto del 2% all'anno. Questo è uno dei motivi per cui la piccola ma vocale banda di economisti e investitori, ancora una volta preoccupata per gli eccessivi aumenti dei prezzi, viene in gran parte ignorata. L'ordine del giorno di una grande conferenza sulla banca centrale che si terrà a febbraio ha ampi spazi per l'instabilità finanziaria, il cambiamento climatico e le disuguaglianze, ma quasi nessuno per l'inflazione - nonostante l'inflazione che si sta verificando in Germania, un paese che, dopo Weimar, non ha fatto altro che feticizzare il denaro sano.

In effetti, un modesto aumento dell'inflazione, piuttosto che dare i nervi ai banchieri centrali, li farebbe sospirare di sollievo. Negli ultimi anni, e soprattutto durante il periodo peggiore della crisi di questa primavera, la minaccia di una deflazione della domanda che avrebbe salvato la domanda si profilava in modo massiccio, soprattutto nell'area dell'euro e in Giappone. Alcuni vogliono che le banche centrali puntino a un'inflazione superiore all'obiettivo del 2% che la maggior parte di loro utilizza, e la Federal Reserve americana ha già dichiarato di voler superare l'obiettivo del 2% nella ripresa per compensare i recenti deficit. L'esperienza recente suggerisce che potrebbe essere difficile: tassi di interesse vicini allo zero hanno lasciato la politica monetaria duramente condizionata a spingere l'inflazione anche al 2%.

Guardatevi alle spalle

Ma se è facile ignorare i profeti di sventura, può non essere saggio. Se il 2020 ha una lezione, è che i problemi di cui molti nel mondo hanno smesso di preoccuparsi possono risorgere con una forza improvvisa e terribile. E chi oggi suona l'allarme ha ragione a sottolineare che le circostanze della pandemia covata non offrono una semplice ripetizione del falso allarme del 2009.

Alcuni degli inflazionisti di oggi prevedono un aumento dei prezzi forse elevato, ma transitorio, mentre la spesa dei consumatori si riprende dalla pandemia. Il 3 dicembre Bill Dudley, che fino al 2018 era vicepresidente del comitato di fissazione degli interessi della Fed, ha avvertito i lettori di Bloomberg che potrebbero essere necessari forti aumenti dei prezzi "per bilanciare la domanda con l'offerta disponibile, che la pandemia ha indubbiamente diminuito". Il giorno dopo David Andolfatto, un economista della Fed di St. Louis, ha avvertito gli americani di "prepararsi a una temporanea esplosione dell'inflazione".

Altri avvertono di una pressione inflazionistica più persistente. Gli economisti della Morgan Stanley, una banca, prevedono "un cambiamento fondamentale nelle dinamiche inflazionistiche" in America, con l'inflazione che salirà fino all'obiettivo del 2% della Fed entro la seconda metà del 2021 e continuerà a superarlo. Dopo una tipica recessione, un tale rimbalzo richiede tre anni o più. Il gruppo più pessimista avverte che i banchieri centrali compiacenti o distratti permetteranno a tali pressioni di passare senza controllo, portando a un decennio di inflazione ostinatamente alta paragonabile agli anni Settanta.

Si ritiene che siano in gioco tre fattori principali: le conseguenze delle misure di stimolo adottate dai governi per far fronte alla pandemia, i cambiamenti demografici e i cambiamenti nell'atteggiamento dei politici nei confronti dell'economia.

Prendete prima i pacchetti di stimolo. Il monetarismo, che è stata l'ideologia economica dominante nel periodo degli anni '80, durante il quale l'inflazione è stata spremuta dalle economie del mondo ricco, vede la causa principale dell'inflazione come un'eccessiva offerta di denaro. Su questa base, il fatto che quest'anno sia stato creato quasi un quinto di tutti i dollari esistenti appare chiaramente sconvolgente. I bilanci delle banche centrali in America, Gran Bretagna, Giappone e nell'area dell'euro sono aumentati di oltre il 20% del loro PIL da quando è iniziata la crisi, soprattutto per comprare il debito pubblico. Questo nuovo denaro sta pagando per enormi programmi di stimolo, compresi i sussidi salariali, i piani di esodo e l'ampliamento delle prestazioni sociali che mettono denaro nelle tasche e nei portafogli.

Questa creazione di denaro si differenzia dallo scoppio visto dopo la crisi finanziaria (2008)- lo scoppio che, nonostante gli avvertimenti, non ha innescato un'impennata dell'inflazione. Quello scoppio precedente è iniziato durante una prolungata stretta creditizia. Ciò significava che il nuovo denaro creato dalle banche centrali compensava il denaro che non veniva creato dai prestiti bancari.

Questa volta non si tratta solo di "moneta di base" - denaro fisico e riserve elettroniche la cui quantità è sotto il controllo della banca centrale - che è salito alle stelle. Anche le misure di "moneta larga", che comprende i saldi bancari delle famiglie, lo hanno fatto. I prestiti al settore privato sono aumentati notevolmente, poiché le imprese hanno preso in prestito denaro contante per continuare l'attività. Dopo il 2009 l'offerta di moneta larga è cresciuta lentamente; oggi è in aumento .

Il settore privato si troverà quindi a corto di liquidità con la riapertura delle economie vaccinate. Le economie domestiche e le imprese possono rimanere prudenti, seduti sui loro risparmi accumulati. Ma in mezzo alla gioia della riapertura potrebbero invece fare una spesa folle, compensando tutto il tempo non trascorso in teatri, ristoranti e bar nel 2020. Il risultato sarebbe che molti soldi andrebbero a caccia di beni e servizi che potrebbero non essere disponibili in quantità sufficiente, con il risultato di un periodo di inflazione che si ridurrebbe man mano che il potere d'acquisto del denaro in questione diminuisce, riportando le cose verso lo status quo.


Dalla peste nera in poi

Ricercatori della Banca d'Inghilterra, che hanno esaminato 800 anni di dati ("frammentari"), hanno concluso che l'inflazione aumenta tipicamente nell'anno successivo all'inizio di una pandemia. Un recente articolo di Robert Barro dell'Università di Harvard e colleghi trova che la pandemia influenzale del 1918-20 "ha aumentato i tassi di inflazione almeno temporaneamente". Quando gli effetti della pandemia di covide-19 saranno del tutto esauriti, un numero sempre maggiore di aziende si aggiungerà alle fila di quelle che sono già fallite e molti dei sopravvissuti faticheranno a correre a pieno regime. Così la disponibilità a spendere potrebbe facilmente rimbalzare più velocemente delle loro opportunità di farlo. Ci sono già prove di colli di bottiglia in cui l'offerta è in calo rispetto alla domanda. Il prezzo della spedizione di un oggetto da un paese all'altro è salito nelle ultime settimane, mentre il prezzo del minerale di ferro è aumentato di oltre il 60% dall'inizio dell'anno.

Questo è il rischio di cui avverte il signor Dudley. Nel complesso, però, gli investitori sembrano poco convinti. Le aspettative di inflazione che possono essere derivate dai prezzi sui mercati finanziari hanno recentemente registrato una leggera ripresa grazie alle buone notizie sui vaccini e alle prospettive di un rimbalzo dell'economia mondiale. Ma continuano a suggerire che gli investitori ritengono che l'inflazione dell'anno prossimo sarà più probabile che sia inferiore all'obiettivo del 2% delle banche centrali che superiore. Lars Christensen, un economista danese, sottolinea che questo significa che c'è uno "scontro" tra le due più note teorie economiche associate alla scuola di Chicago. Milton Friedman ha affermato che una crescita sostenuta della massa monetaria porta all'inflazione; Eugene Fama ha sostenuto che i prezzi di mercato riflettono pienamente tutte le informazioni disponibili. "Se credete che ora ci sarà inflazione... l'ipotesi dell'efficienza dei mercati dovrebbe essere sbagliata", sostiene Christensen.

La maggior parte degli economisti si schiera dalla parte dei mercati e di Mr Fama. In generale non pensano più all'inflazione come facevano i monetaristi degli anni Ottanta (in effetti anche Friedman, alla fine della vita, ha ammesso che la moderna banca centrale avrebbe potuto recidere il legame tra la massa monetaria e i prezzi). Seguendo il quadro "New Keynesian" degli anni '90, essi ritengono che il motore dell'inflazione sia una combinazione tra le aspettative del pubblico in merito all'aumento dei prezzi, che si autoalimentano, e la salute del mercato del lavoro. Entrambi indicano attualmente un basso livello di inflazione.

Né i dati dei sondaggi né i mercati finanziari suggeriscono che il pubblico si aspetti un aumento drammatico dei prezzi. E la maggior parte delle previsioni suggerisce che ci vorrà del tempo prima che l'occupazione trovi il suo livello pre-pandemico, anche nelle economie che si riprendono più rapidamente. Goldman Sachs, una banca particolarmente rialzista sulle prospettive dell'economia americana, non si aspetta che il tasso di disoccupazione scenda sotto il 4% fino al 2024. E l'economia americana dovrebbe riprendersi più velocemente della maggior parte. Una disoccupazione relativamente elevata - in gergo, un "output gap" - darà alle aziende pochi incentivi ad aumentare i salari, e quindi poco bisogno di aumentare i prezzi. Un "grande output gap previsto dovrebbe spingere l'inflazione globale di base di 0,5% punti percentuali al di sotto dei livelli pre-crisi del prossimo anno", sostengono gli economisti di JPMorgan Chase, un'altra banca.

Quindi, anche se ci sarà un boom della spesa, ci sarà un sacco di rallentamento dell'economia in giro per accomodare la situazione. Alcuni economisti colmano i due punti di vista, prevedendo che l'economia tornerà ad accelerare a ritmo serrato, alcuni forse inflazionistici. Ma per la maggior parte di loro, l'elevata disoccupazione e le aspettative di inflazione contenuta rendono la previsione di un'inflazione bassa e continuativa un gioco da ragazzi.

Ma cosa succede se la nuova visione keynesiana manca di parti chiave della storia? In "The Great Demographic Reversal", pubblicato l'estate scorsa, Charles Goodhart, un ex membro del comitato di politica monetaria della Banca d'Inghilterra, e Manoj Pradhan di Talking Heads Macro, una società di ricerca, forniscono una visione alternativa della bassa inflazione degli ultimi decenni. Non è stato, dicono, il risultato di una corretta diagnosi del problema che ha portato, nelle mani di banchieri centrali indipendenti, a una politica monetaria appropriata. Piuttosto, è stato guidato dalla demografia globale.

Negli ultimi decenni l'integrazione della Cina, dell'ex comunista orientale europeo e di altri mercati emergenti nel sistema commerciale globale ha fornito all'economia mondiale milioni di nuovi lavoratori. Mentre i capi trovavano sempre più facile ottenere il loro lavoro nel Guangdong o a Bratislava, il potere contrattuale dei lavoratori dei paesi ricchi è diminuito, e gli aumenti dei prezzi per coprire l'aumento dei salari sono diventati un ricordo del passato. Questo si adatta alla constatazione che molto più della bassa inflazione degli ultimi decenni è dovuta alla stabilità o al calo dei prezzi dei beni che possono far spostare il loro sito di produzione che non ai servizi che devono essere forniti in loco.

Le cose stanno per cambiare, sostengono gli autori. Con l'invecchiamento della popolazione nel mondo ricco e in Cina, il numero di persone a carico per lavoratore aumenterà vertiginosamente, creando una carenza di manodopera nell'industria dell'assistenza. È vero, l'Africa e l'India sono piene di giovani. Ma la politica del mondo ricco potrebbe aumentare ulteriormente le barriere alla loro migrazione. I lavoratori del mondo ricco acquisiranno così più potere contrattuale; i salari aumenteranno e i prezzi saliranno di conseguenza. Oltre a riaccendere l'inflazione, queste forze demografiche renderanno i Paesi occidentali più uguali, sostengono Goodhart e Pradhan: un'altra tendenza apparentemente inesorabile si è invertita.

Potrebbe sembrare che la recente esperienza del Giappone, il paese ricco che è invecchiato di più, metta a frutto questa idea. L'inflazione in quel Paese è stata a lungo più bassa che altrove, nonostante gli sforzi erculei della Bank of Japan. Goodhart e Pradhan controbattono a questa tesi dicendo che una "valvola di sfogo globale" ha impedito che le pressioni inflazionistiche in Giappone ottenessero molto. Invece di ristagnare, gli investimenti si sono spostati oltreoceano, poiché le aziende manifatturiere giapponesi hanno approfittato dell'abbondante manodopera globale. Le importazioni a basso costo hanno mantenuto bassa l'inflazione dei beni e la delocalizzazione dei posti di lavoro nel settore manifatturiero ha ridotto il potere contrattuale dei lavoratori.

In realtà, però, la crescita dei salari nelle industrie manifatturiere giapponesi è stata relativamente forte. Inoltre, gli autori ammettono che l'invecchiamento della popolazione giapponese non ha avuto l'effetto che ci si potrebbe aspettare sull'indice di dipendenza - perché molti più anziani lavorano ora. Lo stesso fenomeno potrebbe ancora contenere l'inflazione altrove.

Il terzo argomento per temere un ritorno dell'inflazione è politico. Si basa sull'idea che i governi e le banche centrali stanno diventando più tolleranti nei confronti dell'inflazione e che lo diventeranno ancora di più man mano che la pressione sui bilanci pubblici si farà sentire.

Negli anni '70 i presidenti e i primi ministri erano felici di costringere i banchieri centrali a fare ciò che volevano. L'inflazione è stata domata solo dopo che Paul Volcker ha dimostrato l'impegno e l'indipendenza della Fed spingendo l'America in recessione per rallentare l'aumento dei prezzi. Un nuovo articolo di Jonathon Hazell dell'Università di Princeton e colleghi sostiene che i "cambiamenti nelle credenze sul regime monetario a lungo termine" post-Volcker si sono dimostrati più importanti di qualsiasi altro fattore per vincere l'inflazione. Le loro azioni negli ultimi decenni hanno costruito la ferma aspettativa che le banche centrali rispondano alla prospettiva di un aumento dell'inflazione al di sopra del suo obiettivo con tassi di interesse più alti, indipendentemente da ciò che i politici e l'opinione pubblica potrebbero volere.

È possibile che queste norme si stiano indebolendo. Negli ultimi anni ci sono già stati maggiori attacchi all'indipendenza delle banche centrali, come le esortazioni del presidente Donald Trump a mantenere bassi i tassi d'interesse. E durante la pandemia i rapporti tra le banche centrali e i ministeri delle finanze sono diventati insolitamente stretti. Dopo la sua fine, i politici si troveranno ad affrontare il problema dei debiti lasciati alle spalle. Laddove questi debiti sono a lungo termine, l'inflazione sarebbe un modo pratico per ridurre il loro valore reale, allentando la pressione sui bilanci. I politici potrebbero essere più disposti a prendere in considerazione una tale opzione per il motivo individuato da Fergusson: dopo un lungo periodo di bassa inflazione, la gente dimentica quanto possa essere terribile. Un terzo delle persone che attualmente vivono nel mondo ricco non era nato quando l'inflazione media ha superato il 5%.

Dubitare del futuro

L'impegno della Fed a permettere deliberatamente che l'inflazione superi il 2% durante la ripresa è l'Allegato A per questa convinzione. Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea (bce), sottolinea che il suo mandato è quello di "sostenere le politiche economiche generali" dell'ue, oltre a garantire la stabilità dei prezzi. I banchieri centrali di tutto il mondo ammettono ora, anche se solo sottovoce, che oltre a mantenere la stabilità dei prezzi stanno anche cercando di mantenere bassi i costi di finanziamento a lungo termine dei governi per facilitare gli stimoli fiscali. Se la pressione inflazionistica dovesse iniziare ad aumentare mentre lo fanno, abbandoneranno questo sforzo? Le banche centrali che, nelle attuali circostanze, hanno messo in atto tassi di indebitamento, si troverebbero senza dubbio ad affrontare l'opposizione dei ministeri delle finanze, che pagherebbero i maggiori costi e ne soffrirebbero in occasione delle successive elezioni. Gli inflazionisti pensano che i politici vincerebbero, come in molti casi dovrebbero fare costituzionalmente. L'indipendenza dei banchieri centrali è garantita dai politici eletti.

Ma anche questa argomentazione politica ha i suoi punti deboli. L'indipendenza della Bce è protetta da un trattato, e anche se negli ultimi anni è diventata più disposta a stimolare, mostra ancora un'inclinazione falsa, tollerando aspettative di inflazione ben al di sotto dell'obiettivo. Gli anziani amano votare e tendono ad odiare l'inflazione, sostiene Vitor Gaspar del Fondo Monetario Internazionale. Questo dovrebbe limitare qualsiasi pressione politica a favore di una maggiore inflazione nelle società che invecchiano.

Le colombe e i mercati hanno attualmente la meglio. Ma le argomentazioni a favore della reflazione nell'economia mondiale sono più forti di quanto non lo fossero dopo la crisi finanziaria globale. Una ripresa dalla pandemia che non sia turbata da un'inflazione eccessiva sembra probabile. Ma non è garantita.

sabato 12 dicembre 2020

Eu e BCE: decisioni importanti


 Si è chiusa una settimana dove praticamente abbiamo marciato sul posto: con lo SMI si era a 10340 punti 5 sedute orsono e abbiamo chiuso a 10393 punti ieri: è più o meno quello che ci stavamo aspettando,  uno spostamento laterale con bande di oscillazione molto strette e una mini-rotazione settoriale quasi quotidiana che hanno semplicemente evitato che si andasse a far visita al supporto dei 10250 punti. Meglio così, ma sono oramai diverse settimane che non riusciamo ad uscire da questo movimento.

A dire il verso gli eventi degli ultimi giorni sono stati piuttosto importanti e non vi nascondiamo che speravamo in una risposta più positiva da parte dei mercati, ma in effetti dobbiamo ammettere che il rally di fine anno è già stato anticipato all'inizio di novembre ed durato una decina di giorni, il resto è stato, concedetecelo,  soltano una noia.

Ma passiamo rapidamente in rassegna cosa è successo d'importatnte questa settimana e anche se non vi è stata una risposta immediata da parte del mercato, non è detto che questa si possa materializzare, una volta  assimilato quanto accaduto, nelle prossime settimane/inizio anno nuovo.

1) Recovery Fund

Finalmente hanno trovato la quadra, ma a ragion del vero, bisognerebbe dire che l'ha trovata Angela che, dopo aver convinto i tedeschi con un bel discorso strappalacrime in parlamento ad assumere un comportamento dignitoso nei confronti del Covid,  è pure riuscita a strappare un "e così sia" da parte di Ungheria e Polonia al piano di aiuto europeo: non che i due Paesi improvvisamente sono stati travolti da un insolito rispetto nei confronti dello Stato di diritto (...sembra il titolo di un film della Wertmuller...)  ma, dare per avere, hanno barattato il loro sì al Recovery Fund con

a) un rinvio di un anno e mezzo nell'apllicazione dello Stato di diritto stesso (palese ammissione che tale diritto non è attualmente rispettato) e

b) una certa qual flessibilità (che bell'eufemismo...) nell'abbandono del carbone a favore di energie più rispettose dell'ambiente. 

Insomma,  i due Paesi si pigliano un sacco di soldi dall'EU, dello Stato di diritto se ne fregano e dell'ambiente, a quanto pare,  pure!   Anche in questo caso, come quello del dollaro della scorsa settimana, qualche cosa ci sfugge...

Ad ogni buon conto non è scritto da nessuna parte che dobbiamo capire sempre tutto: l'importante per noi è intuire quanto questo accordo sia importante per il rilancio della crescita in Europa (che NON diamo comunque per scontata...). A questo punto siamo molto più interessati nel capire COME verranno utilizzati i fondi e qui si apre un altro capitolo, tutto da scrivere, del quale la politica italiana di questa settimana ci ha generosamente offerto un primo assaggio di quello che sarà probabilmente un bell'assalto alla carovana di altri tempi per poi spartirsi, nessun partito escluso, il bottino. C'è una occasione unica e 207 miliardi di buoni motivi  per non mandare a monte il rilancio dell'Italia ma il teatrino offerto generosamente questa settimana dalle forze politiche non lascia presagire nulla di buono...

2) Brexit

Ma pensateci bene: quattro anni per arrivare ad un probabile No Deal o Hard Brexit che dir si voglia appaiono tantini! Facciamo pure finta che quest'anno il covid ha sparigliato un po' le carte ma comunque...  Pare che si siano incagliati sulla regolamentazione della pesca nel Mare del Nord, sul meccanismo di soluzione delle controversie e l'accesso del Regno Unito al mercato unico nel rispetto delle regole sugli aiuti di Stato... Non ci pare che siano problemi da perderci il sonno per quattro anni filati ma forse, diciamocela tutta, non è che da una parte e dall'altra si è un po' curiosi di vedere come andrà a finire quanto finalmente domenica il no deal sarà cosa fatta e anche su questo teatrino calerà il sipario?  Oppure lo spettacolo si trasformerà in una commedia dell'assurdo e troveranno in zona Cesarini una soluzione? Tutto è possibile... vedremo domani.

Noi seguiamo la sterlina (1.7060) che questa settimana 200 bps contro chf li ha già persi: a 1.13 si potrebbe pensare di rientrare...

3) BCE

Diciamolo subito: la Lagarde non buca lo schermo... ce la mette tutta, fa quasi la piaciona con i giornalisti che gli pongono le domande strettamente per via telefonica,  ma alla fine ci guardiamo negli occhi e ci diciamo "NON è Mario Draghi!.. Comunque il suo lavoro non è semplice e non vorremmo essere al suo posto, quindi... evviva la Lagarde. Qualche decisione l'hanno presa e di non poco conto, per lo meno sul piano quantitativo, mantenendo le promesse di adottare nuovi stimoli per controbattere la seconda, e per un certo verso inattesa nella sua virulenza, ondata di Covid19.

La BCE ha deciso di ampliare i suoi due principali strumenti di politica monetaria: il programma di acquisto d'emergenza e le mirate operazioni di rifinanziamento a lungo termine. Entrambi i programmi saranno estesi: a marzo 2022 per il PEPP, in modo tale da permettere un piano di vaccinazione degno di questo nome,  e a giugno 2022 per l'OMRLT. Ambedue le estensioni sono state superiori alle aspettative dei mercati.

Per quanto riguarda i tassi la Lagarde si è sbilanciata ipotizzando che non subiranno nessun aumento almeno fino alla fine del 2022 poi si vedrà. Ieri stavamo parlando tra colleghi e abbiamo tentato di dare un senso al "poi si vedrà" che può essere declinato in mille modi me che temiamo non si potrà scostare troppo da un prolungamento sine die dello status quo. Ovvio il riferimento alla "giapponesizzazione" della  curva dei tassi europea che con ogni probabilità ne ricalcherà le orme. 

Ma diamo un'occhiata al grafico sul lungo termine dei rendimenti di un'obbligazione del governo Giappone a dieci anni (clicca sul grafico per una miglior visione):



Alla fine degli anni 80 il Giappopne è entrato in crisi a causa dello scoppio di una immensa bolla immobiliare e da quell'evento la curva dei rendimenti non ha fatto altro che scendere: nel frattempo il Giappone è diventato il paese più indebitato al mondo (240% del Pil nel 2019 e quest'anno si vedrà...), debito comunque quasi integralmente detenuto dal settore pubblico giapponese e che apparentemente non genera troppi problemi all'economia Giapponese che è considerata tra le più sicure. Insomma come avrebbe detto Ronald Reagan "Il debito pubblico Giapponese è abbastanza grande da badare a sé stesso). Ovviamente a noi non interessa come il Giappone intende gestire il suo debito ma in questo caso ci interessa capire per quanto tempo un regime di tassi bassi possa sopravvivere a sé stesso: evidentemente la risposta è "anche per decenni" e ne abbiamo la prova...


Il grafico qui sopra riporta il rendimento del decennale statale per la Svizzera (nero), gli Usa (in giallo peccato poco visibile, clicca sul grafico per una miglior visione), il Giappone (verde) e con due sfumature di rosso (sorry avremmo dovuto cambiar colore), la Germania e l'Italia.

Innutile dire che la situazione Europea è critica assai: abbiamo anche fatto peggio del Giappone che almeno non deve lottare con i tassi negativi (che sappiamo incidono e non poco sulle banche). Il trend è comunque evidente e non merita troppi commenti... Siamo solo agli inizi di un movimento secolare? Probabile, se il Giappone con un debito al 240% del Pil riesce a sopravvivere, non vedo perché non si riesca a fare lo stesso alle nostre latitudini ma, c'è sempre un ma da qualche parte, a condizione che i tassi rimangano dove stanno, ovverosia vicino allo zero o giù di lì.

Pensate all'evoluzione del debito pubblico dei paesi europei: quest'anno (grazie Covid!) il debito salirà, largo circa, del 20% per ogni Stato dell'Eu e altri debiti probabimente si accumuleranno nei prossimi anni, debiti che per il momento sono sostenibilissimi proprio grazie al fatto che non costano nulla in quanto ad interessi zero l'esborso fa sempre zero. Ma vi immaginate cosa significa un eventuale movimento rialzista dei tassi per le finanze dei paesi fortissimamente indebitati? Ecco perché non sarà facile cambiare rotta e soprattutto ecco perché continuano a dirci che l'inflazione NON sale (anche se apparentemente tutti la vogliono...) inflazione che, se eccessiva, innescherebbe il meccanismo del rialzo.

I manuali di economia ci insegnano che ad una offerta eccessiva di moneta potrebbero scatenarsi movimenti inflazionistici incontrollabili. Fortuna vuole che per il momento questi movimenti non sembrano materialzzarsi (l'inflazione tedesca ad es è allo 0.3% annualizzato...) ma ne siamo poi così sicuri? Altro elemento scaturito dalla discussione di ieri è una critica al paniere con il quale si calcola l'inflazione: dovrebbe essere rappresentativo dei consumi di una nazione,  ma sappiamo tutti che un paniere che contempla ancora il costo di una chiavetta USB non è sicuramente al passo con i tempi (anche se ce lo vuol far credere...). Tutti noi facciamo i calcoli alla fine del mese e il sospetto che l'aumento del costo della vita non sia proprio dello 0.3% è una realtà difficile da dissimulare soprattutto quando i salari non crescono oramai da anni.

Ergo, i tassi resteranno bassi e tirali su è da matti,  l'inflazione probabilmente già c'è e speriamo si mangi una parte dei debiti senza che ce ne accorgiamo e la parte che non si mangerà l'inflazione la dovremo prima o poi pagare, meglio poi,  ma immaginate dove andranno a prendere i soldi? Ecco bravi, risposta esatta e così vi siete rovinati il week end!

Operativamente, dovremmo quindi restare investiti in azioni (non vi sono troppe alternative), non dimentichiamo l'oro, prudenza con le obbligazioni e il resto ve lo diremo strada facendo nei prossimi appunti.


sabato 5 dicembre 2020

Qualche cosa ci sfugge...


 Ci siamo lasciati alle spalle una settimana senza gloria e senza infamia: lo avevamo più o meno previsto. I movimenti non sono stati eccessivi (soprattutto sui mercati azionari) e qualche operazione di maquillage ha prodotto dei leggeri ribassi ma nulla che per il momento ci spaventa. Pensiamo che si continuerà così anche nelle prossime settimane e saremmo sopresi se quest'anno assisteremo al classico rally natalizio. E' più probabile che dovremo scavallare nell'anno nuovo per vedere dei decisi rialzi che però avranno bisogno di un aiutino e nella fattispecie l'ennesima inizione di denaro nel sistema economico (sia in Europa che in America) ed una campagna di vaccinazione su larga scala che contribuisca ad attutire in tempi relativamente rapidi l'incubo del covid. 

Quello che invece facciamo fatica a comprendere è la dinamica valutaria, con un dollaro non facile da controllare: è vero che ne stanno stampando a trilioni ed altri ne arriveranno, ma comunque anche altrove il ciclostile non si è mai fermato... Se lo prendiamo contro chf dall'inizio dell'anno ha perso più del 7% e contro euro la svalutazione supera l'8%,  svalutazione che per il momento è stata compensata dal forte aumento delle azioni e dalle obbligazioni high yield , ma non potrà continuare così in eterno.



Soprattutto contro chf (ma il discorso vale anche contro euro) ci sembra un movimento eccessivo considerando che la valuta svizzera è acquistata soprattutto nei momenti di tensione, ma non ci pare il caso:


Il VIX (il famoso indice della paura) non ci sembra stia segnalando un rialzo della tensione,  anzi...


... pure l'oro, bene rifugio per eccellenza, sembra non segnalare nulla di sospetto...


I redimenti della Confederazione CH a 10 anni sono in tendenza negativa, e se vogliamo essere pignoli, la figura a triangolo rovesciato non ci piace proprio per nulla:  uno sfondamento potrebbe dare il via ad ulteriori ribassi nei rendimenti, con il solo risultato di gettare ulterirore pressione sul sistema bancario che vede i tassi negativi come il fumo negli occhi. Pensiamoci bene: i rendimenti sono negativi da parecchio tempo, la politica di credito delle banche non è mai stata così restrittiva (fatto salvo dove vi sono le garanzie...), l'inflazione non riparte e l'industria all'esportazione svizzera deve fare i salti mortali per stare a galla...  Per quale motivo si acquistano chf? qualche cosa ci sfugge...


...anche la tendenza dei rendimenti sul Bund tedesco a 10 anni con il suo bel -0.58% ci pare chiara e vi sono delle ovvie similitudini con quella svizzera...


...mentre dall'altra parte dell'Atlantico si ritrovano con un Treasury a 10 anni che fra qualche giorno, se il trend prosegue, avrà delle rese superiori all'1%... E' vero che uno spread di 150 basis points contro chf ed euro può sembrare poca cosa, ma è comunque non trascurabile soprattutto per coloro che necessitano di rese positive (... e sono in tanti...) e questo dovrebbe drenare liquidità verso il $.

Dobbiamo poi considerare che rispetto all'Europa l'economia americana sembra essere in grado di riprendersi più velocemente. A tal proposito ieri hanno reso noto i dati sulla disoccupazione:



Si attendevano un 6.7% ed in effetti così è sato, marcando un miglioramento sul dato precedente (6.9) così come sono in rapido moglioramento parecchi altri indicatori economici...


Concludendo ci vien da pensare che comunque non è tutto oro quel che luccica: in effetti sono anni che oramai il costo del denaro é vicino allo zero, con il risultato che a beneficiarne a piene mani sono stati i mercati finanziari più che l'economia reale. Mercati che in effetti si trovano tutti a livelli parecchio elevati,  se non addirittura da record storico come quelli americani; ma lo stesso non possiamo purtroppo dire dell'economia reale che senza l'iniezione massiccia di liquidità e l'azione concertata delle Banche Centrali sarebbe in ben altra situazione... Siamo arrivati al punto che non possiamo permetterci di vedere sprofondare le borse e soprattutto i mercati obbligazionari (strapieni di vera e propria spazzatura)  pena le notevoli ripercussioni sull'economia reale,  mentre dovrebbe essere l'esatto contrario... e questo i politici lo sanno! Motivo per il qualche sarà difficile cambiare direzione anche se Biden probabilmente cercherà di imprimere una svolta, soprattuto se i due senatori Georgiani saranno targati Dem: per il momento sono 48 democratici contro 50 repubblicani... se si arrivasse 50 e 50 diventerà fondamentale Kamala Herris... ma se così non fosse anche Biden avrà le mani parecchio legate e allora... si continuerà a comprare chf (perché non si sa mai...!)


 

 

martedì 1 dicembre 2020

Dicembre è arrivato


 Il  mese di novembre è alle nostre spalle e passerà alla storia, finanziariamente parlando, come uno dei più prolifici da un bel po' di anni a questa parte. In effetti durante questo mese abbiamo registrato una bella rotazione settoriale: la resurrezione dei valori ciclici è stata finanziata in parte dalla abbondante liquidità in circolazione e dall'altra a detrimento (modesto a dire il vero) dei valori legati alla tecnologia.

Cosa ci aspetterà durante questo mese di dicembre? Ovviamente molto dipenderà dall'evoluzione e dagli annunci legati ai vaccini contro il Covid19: vedremo nelle prossime settimane se vi saranno novità di rilievo, ma non sarà facilissimo (affrettare i tempi potrebbe essere controproducente anche per le ditte produttrici, sopratutto se vi sono delle controindicazioni non ancora emerse...).

Quello che invece è certo, sono le solite pulizie di fine anno,  dove i gestori tenteranno nel limite del possibile di eliminare i cadaveri nei loro depositi e cercando nel contempo di abbellire le performances: queste azioni di window dressing solitamente non hanno grandi effetti,  ma sappiamo che possono generare alcuni movimenti erratici difficilmente prevedibili.

Sarà invece interessante vedere come si comporteranno i grandi investitori istituzionali (casse pensione, fondi, ecc) che verosimilmente dovranno ribilanciare i loro portafogli e limare la quota azionaria, che grazie agli aumenti degli ultimi mesi, sarà sicuramente in esubero rispetto al loro benckmark. Una "limatina" alle quote che sono nelle disponibilità di questi soggetti,  significa comunque tanta roba e qualche effetto sulle quotazioni lo avrà di certo.



Negli ultimi giorni comunque le borse, soprattutto quella svizzera, non è che ci facciano impazzire: l'assenza di stimoli economici (quelli EU bloccati da Polonia e Ungheria; quelli USA dobbiamo aspettare Biden...) sta generando uno spostamento laterale ancora più evidente del solito: in buona sostanza stiamo camminando sul posto ed il nostro lavoro per il momento si limita al controllo: siamo alla ricerca di eventuali segnali di divergenza che potrebbero anticipare una presa di profitto più corposa del consentito. Per il momento non ve ne sono, fatto salvo un leggero ma costante declino dell'oscillatore RSI che se continua potrebbe suggerirci un'eventuale uscita anticipata.




Oggi abbiamo avuto l'ennesima dimostrazione che resuscitare l'inflazione (nel grafico quella europea) è una quasi mission impossible... Si aspettavano un leggero rialzo, invece siamo ulteriormente scesi. Mettiamoci l'anima in pace e pensiamo ai tassi che per il momento resteranno a lungo a questi livelli (e forse anche meno!)


Certo che la dinamica inflattiva non aiuta l'oro che da qualche settimana non se la passa benissimo: avevamo previsto un'escursione sotto i 1800 dollari per oncia e ci siamo. Sta comunque già risalendo perché, a parte l'ipervenduto, l'oro rimane sempre un buon antidoto contro i tassi negativi.

Euro-chf in questi giorni è roba per i trader sulle valute: si muove parecchio ma comunque il suo obiettivo dovrebbe essere 1.09 e anche oltre...



Anche euro/usd è ben intonato: fa fatica a superare 1.1970 ma se lo dovesse fare con convinzione andare oltre 1.20 è cosa fatta...


Stiamo prendendo visione dei report dedicati al 2021: ve ne renderemo conto nei prossimi post. Una prima velocissima impressione: non ci saranno cambiamenti di rilievo nei trend già oggi in essere, almeno per i prossimi 5/6 mesi... (cigni neri permettendo!)



 

domenica 29 novembre 2020

Newtonian Europe

Durante il week end abbiamo letto poco di interessante fino ad ora, ma dobbiamo ammettere che questo articolo dell'Economist sintetizza efficacemente quello che sta accadeno in seno alla EU e francamente non ci lascia completamente tranquilli.  Far risorgere l'Europa dopo la pandemia sarà un'operazione da funamboli! 


The Economist, 26 novembre 2020 

Polonia e Ungheria si godono una lezione di fisica per gentile concessione dell'UE

Le leggi di Newton si applicano anche alla politica

L'inerzia è la prima legge di moto di Isaac Newton. "Ogni corpo persevera nel suo stato di riposo, o di moto uniforme in una linea retta, a meno che non sia costretto a cambiare quello stato da forze impresse su di esso", scrisse Newton nel 1687. È anche la prima legge dell'Ue: le cose rimangono così come sono, finché una forza abbastanza grande non le spinge a cambiare. La pandemia di covide-19 e la recessione che ne è seguita hanno dato al blocco una spinta onnipotente. Durante l'estate i leader dell'Ue hanno accettato di emettere per la prima volta un debito collettivo su larga scala, per un ammontare di 750 miliardi di euro (890 miliardi di dollari). Dopo cinque giorni di colloqui, tutti i 27 capi di governo hanno concordato che chiunque spenda denaro dell'Ue dovrà rispettare una qualche forma di "stato di diritto".

L'Ungheria e la Polonia stanno imparando a fondo la fisica introduttiva: una volta che le cose si mettono in moto, è difficile fermarle. I due paesi si sono uniti tardivamente per cercare di far saltare il progetto, sostenendo che il meccanismo dello stato di diritto si spinge troppo in là. Hanno motivo di temere un giro di vite. Entrambi i governi hanno calpestato le norme democratiche negli ultimi anni, calpestando i giudici, ostacolando i giornalisti e usando lo Stato per imbrigliare i rivali. L'Ungheria e la Polonia possono fare ben poco per impedire che le nuove regole entrino in vigore, poiché possono essere approvate a maggioranza qualificata. Hanno invece posto il veto su altre politiche. Entrambe si sono rifiutate di approvare il budget dell'Ue, che vale circa 1 trilione di euro di spesa in sette anni, e hanno negato il permesso all'Ue di procedere con l'erogazione del fondo di recupero di 750 miliardi di euro, fino a quando lo schema delle regole di legge non sarà annacquato.

La leva finanziaria è roba da politica oltre che da fisica. A prima vista, tenere in ostaggio 1,8 miliardi di euro di fondi sembra una forte leva da tirare. Le economie dell'Europa meridionale sono avide di denaro. Ma si tratta di un attacco kamikaze. I fondi dell'Ue all'Ungheria e alla Polonia valevano rispettivamente il 4,5% e il 3% del Pil di quei Paesi nel 2019. Sono le loro economie che più rischiano di danneggiare per il bene di una legge che non possono impedire di introdurre. Alcuni interpretano la mossa come un colpo di avvertimento. Se l'Ungheria e la Polonia vengono calpestate, inizierà una sporca guerra burocratica, con entrambi i paesi che bloccano tutto il possibile.

Ma la terza legge di Newton ha anche un ruolo nella politica dell'Ue: ogni azione ha una reazione uguale e contraria. Altri paesi hanno il diritto di veto sul processo di bilancio. Alcuni, come i Paesi Bassi, che hanno la reputazione di essere pignoli in materia di regole, potrebbero bloccare il processo se un compromesso dovesse andare troppo oltre. La legislazione sulle regole del diritto è definita in modo restrittivo. Alcuni paesi volevano uno strumento molto più ampio, che avrebbe colpito i governi nel portafoglio se avessero calpestato i diritti delle minoranze o degli omosessuali.

Un'opzione nucleare che viene discussa in una fase sussurrata dai diplomatici (e sussurrata dai meps) comporterebbe che altri paesi si limitino a bypassare i due paesi e a emettere il debito senza di loro. In questo modo l'Ungheria e la Polonia verrebbero bandite in un cerchio esterno del continente. Strategie di questo tipo sono già state utilizzate in passato. David Cameron, allora primo ministro britannico, si è trovato in svantaggio nel 2011 quando si è rifiutato di firmare una modifica del trattato senza garanzie regolamentari per la City di Londra. I suoi colleghi leader lo hanno aggirato. Il fallimento di Cameron offre una lezione su come non trattare con Bruxelles, che Varsavia e Budapest farebbero bene a tenere in considerazione se volessero garantire il loro posto nel blocco. Stranamente, gli elettori di entrambi i Paesi sono fortemente eurofili, nonostante eleggano governi che si divertono a combattere le istituzioni dell'Ue.

Una volta che lo strumento dello Stato di diritto dell'Ue è entrato in vigore, l'inerzia può diventare l'amico dell'Ungheria e della Polonia, piuttosto che il loro nemico. Qualsiasi punizione per aver calpestato lo stato di diritto dovrebbe essere approvata dalla maggioranza qualificata degli Stati membri. Sulla carta, questo migliora il sistema attuale. Al momento, un paese può essere multato e/o privato del diritto di voto per aver violato lo stato di diritto solo se tutti gli altri 26 governi sono d'accordo. Poiché l'Ungheria e la Polonia si coprono le spalle a vicenda, una tale mossa è impossibile. In pratica, le nuove misure possono ancora lottare per essere invocate. L'Ungheria e la Polonia sono tutt'altro che gli unici paesi che si preoccupano del fatto che i pagamenti del bilancio dell'UE siano legati alla buona condotta. Le accuse di corruzione serpeggiano in Bulgaria. Gli omicidi di alto profilo di giornalisti investigativi a Malta e in Slovacchia hanno scosso entrambi i Paesi negli ultimi anni. Cipro vende passaporti. Le autorità croate sono accusate di aver picchiato i rifugiati alla frontiera. I leader dell'UE sono riluttanti a interferire negli affari interni degli altri per il semplice motivo che temono di essere i prossimi. In tali circostanze, l'astensione è attraente.

A differenza delle regole della fisica, le regole della politica possono essere piegate. Il pericolo è che il nuovo meccanismo diventi un altro Patto di Stabilità e Crescita, un altro Patto di Stabilità e Crescita, un blocco spesso mal allineato ma che di solito ignora le regole sulla spesa pubblica. Secondo il patto, i paesi dell'UE dovrebbero mantenere il loro deficit al di sotto del 3% del PIL in un dato anno e il loro debito al di sotto del 60% del PIL. Anche nei periodi di congiuntura favorevole, questi obiettivi sono stati mancati, ma le conseguenze sono state poche. Tecnicamente i Paesi potrebbero essere multati. Nessuno lo è mai stato. Per i critici, il meccanismo della norma di legge è un compromesso molto europeo: regole severe (per placare i sostenitori) che non vengono mai applicate (per placare gli avversari).

Gli errori non sono nell'arte ma negli artificieri

Le procedure di retenzione negli Stati membri che si comportano male faranno poco se nessuno ha il coraggio di usarle. Fondamentalmente, avere a che fare con governi dell'UE disonesti è una questione di coraggio politico. I grandi paesi, come la Germania, hanno permesso che le alleanze politiche prevalessero sui principi. Nell'ultimo decennio, il primo ministro ungherese, Viktor Orban, ha rimodellato lo stato ungherese dal comfort del Partito popolare europeo, in cui siedono anche i cristiano-democratici di Angela Merkel. L'azione tardiva sulla Polonia, un paese molto più importante per il futuro dell'Europa, è arrivata solo dopo che il suo governo aveva già accatastato la sua corte costituzionale. Il mancato intervento del blocco ha avuto delle conseguenze. Altri Paesi stanno scivolando in una direzione simile e non si fermeranno a meno che non vi sia una qualche forza che li colpisca. L'inerzia, dopo tutto, è una cosa potente. ■



venerdì 27 novembre 2020

Fase di consolidamento


 Siamo giunti alla fine di una settimana dove non è successo quasi nulla di eclatante: diciamo che la fase di consolidamento continua e siamo già molto contenti che i mercati europei rimangono a questi livelli. Ieri, con la chiusura dell'America, i volumi si sono quasi dimezzati (freccia rossa) segno che il mercato americano ha ancora il suo bel peso specifico sui movimenti delle borse del resto del mondo ed oggi sarà a mezzo servizio con gli operatori distratti con ogni probabilità dallo shopping elettronico. Settimana quindi conclusa definitivamente!

Quello che comunque abbiamo osservato, è che il buon momento dei valori ciclici è probabilmente arrivato al suo termine e per stimolare una ulteriore crescita dei valori azionari, dovremo aspettare gli aiuti e gli stimoli statali. E' certo che la giornata odierna potrà servire per prendere la temperatura ai consumatori di tutto il mondo e sono in tanti ad aspettarsi un Black Friday da record che potrebbe dare una spinterella alle borse...


Ne avremmo di bisogno in quanto, come appare dal grafico,  se le economie di Giappone,Canada ed USA stanno evolvendo lateralmente, quelle Europee purtroppo stanno voltando al ribasso...


... e se, come sottolineato poc'anzi,  annunciamo la fine del rialzo dei ciclici ecco che senza stimoli non si andrà molto lontano. E' vero che normalmente le settimane prima della fine dell'anno sono piuttosto favorevoli ai mercati azionari, ma temiamo che le operazioni di window-dressing quest'anno saranno piuttosto corpose e potenzialmente non prive di conseguenze per le borse. 



La debolezza del dollaro continua a manifestarsi sia contro chf (soglia del dolore nostro: 0..90) sia contro euro: se supera 1.1950 ha 1.20 a portata di mano e forse anche più.


Continua il buon momento dell'euro anche contro chf: ieri ha fatto uno strano movimento che non siamo riusciti a comprendere, ma stamani si è già rimesso a salire e probabilmente seguirà la freccia rossa.

Sul fronte vaccini ci pare di segnalare un poco di nervosism,  con Astra-Zeneca che ha fatto qualche pasticcio che ha contribuito a smorzare un poco gli entusiasmi ed ha mostrato i limiti di una sperimentazione di fase 3 troppo precipitosa. Rimaniamo sempre dell'idea che bisognerà aspettare, se va bene, almeno la fine del primo trimestre per iniziare a capire come se ne uscirà da questo marasma che ha già, ancor prima di arrivare, rovinato il Natale e il Capodanno a molti...



martedì 24 novembre 2020

Via libera a Biden


 A quanto pare, Trump si è deciso a concedere la vittoria delle elezioni a Binden,  che  in questi giorni fregandosene dei capricci del Capo di Stato uscente,  sta alacremente lavorando per formare la futura squadra governativa all'interno della quale spicca la Signora Yellen (Ex FED) che ha piazzato a capo del Tesoro: non vi nascondiamo che siamo curiosi di vedere quali saranno le sue prime mosse. 

Yellen a parte, la mossa di Trump ha contribuito a togliere ulteriormente un po' di tensione dal mercato,  favorendo una volta di più,  l'evoluzione positiva delle borse di mezzo mondo: la situazione di quella americana si commenta da sola  dove spicca un Nasdaq con un +32% ytd... Le borse Europee presentano invece una situazione più variegata con Spagna e Inghilterra  che devono ancora recuperare un -15%,  mentre le altre si stanno avvicinando a grandi passi verso lo zero. 

L'annuncio di Astra-Zeneca di ieri mattina si aggiunge a quelli di Pfizer e Moderna e ne aspettiamo altri nei prossimi giorni/settimane: ciò significa che la probabilità che si inizi con una vera e propria vaccinazione di massa a partire, diciamo da fine marzo, diventa sempre più plausibile e contribuisce a rasserenare gli animi.

Venerdì vedremo se, come dalle aspettative, le frustrazioni accumulate in queste settimane/mesi di semi-lockdown verranno stemperate dall'e-shopping tipico del Black-Friday: sarà un barometro parecchio seguito dagli analisti e tutti si aspettano numeri importanti e se NON lo saranno: pronti a vendere.

 


Se guardiamo la borsa Svizzera, sono giorni che si tenta un sorpasso della resistenza a 10'500 punti senza un vero sfondamento a causa della pesantezza di Roche, Novartis e Nestlé che praticamente non si muovono ed anzi tendono ad un leggero arretramento. Forse la notizia di oggi che Novartis avvierà un share buy-back da 2.5 miliardi di $ che terminerà alla fine del primo semestre del prossimo anno potrebbe farla uscire dalla sua apatia ma non ci contiamo più di tanto.

Insomma, bene tutto quello che è successo fino ad ora, bene il ritorno dei ciclici (assicurazioni, banche, ecc) ma abbiamo bisogno di nuovi stimoli...


Farà certo piacere alla nostra Banca Nazionale vedere un euro/chf rafforzarsi. L'arrivo di Biden si fa sentire e la prospettiva di un approccio più morbido e meno spigoloso nei riguardi degli storici partners esteri,  sta convincendo gli investitori a ridurre i beni rifugio. I vaccini fanno il resto. Pensiamo che quota 1.09/1.10 a breve non sia impossibile da vedere.


Coerentemente, anche l'oro bene rifugio per eccellenza, sta ritracciando. Non facciamo fatica a vedere una quotazione evolvere sotto i 1800 dollari per oncia. Da qualche giorno siamo venditori senza comunque azzerare la posizione che manteniamo per una questione di diversificazione ed in caso di aumento delle pressioni inflazionistiche implicite nella politica economica che verrà adottata dalla nuova amministrazione USA.




Gli amanti delle cripo valute si staranno, giustamente, fregando le mani: il record storico del bitcoin è a portata di mano. Facciamo fatica, considerati i limiti del Bitcoin, a comprendere la ratio che soggiace a questo ritorno di fiamma,  ma è evidente che qualche cosa ci sfugge... Sarà la blockchain che lo sorregge, sarà la carenza di controlli oppure semplicemente sono le previsioni della sua evoluzione futura che lo rende appetitoso: secondo gli analisti,  fra 12 mesi la quotazione potrà essere all'interno di un range che varia dai 25'000$ ai 300'000 $...  Per gli interessanti che non hanno voglia di aprire un conto in bitcoin esistono gli  etf (anche in leva) acquistabili sganciando della fiat money (detta anche moneta legale...)